Molto interessante è il caso di una ricercatrice della Columbia University, Betsy Sparrow, che ha paragonato Internet a una "memoria esterna" del nostro cervello. Ora è chiaro a tutti quale sia l'utilità di una memoria esterna, ad esempio se il nostro vecchio notebook col suo limitato e lento hard disk da 40 gigabyte non riesce a contenere più i nostri documenti, foto e filmati, ci compriamo allora un hard disk esterno da 640 gigabyte, capiente e veloce, glielo colleghiamo via porta Usb e avremo così "esteso" la sua limitata memoria di massa.
Pare allora che la stessa cosa stia accadendo con l'uso sempre più massivo dei motori di ricerca, consultati via pc, notebook, netbook, tablet e smartphone praticamente per ogni necessità: studio, lavoro, e-commerce e svago. Il nostro cervello non deve così più ricordare numeri di telefono; essi sono memorizzati sulla rubrica dello smartphone. In effetti chi scrive si ricorda che prima del boom della telefonia almeno una quindicina di numeri telefonici principali erano tenuti a mente. Ora se ne ricordano si e no tre o quattro. Ancor più il discorso vale per i motori di ricerca: ormai per ogni cosa interpelliamo google o yahoo oppure bing, dalla ricerca per studio o lavoro alla semplice ricetta di cucina. Perchè allora memorizzare gli ingredienti del pollo con le mandorle se basta un click per rivederli ogni volta che vogliamo, con tutti i dettagli e senza l'incertezza di non ricordare bene la quantità di un particolare ingrediente?
Lo studio della Sparrow è molto serio ed è intitolato: "Google Effects on Memory: Cognitive Consequences of Having Information at Our Fingertips", ovvero "Effetti di Google sulla memoria: conseguenze cognitive nel poter avere tutte le informazioni a portata di dito". Lo studio afferma a chiare lettere che ormai, avendo a disposizioni ampi database consultabili su ogni argomento possibile il nostro cervello omette sempre più di memorizzare ciò gli serve. Google in particolare conta 47 immensi datacenter di cui 35 in USA, e 12 in Europa. Basti pensare solo che quello presente in Sud Carolina si estende per 186 ettari! In tutto si calcola che siano 450.000 i computer con sistemi operativi Unix Bsd e Linux per processare i dati di catalogazione del web e rispondere alle centinaia di milioni di richieste degli utenti ogni giorno. Accade allora che il cervello umano, avendo disponibile questo oracolo, si abitua a non ricordare più le informazioni nella loro completezza bensì a ricordare le tecniche per trovarle! Questo comporta che tenderemo inevitabilmente a dimenticare molte informazioni quando saremo sconnessi da Internet ottenendo di fatto una involuzione delle funzioni cognitive della nostra memoria.
La Sparrow ha per questo messo in campo alcuni test. Il primo test ha misurato i tempi di reazione di fronte a domande accademiche difficili. Quando la domanda diveniva particolarmente difficoltosa gli individui sottoposti al test pensavano prima di tutto a Google e Yahoo per trovare le risposte.
Il secondo test chiedeva loro di memorizzare delle frasi, dicendogli che in alcuni casi erano disponibili online e in altri no; ed è qui emersa una differenza nella qualità della memorizzazione. Il terzo test era teso a dimostrare che se crediamo che un’informazione non sarà più disponibile online, la memorizziamo meglio. Il quarto test ha invece dimostrato che le persone sottoposte al test ricordavano meglio dove cercare un’informazione piuttosto che memorizzare l'informazione in quanto tale nella memoria.
Concludendo, l'uso frequente dei motori di ricerca sembra abbia una importante influenza sulla nostra memoria e sul modo di organizzare il pensiero.
Tutto ciò però impone una riflessione: non per caso che possa essere vero il contrario? Ovvero che il nostro cervello sia gia nativamente predisposto per la cyborgazione e quindi, quando si rilevi la disponibilità di una memoria digitale esterna più capiente, più dettagliata e rapidamente accessibile esso vada a preferire quella invece della sua limitata memoria biologica nativa?
Studi nel settore relativi alla sostituzione dell'ippocampo con microchip biomimetici (utili per recuperare persone malate di alzeimher e di altri deficit cognitivi) sono già allo studio, cito ad esempio la ricerca del neurobiologo Theodore W. Berger, descritta in dettaglio in questo articolo su Futurology.it.