Comportamento e scienza

Da Bruno Corino @CorinoBruno


Ma il comportamento (umano) può davvero divenire oggetto di scienza? I behavioristi americani hanno provato a farlo, certo riducendo il comportamento a semplici contrazioni muscolari. Nell’Ottocento il filosofo Jeremy Bentham (1748-1832) aveva individuato nel calcolo razionale del dolore e del piacere l’assioma fondamentale della natura umana, da cui ricavò la sua etica: tutti gli atti che accrescono la felicità umana sono giusti e quelli che la diminuiscono sono sbagliati. Elencò poi quattordici piaceri semplici e dodici dolori, assegnando a ciascun atto che causi l’uno o l’altro una misura. Cosicché Bentham poteva risolvere alcuni problemi pratici applicando la sua aritmetica morale. Lo scopo era fondare l’etica sulla natura umana anziché sui precetti divini. La sua aritmetica morale sarebbe sfociata in un “sano” pragmatismo, in quanto del comportamento umano metteva in evidenza l’effetto che avrebbe avuto sulla società. Più tardi John Stuart Mill avrebbe sostenuto l’esistenza di verità assiomatiche in economia: gli individui agiscono nel proprio interesse. Anche in questo caso occorreva ridurre il comportamento a qualcosa di razionale. Tutto il resto finiva con l’essere confinato nel campo dell’irrazionale: emozioni, sentimenti, paure, desideri, ecc., non hanno nulla di razionale, si rifiutano di obbedire a regole matematiche. Perciò nessun pensatore ha finora realizzato un approccio quantitativo e deduttivo, capace di predire e controllare i comportamenti umani. Bisogna pensare che ciò sia dovuto ai limiti della mente umana, oppure a un’impostazione del tutto sbagliata? Vedremo in futuro quale sarà la risposta.


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