Comunimalismo: una risposta a Marco Maurizi

Creato il 02 marzo 2012 da Alby87

Cos’hanno in comune animalisti vegani e strenui difensori del proletariato che da duecento anni è in rivolta contro la borghesia cattiva? La risposta è Marco Maurizi. E speriamo soltanto lui, perché il miscuglio che ne esce è qualcosa che non si desidera particolarmente rivedere.

Ma andiamo con ordine: faccio la conoscenza col Maurizi giusto qualche giorno fa, quando commento il video di un suo intervento a un convegno antispecista (sic!) accusandolo, starà al lettore giudicare se a torto o a ragione, di aver in esso proferito delle idiozie filosofiche.

Non c’è modo migliore di far incazzare un filosofo che fargli notare di aver detto delle cazzate filosofiche. Ma è anche del tutto normale farlo, tutti i filosofi della storia non hanno fatto altro che accusarsi a vicenda in modo più o meno ipocrita di dire delle cazzate, e se qualcuno non lo ha fatto esplicitamente, lo ha fatto implicitamente, perché nel proferire una teoria si fa evidente il deprezzamento di quella opposta. Io non sono diverso, il mio stile argomentativo non prevede l’onore delle armi verso chi commette errori, e non ho alcuna intenzione di modificarlo e far sconti di pena (e poi, perché dovrei concederlo a Maurizi, che non lo ha concesso a Karl Popper, accusandolo in un suo articolo di aver detto “sciocchezze”? Forse perché il mio “idiozie” è più sgradevole all’udito?). Imparate che non potete chiedere ad uno stirneriano di avere “rispetto per le vostre idee”, poiché esse sono anche le mie e ci faccio quello che voglio.

Inutile dire, però, che da bravo marxista Maurizi se la prese parecchio all’idea di non essere preso sul serio; loro si prendono maledettamente sul serio e tutti quanti devono fare lo stesso. Dopotutto Marx si incazzò parecchio con Stirner, che lo aveva spogliato col suo stesso cinismo e in ultima analisi aveva mostrato quanto essi si somigliassero. E rispose più o meno nello stesso modo in cui oggidì si è risposto a me, ovvero attaccando la persona, e infine rifuggendo lo spiacevole confronto. Si parla tanto, infatti, della famosa risposta di Marx a Stirner, ma sta di fatto che Marx quella caustica risposta non la diede alle stampe …

Da questo momento Maurizi entra nelle mia (dis)grazie. E come non poteva? Immaginate, come vi dicevo all’inizio, di mettere insieme animalismo e comunismo … che cosa potete ottenerne mai?

Scopriamolo.

Un approccio difficile

Il problema iniziale fu il fatto che Maurizi fa un uso del marxismo molto comune in certi circoli filosofici, e rende difficile l’aggressione frontale. Più o meno funziona in questo modo: si fanno delle critiche a Marx e/o ai marxisti, e ad esse si risponde:

“Ma guarda che quello non era marxismo! Quello era engelismo/stalinismo/leninismo/maoismo/marxismo-fruedismo/marxismo-ortodosso/cattomunismo/socialismo etc.”, fin quando alla fin fine ti sorge il dubbio che ognuno di coloro che cita Marx ne abbia una sua idea. Probabilmente è vero, come ogni cristiano ha la sua idea di Dio. E come è vero che ci sono centinaia di chiese e chiesuole cristiane, cattoliche, meno cattoliche, più ortodosse e meno ortodosse, unitariane, tradizionaliste, ecumeniche e via dicendo. Ma sono tutte chiese e sono tutte cristiane, e una volta che l’assunto base, il dogma divino, sia stato rifiutato, le si rifiuta in blocco tutte. E così tutte le varie ecclesie marxiste possono esser rifiutate in blocco una volta che si sia svelata la contraddittorietà e sostanziale vacuità che le fonda.

Dunque l’unico, complicato modo per vincere contro una strategia così sottile e sfuggente è riuscire a mettere nell’angolo chi si ha davanti e costringerlo ad esprimere cosa effettivamente egli pensi, al di là del riferimento a questa o quella parrocchia. Insomma, da un lato si procede alla confutazione (o al semplice rifiuto) dei dogmi di base, e dall’altro si impedisce all’avversario di nascondersi fra i riferimenti a pensieri altrui, obbligandolo a denudare i propri.

