Complotti dal Reader’s Digest

Creato il 04 ottobre 2012 da Albertocapece

Massimo Pizzoglio per il Simplicissimus

Quando io ero piccolo esisteva una cosa che si chiamava Selezione dal Reader’s Digest (forse esiste ancora e le sto facendo un torto).
Ai miei nonni fu regalato, non so da chi, un “abbonamento a vita” (singolare quanto inquietante iniziativa) e quindi circolava per casa.
Era, per chi non lo sapesse, una specie di Bignami dell’informazione che raccoglieva articoli dalle riviste americane e inglesi in versione “condensata”, come il latte della Nestlè.
Ed era condensata in due sensi: era sforbiciato di tutte le parti “superflue” e proponeva il solo pensiero governativo americano.
Anche alcuni autori “sinistri” (ed eravamo ancora in risacca maccartista, quindi quasi tutti) venivano pubblicati, ma, con la tecnica della sforbiciatura, li si rimetteva in riga e in ordine.
La rivista credo abbia seguito il piano Marshall, perché era (e forse è ancora) diffusa in tutto il mondo americanizzato o americanizzando e serviva a diffondere l’american way of life e, di conseguenza, il sogno (di diventare) statunitense.
Al di là dell’intento persuasorio, però, mi ha sempre incuriosito il criterio con cui venivano condensati gli articoli (e i libri: esisteva anche Selezione dal Libro), come definire “superflui” capitoli, periodi o frasi che l’estensore aveva ritenuto importanti per la comprensione generale, escludendo che scegliessero solamente autori logorroici.
Degli articoli delle riviste americane non ebbi mai la possibilità di fare confronti, pur entrando sovente in casa Life e le sue meravigliose fotografie, ma non riuscii a trovare la corrispondenza degli articoli e, soprattutto, essendo a quell’età la mia conoscenza dell’inglese piuttosto rozza.
Ma con un paio di libri la curiosità me la tolsi e scoprii che il trucco era disarmantemente semplice: bastava che la lettura filasse, che non comparissero a tradimento personaggi tagliati altrove, che si sacrificassero magari interi capitoli, ma che le scene madri lacrimose e i grandi principi cristiani fossero integri e sottolineati.
Che poi il senso che avrebbe voluto dare l’autore fosse addirittura opposto, poco importava: doveva essere rassicurante, commovente, edificante.

E, in fondo, abituare il lettore a leggere per “sommi capi” (e i doppi sensi sono tutti validi).

Da adolescente, negli anni ’70, diventò di moda l’apprendimento veloce: era pubblicizzato ovunque un aggeggio che prometteva, con il solo indossare una cuffietta audio di notte, di far imparare qualunque cosa durante il sonno, senza alcuno sforzo.
E imperversavano anche i “corsi di lettura veloce”, che insegnavano a leggere soltanto l’inizio delle parole terminandole mentalmente, incorrendo spesso in  equivoci madornali o fraintendimenti imbarazzanti(un po’ come i maledetti correttori automatici dei computer che, come tutti sanno, non ne azzeccano mai una).

Scomparvero rapidamente, per l’evidente inutilità (qualche pubblicità, a dire il vero, ogni tanto la vedo ancora, ma deve essere solo la moda del vintage), ma lasciarono, evidentemente, degli strascichi subliminali nelle nostre teste e in quelle delle generazioni successive.

Si insinuò nei cervelli umani la pigrizia mentale del non leggere tutto, del capire tutto dalla sola rapida occhiata ai titoli, della superficialità portata a sistema, della presunzione del comprendere senza sapere.

Per carità, la superficialità e l’ottusità sua cugina non sono esclusiva dell’ultimo mezzo secolo, anzi, ma il colpo di grazia è arrivato con internet e una mole di notizie enorme e frammentata che, aggiunta alla bulimia acritica di molti “navigatori”, ha dato la benedizione e l’estrema unzione allo “spizzico”.

I social networks hanno però aggiunto, malvagiamente, un tassello velenoso a tutto questo: la facilità e l’immediatezza del commento.
Commento possibilmente salace, magari graffiante, sostanzialmente offensivo, per il diretto interlocutore o un perfetto sconosciuto poco importa: è la socializzazione bellezza!

E magari costruito con cura, argomentato con improbabili citazioni, sproloquiando delle quattro cose lette tra i commenti altrui, infarcito di principi fondamentali violati (se altrui) e inviolabili (se propri), che deflagra sovente nel turpiloquio e nell’attacco personale.

Ma fondamentalmente parte dalla mancata lettura integrale dell’oggetto del commento!

Spesso nei post così rilasciati si trova, con parole irose e volgarmente combattive, la conferma di ciò che nell’articolo o nella nota viene serenamente spiegato.
Che se il commentatore accidioso avesse perso pochi minuti a finire, avrebbe letto da sé, evitando anche una brutta figura.
Clamoroso il caso di commenti esplosivi sulla sola lettura dei titoli degli articoli di giornale: come molti sanno , spessissimo i titoli degli articoli vengono messi non dall’autore, ma da altri, molte volte senza aver minimamente sbirciato l’articolo, sempre frettolosi, sovente addirittura contrastanti con il contenuto.
Ma i commentatori istantanei non perdono un colpo: letto il titolo e l’autore (se rinomato) partono con la filippica, talvolta anche incensatoria (Gramellini ne raccoglie a fascine), sempre fuori luogo, sempre sopra le righe.
E, soprattutto, sempre piena di nulla.

Il momento clou viene però quando il commentatore ai raggi X viene a sua volta controcommentato e gli si fa pacatamente notare l’incongruenza del suo proclama accusatorio.
Allora inizia una delle più emozionanti avventure alpinistiche della storia: l’arrampicata a mani nude, ma col coltello tra i denti e i tatuaggi maori, di uno specchio alto mille metri, che la nord dell’Eiger è il gradino del marciapiede.
Sfodera argomenti incredibili (nel senso più stretto del termine), accusa di far parte di complotti di ogni genere, se amico (nella vita reale, non virtuale) si offende per averlo preso in castagna, esce con la storica frase “tanto con voi è inutile parlare” (in cui “voi” sono gli adepti del complotto di cui sopra e intanto però continua a parlarci), infine, gesto plateale, “banna” o più semplicemente cancella l’interlocutore incriminato.
Ma non capita spesso e se capita è solo perché ha la possibilità di continuare a leggere gli ulteriori commenti che hanno seguito il suo, perché la curiosità di vedere le conseguenze della “bomba” che ha lanciato non si placa.
Una bomba fatta di nulla, ovviamente.

Il nulla che ci viene dal vuoto pneumatico culturale che ci assedia, che ci invoglia e ci blandisce.
La superficialità è una sirena che promette soluzioni facili a problemi complessi, che stuzzica l’amor proprio dando la sensazione di essere al pari livello dei grandi della terra (che sia Bertrand Russell o Andrea Pirlo dipende dai gusti), che dà mano libera nell’utilizzare a sproposito la parola “cultura”.

Ma la Cultura, maiuscola, è davvero altro: la cultura è la predisposizione ad apprendere, indipendentemente dalla scolarizzazione o dal censo.

E per apprendere tocca faticare un po’, applicarsi con un filo di umiltà, leggere (fino in fondo) e approfondire.

L’unica scorciatoia è un tuffo nell’ottundimento, ma, forse, non è così dolce naufragare in questo mare.


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