Comunicazione etica e menzogna istituzionalizzata

Creato il 02 luglio 2014 da Alessandro Zorco @alessandrozorco

Non so a voi, ma a me il gioco delle parti non convince più. Sei con me o contro di me. Sei bianco o sei nero. Non c’è più spazio per i colori. E spesso non c’è neppure spazio per la verità. La menzogna è stata istituzionalizzata, elevata a sistema. E’ diventata parte integrante del gioco delle parti. Ognuno diventa salvatore della patria e solo la sua sapiente azione è capace di restituire il benessere alla collettività. In realtà il più delle volte si cerca soltanto, a turno, di spacciare l’ennesima menzogna. Lo stesso fatto viene interpretato dalle stesse persone in maniera totalmente opposta, è bianco o nero a seconda che provenga da una fazione o dall’altra. Se conviene è fonte di grande soddisfazione, se non conviene suscita indignazione. Senza alcuna coerenza. Tanto l’opinione pubblica non ha memoria, non ha nè tempo, nè voglia di verificare. Nessuno si ricorderà delle dichiarazioni che quel politico aveva rilasciato tempo fa su quell’argomento, anche se erano esattamente contrarie a quello che sostiene adesso. Il giornale cartaceo che le aveva riportate è stato ormai buttato (per fortuna ci sono quelli digitali!). E allora tutti si berranno l’ennesima menzogna che alla fine diventerà una indiscussa verità. 

La menzogna istituzionalizzata

La menzogna è ormai istituzionalizzata. Senza controllo. Quando la maggior parte dei politici e dei rappresentanti di istituzioni e enti di qualsiasi ordine e grado dice una cosa, in realtà molto spesso sta pensando il contrario. Ad esempio dicono che vogliono abbassare le tasse? State certi che le aumenteranno. Dicono di tutelare il lavoro? Nella pratica lo stanno calpestando.

Nel periodo in cui vanno di moda le grandi intese c’è da rimanere sbigottiti per la facilità con cui certi voltagabbana sono in grado di criticare ferocemente una parte politica dopo averla magari convintamente appoggiata in passato. O addirittura avervi ricoperto importanti incarichi.

Nella politica moderna l’onestà intellettuale lascia spesso il posto alla menzogna consapevole.

Ma se la disonestà intellettuale può essere comprensibile nella politica, che – come diceva il politico tedesco Otto von Bismarck – è l’arte del possibile e la scienza del relativo, è un po’ meno comprensibile per quelle categorie che, per il loro ruolo e la loro deontologia professionale, dovrebbero cercare la verità e raccontarla agli altri.

Eppure anche i giornalisti professionisti spesso e volentieri abbandonano l’imparzialità che dovrebbe guidarne l’azione e abdicano al proprio ruolo di smascheratori della menzogna. Ma al contrario diventano complici della sua diffusione in scala nazionale o regionale. Lo fanno quando si vendono alla politica, quando tacciono una verità scomoda perchè è contraria agli interessi di chi paga loro lo stipendio. Lo fanno quando, oltre la loro penna, regalano alla fazione per cui lavorano anche la loro intelligenza.

In particolare, quanto ai giornalisti che si occupano quotidianamente di comunicazione politica e istituzionale, è diffusa la convinzione che siano un tutt’uno con il partito o la fazione per cui lavorano. Sicuramente induce a pensarlo il modo con cui vengono nominati gli uffici stampa istituzionali: una volta al potere, la parte vincente fa tabula rasa di chi c’era prima e piazza i suoi uomini di fiducia che diranno, scriveranno e faranno esattamente quello che vuole il vincitore.

Come i Pinocchio della politica, anche i comunicatori politici svolgono allora la loro parte in questo teatrino della menzogna. Diramano notizie in cui la verità dei fatti è distorta, piegata a proprio uso e consumo dai centri di potere. Quella menzogna istituzionalizzata approderà nei giornali e nelle televisioni dove, salvo eccezioni, sarà bevuta così com’è. Entrerà in produzione. Poi opportunamente confezionata sarà venduta al pubblico pagante. E diventerà per l’opinione pubblica la verità assoluta. Tanto poi nessuno si prenderà la briga di andare a verificare se il nero è veramente nero. Oppure è bianco. Oppure se magari è proprio un altro colore. La menzogna istituzionalizzata continuerà a circolare e ad avvelenarci. Alla faccia dell’etica, della deontologia e dell’obiettività.

Un nuovo ruolo per i comunicatori politici

Oggi poi che la politica, dopo averli abbondantemente sprecati, ha meno soldi a disposizione, per prima cosa sta eliminando gli addetti stampa professionisti. Giusto per fare un esempio locale, appena sono stati sforbiciati i fondi dei Gruppi del Consiglio regionale della Sardegna (al centro delle polemiche per via dei noti scandali che coinvolgono una novantina di consiglieri) immediatamente hanno perso il lavoro decine di addetti stampa. Adesso la maggior parte dei partiti si arrangia come può e per risparmiare utilizza funzionari o militanti prestati alla comunicazione.

Ma è un grave errore. Perchè la politica, in Italia e in Sardegna, ha un gran bisogno di un giornalismo professionale. Di un consiglio spassionato e non di parte. Magari semplicemente per mantenere una linea coerente e credibile. Non sia mai che qualcuno, smanettando su internet, si accorga che qualche anno fa quell’esponente politico ha dichiarato esattamente il contrario di quello che vuol scrivere oggi sul comunicato stampa. Con la stessa identica convinzione.

Se è vero che l’Italia è un Paese senza più memoria, il giornalista professionista in teoria dovrebbe essere proprio la memoria storica di un Paese e delle sue istituzioni. Per questo, in un momento di grande crisi occupazionale, sarebbe opportuno ripensare il ruolo del comunicatore politico e istituzionale reinterpretandolo come un professionista che deve essere totalmente esterno dalle dinamiche politiche in modo da garantire ai cittadini una comunicazione veritiera secondo i dettami deontologici ed etici. Se posso fare una nota personale, nella mia appena conclusa esperienza triennale di addetto stampa di un piccolo partito politico sardo ho sempre rifiutato categoricamente di farmi la tessera (nonostante insistenti richieste dal Nazionale), consapevole peraltro di poter dare un plusvalore alla mia attività professionale proprio attraverso uno sguardo esterno e obiettivo alle dinamiche interne (e devo dire che tale scelta è stata apprezzata dai dirigenti).

Che fare allora?

Magari – per tutelare i giornalisti professionisti che lavorano in questo settore – gli Ordini dei Giornalisti, oltre che sulla rigorosa applicazione delle norme deontologiche, potrebbero vigilare anche sulla rigorosa applicazione della legge N. 150 del 2000 che, all’articolo 9, impone alle Pubbliche Amministrazioni (la cui gestione, è inutile negarlo, è sempre legata alla politica) di utilizzare negli uffici stampa giornalisti iscritti all’Albo professionale. Norma, come risaputo, che finora è stata accuratamente e inspiegabilmente dimenticata, nonostante possa dare un po’ di respiro occupazionale ad una categoria che sta letteralmente boccheggiando.

Se invece non ci sarà una radicale rivisitazione del suo ruolo nell’ottica di una rigorosa deontologia professionale e ricerca della verità, per il giornalista che di mestiere fa il comunicatore politico non ci sarà futuro: sarà rimpiazzato senza pietà da uomini di partito che non hanno alcuna remora nel continuare ad inquinare i media e l’opinione pubblica e a far circolare senza alcun vincolo deontologico la menzogna istituzionalizzata.


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