Intervista a Deborah Crociani, coach.
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Una ragazza con le idee chiare che guarda lontano, Deborah Crociani.
Una mente allenata ad affrontare obiettivi complessi che si è forgiata all’insegna della flessibilità, pronta ad adattarsi alla realtà senza mai aspettarsi il contrario.
Una laurea in giapponese, data quasi per scontata come se fosse una cosa per tutti, che si è rivelata un trampolino dal quale fare un tuffo nell’umanità nel senso più ampio del termine.
Ci descrivi la motivazione che ti ha spinto a fare un lavoro totalmente difforme dagli studi universitari intrapresi?
In realtà non ritengo che lo studio delle lingue e culture diverse dalla nostra sia così lontano e fuorviante rispetto alla figura di coach o formatore come magari può sembrare. Per due motivi: in primis studiando all’estero ho riscoperto le mie radici e poi ho capito che il mio interesse principale era “comunicare”. Durante i sei mesi trascorsi in Giappone, nonostante conoscessi la lingua, mi ci è voluto un po’ per abituarmi al parlato locale e ad esprimermi in modo che mi comprendessero. Da questa esperienza sono giunta alla conclusione che capirsi e comunicare al di là della cultura di provenienza era per me prioritario. La mia esperienza come ragazza alla pari in una piccola cittadina nipponica in qualità di volontaria con bimbi della scuola dell’infanzia e in una comunità per anziani, mi ha dato la possibilità di apprezzare il valore della gestualità e della mimica, del linguaggio del corpo insomma, e di tutti quei segni che più o meno inconsciamente usiamo per esprimerci.
Com’è stato sentirsi così diversa dagli altri ed essere al centro dell’attenzione? Com’è l’atteggiamento dei giapponesi nei confronti degli italiani?
E’ una strana sensazione. Sono persino diventata famosa, hanno parlato di me sui giornali in quanto occidentale. L’italiano è considerato in modo positivo dai giovani che sono molto attratti dal nostro mondo, mentre a seguito degli esiti della seconda guerra mondiale gli anziani non si facevano nemmeno toccare da me perché ci considerano traditori. In genere comunque hanno difficoltà ad accettare gli stranieri, hanno un grande senso di appartenenza e sentono di avere qualcosa in più rispetto agli altri Paesi. Fondamentalmente comunque sono molto rispettosi e non dimostrano mai il loro dissenso, la loro eventuale diffidenza o ritrosia è qualcosa che va al di là del loro comportamento.
Perché ritieni di essere adatta a svolgere l’incarico di docente e formatore?
Oltre agli anni di studio e alle varie docenze che mi hanno dato le basi necessarie, mi piacciono le persone e l’umanità in genere. Mi piace molto rapportarmi con i giovani e sento di riuscire a conquistare la loro fiducia e la loro stima. So essere determinata e paziente, sono flessibile ma so anche quando mettere i cosiddetti paletti. La docenza con gli adulti è completamente diversa da quella con i ragazzi. Nel primo caso è un percorso che scelgono autonomamente e il loro coinvolgimento è totale, mentre i più giovani sono spesso demotivati ed hanno poca autostima. Nel corso di una delle attività che sto svolgendo adesso come insegnante di Comunicazione in una scuola professionale, sto imparando a gestire gruppi disomogenei con casi a volte piuttosto difficili da affrontare e mi accorgo che i ragazzi in realtà stanno formando me perché devo reagire in modo consono alle loro provocazioni quotidiane, siano esse volute o intrinseche al loro vissuto e a quello delle loro famiglie.
Qual è fra i corsi che hai frequentato il più significativo?
L’incontro con Anthony Robbins a Londra dove mi aveva mandata l’agenzia con cui collaboravo è stato per me fondamentale, in quell’occasione ho conosciuto anche Silvia Minguzzi. Partecipare agli eventi organizzati da Anthony Robbins è una svolta importante nella vita di una persona e cambia il modo in cui si concepisce il proprio mondo interiore, da quel momento si ha un approccio diverso anche con l’altro. Per lui l’amore e la connessione sono concetti fondamentali ed è un eccellente comunicatore oltre ad essere fortemente carismatico. Mi ha regalato un grande meccanismo che posso autonomamente innescare quando ne ho bisogno. Per fare un esempio di immediata comprensione, prendiamo la metafora dei giocattoli a molla: anziché limitarsi a caricarmi lui mi ha consegnato la chiave e io posso ricaricarmi quando voglio. In altre parole per essere motivata, sicura di me e delle azioni che intraprendo nella piena consapevolezza non ho bisogno che nessuno che mi spinga perché io mi spingo da me.
C’è stata un’altra occasione che ti ha fatto pensare di reindirizzare la tua professionalità?
In effetti durante gli anni in cui mi sono occupata di insegnare le tecniche di vendita, il marketing e il telemarketing a commerciali di diversa estrazione, mi sono resa conto che non basta avere gli strumenti se non si acquisisce anche un modo di essere coerente con essi, è necessario avere in sé la giusta predisposizione d’animo. Per esempio posso insegnare a dire “Buongiorno” ad un venditore ma se lui non lo dice con la giusta convinzione non trasmette accoglienza ma distanza anche se usa le parole giuste. Questo ha sviluppato il mio interesse verso una formazione a trecentosessanta gradi nel campo della crescita personale, del coaching, della motivazione.
Cosa ti ‘carica la molla’ quando lavori?
Il mio obbiettivo è nel quotidiano, nel piccolo: quando incontro una persona mi prefiggo di farla stare meglio rispetto a quando l’ho incontrata. Con l’esercizio costante questo atteggiamento diventa una nuova abitudine. In pratica chi ha le idee chiare non mette ansia e la serenità è qualcosa che si trasmette. Mi piace far parte della schiera di persone in cui la logica della coerenza, della competenza, del buon esempio, dei valori positivi portano con sé benessere e armonia.