Muoversi in bus e' il paradigma del viaggio. Ho perso il conto di quanti ne ho presi da quando sono arrivato in Guatemala l'otto aprile di mille anni fa. Nel frattempo il mio culo ha subito una metamorfosi radicale ed e' diventato a forma di sedile.
La giornata di oggi prevede 11-12 ore di viaggio, con tre cambi. Partenza dal Pacifico e arrivo sulle Ande. Il primo "compagno di viaggio" che mi capita alle 7 di mattina sul bus della Cooperativa de Transportes Jipijapa e' uno dei miei preferiti: modello bassissimo e magrissimo, occupa il minimo spazio possibile del suo sedile e nessuno del mio. Va meno bene con il seguente, un uomo che deve essere convinto che il mio sedile sia il suo divano di casa. Per di piu' puzza cosi' tanto di pesce che sembra di avere a fianco un tonno con camicia, baffi e pantaloni. Salgono venditori di mais, pollo, ceviche, fritada. Sale un venditore di manteca de culebra (burro di serpente), versione locale del balsamo tigre. Lo segue un venditore di un libello su piante medicinali che possono curare dall'insonnia al cancro, passando per l'ipertensione e il "fegato grasso" (la cui cura migliore - a mio avviso - sarebbe smettere di mangiare maiale fritto ogni giorno).
Il bus che prendo a Guayaquil - dopo attenta comparazione di prezzi e orari tra una deicna di compagnie che mi assicurano tutte di essere le uniche ad andare dove voglio io (ma veramente le uniche !) - ha come logo il profilo di una india e si chiama Trasandina. Quando salgo sul bus scopro che il mio posto, quello vicino al finestrino, e' occupato da un uomo che non vuole mollare l'osso. Anche lui e' del modello basso e magro, ma - per proteggere una borsa che ha tra la gamba e il finestrino - si mette di sbieco toccandomi romanticamente il ginocchio ad ogni curva. L'uomo parla poco e manda un forte odore di speck. Per sua fortuna sto ancora digerendo un pesantissimo piatto di riso cinese trangugiato a forza tra un bus e l'altro, senno' gli addenterei un avambraccio. Scende in un posto dimenticato da dio, in un paramo a piu' di 3700 metri, dove ci sono un paio di mucche e tre case. La vita sociale non deve essere un gran che. Una donna che sembra la sosia del logo della Trasandina (cappello, poncho e naso adunco) si siede al suo posto. Cambia il genere, ma l'odore rimane invariato. Anche lei usa eau de fume'.
Ci sono giorni in cui ore di bus mi distruggono fisicamente e scendo incazzato e nervoso. Altri giorni posso stare ore a farmi sballottolare e a prendere buche senza perdere il sorriso. Oggi e' uno di quei giorni. Ad Ambato, a las cinco de la tarde, vengo scaricato ad un incrocio aspettanto il terzo e ultimo bus della giornata. E' l'imbrunire, a fianco a me ci sono decine di persone in attesa. Non ho fretta. Un bus si ferma, ma non e' quello giusto. Ne passa un altro, un ragazzo a fianco a me mi fa cenno che questa volta ci siamo. Mi siedo a fianco all'autista che non sembra cosciente di avere una sessantina di passeggeri e parla al cellulare e manda sms mentre la strada scende a serpentina tra le montagne. E' bello vedere guidare un bus. Tutti gli ostacoli ti vengono addosso senza farti del male. Ad ogni curva sembra che si vada fuori strada, che ci si schianti contro un cartello stradale. Invece niente. Una telefonata, un sms, gente che sale, gente che scende davanti a casa propria (non ci sono stazioni, non ci sono fermate ufficiali). Un'altra giornata di trasporto.
Easy Rider