Seguendo l’invito rivoltomi dal diretto interessato, sono andato a guardarmi un po’ di bibliografia Mauriziana. Sostanzialmente, tutto ciò che egli porta a sostegno della sua particolare teoria è che il marxismo possa e debba essere applicato anche alla liberazione animale.

Dunque sarà inevitabile dire qualcosa, sia pure il meno possibile, sul marxismo.

Brevissimi appunti al marxismo

Essendo il marxismo sbagliato, c’è già qualcosa che non va. Ho già scritto in passato su Marx, e la mia voglia di sviscerare l’argomento si sta già esaurendo. Marx lo trovo noioso, noioso, noioso e stupido, come filosofo. Direi, con Keynes, che

 Il socialismo marxista deve sempre rimanere un mistero per gli storici del pensiero; come una dottrina così illogica e vuota possa aver esercitato un’influenza così potente e durevole sulle menti degli uomini e, attraverso questi, sugli eventi della storia.”

Potrei essere più gentile, e arrivare a riconoscere a Marx forse un valore come economista, ma il materialismo dialettico è demenziale, e inoltre non elude affatto il problema animale, né lo incorpora in sé. Forse non lo esclude, ma di sicuro non lo implica o sottintende, a meno di evidenti forzature.

Fondamentalmente, il problema del materialismo dialettico è che esso vuole parlare delle cose materiali, e poi lasciare che esse parlino da sé. Ma le cose materiali non parlano, dunque il materialismo si riduce a parlare delle parole sulle cose, esattamente come l’idealismo, trascendentale o romantico che sia. Eppure vorrebbe trarre la propria superiore forza dal suo parlare “solo delle cose”, e dal considerare se stesso sottoprodotto delle cose, solo dei fatti, come se esistessero fatti per sé stessi.

Tutto questo, fra l’altro, non può essere certo argomentato. Kant poteva inserirsi sulla scia del dibattito fra scettici e dogmatici come una fase naturale di quella risoluzione, e considerare parte del lavoro come già fatta; Fichte poteva partire dall’idealismo Kantiano, procedere alla rimozione dello scomodo noumeno, e considerarsi la naturale prosecuzione del lavoro precedente; Schelling ed Hegel sono, ciascuno a suo modo, prosecuzioni e perfezionamenti di quella strada, che è quella idealistica, che mira a sanare la scissione fra cose e pensieri. C’è addirittura chi considera conclusa con Hegel la filosofia, perché in lui la scissione è risolta, e tutto è Geist. E questa non è una prospettiva antirealistica solo perché il nome richiama a concetti spirituali, tutt’altro; proprio perché la scissione è risolta, è la distinzione fra spirituale e materiale a non avere più senso. Non c’era più niente da “invertire”. L’inversione di Marx, prima di essere tale, è innanzitutto un passo indietro; prima recuperiamo la divisione, dopo invertiamo la gerarchia. Il che vuol dire che il grosso del lavoro degli idealisti va giù con lo sciacquone, e Marx non prosegue sulla loro scia, anzi mi spingo a dire che non può vantare alcuna reale ascendenza nell’ idealismo. Ha potuto strapparne un paio di concetti a lui comodi, come lo storicismo e il dialetticismo di Hegel, ma astratti dal contesto originale, che è idealista, sono privi di qualsiasi logica. La storia e la dialettica possono dirci qualcosa sul divenire del pensiero solo nel momento in cui si ammetta l’identità fra mondo e pensiero, e non una qualsiasi gerarchia.

Il marxismo dunque non può certo dare per scontata alcuna base argomentativa filosofica. E se vuole essere una teoria filosofica, e vuole esserlo, deve fornirla, ovvero deve muoversi nel pensiero in tutte quante le direzioni. Quando Maurizi, riprendendo la nobile tradizione dell’idiozia marxista, ci racconta che lo specismo è solo frutto di un sistema economico e non vi contribuisce, si rende piuttosto ridicolo, visto che sta riempiendo pagine di inutili parole sull’antispecismo, e dunque sullo specismo. Quanto tempo sprecato per discutere di meri epifenomeni! A che serve? A che conduce?

Ma anche ammettendo che ciò di cui parla non fossero epifenomeni, ma fatti, le forze attive sociali che egli ritiene essere alla base di tutto (compreso, coerentemente, quello che lui stesso sta dicendo; ma le implicazioni di questo non sono esplorate), neanche questo conduce a niente, perché sono sempre e solo parole, e le parole sono epifenomeni. O no?

Forse non lo sono. Forse contano. Molti marxisti qui arrivano coi loro famosi distinguo “Marx non sosteneva che le idee non contassero per niente”. Be’, o per niente, o per tutto, o in parte; queste sono le tre possibilità. L’idealismo sceglie la seconda, il senso comune la terza. Dov’è il contributo marxista, che dovrebbe permettere di decostruire l’idea sulla base della materia? O nello scegliere la prima, o in nulla.

Ma se sceglie la prima, sceglie di non avere senso, sceglie l’autoreferenza, il cortocircuito logico che ha fatto impazzire matematici e filosofi per secoli. Il marxismo si trasformerebbe dunque in un antifilosofia, un pensiero che accetta di mettersi in gioco solo per modificare il fatto pratico, e dunque possa concedersi anche di essere falso e assurdo, del tutto o in parte, purché sia raggiunto lo scopo. Ma il problema è irrisolvibile, perché ogni qual volta che pensi al divenire, di fatto lo cristallizzi, mentre ogni volta che agisci, lo fai scorrere. Marx ci parla di cose morte e vuole usare questo discorso per interferire con quelle vive. Questo comportamento non è plausibile; se come Hegel parli di cose morte, allora come Hegel devi accettare che il tuo discorso non è che la descrizione di un processo compiuto, sepolto e consegnato al passato.

Sulla soluzione a questo pproblema renderò chiara la mia opinione in un altro intervento; per ora tentiamo di sfuggire a tutti questi inutili paradossi. Diciamo piuttosto che nessuna forma di pensiero può essere liquidata come il frutto di rapporti di produzione, così come nessun individuo può essere liquidato come lo snodo e il risultato dei rapporti sociali e della lotta di classe, così come nessun animale può essere liquidato come parte di un ecosistema, così come nessuna cellula può essere liquidata come parte di un organismo. Sono le parti a comporre il tutto almeno quanto il tutto determina le parti, e se una sfida ancora ci lanciava Hegel, era quella di superare anche l’ultima divisione da lui posta, ovvero quella sterile contrapposizione tra chi vuole eliminare il tutto e chi aspira invece a eliminare le parti.

Ma come si fa a dire che bisogna eliminare delle distinzioni, quando sul distinguo minuto, ossessivo, capzioso si fondano intere dottrine? Su questa linea di contraddizioni insanabili mascherate da eleganti distinzioni terminologiche si inserisce il Maurizi, che così arriva a sostenere che la questione animale è una questione politica, e non etica. Se avete letto i miei precedenti interventi sull’etica, sapete che io non faccio alcuna distinzione sostanziale. Come si può pensare che ciò che è giusto o non è giusto fare possa prescindere dal contesto sociale o naturale in cui ci si trova? Non lo si può, ovviamente. Ma se è solo una questione politica, e se la politica è solo come è forze ed interessi in contrasto e nel tentativo di un’armonizzazione, non c’è spazio per un “dovrebbe essere così”.

Risposta: “infatti io non affermo come le cose debbano essere, mi limito a descrivere come sono (certo, non ci sta mica suggerendo come le cose dovrebbero essere il Maurizi o San Marx … analizzano e basta, certo, n.mia), e dunque a proporre un’alternativa”. Non è vero, perché l’uso che fai dei termini è già pieno di connotazione morale, ma te lo concedo: stai solo aprendo delle finestre, mostrando possibilità. A questo punto si tratta di verificare se tali possibilità sono innanzitutto plausibili nel contesto e desiderabili per la nostra volontà, che sono i due requisiti per un agire che possa essere detto morale. Allora, fermo restando che in Marx l’etica C’È eccome (e d’altro canto concorda anche il Maurizi, l’etica c’è, ma contemporaneamente non c’è. C’è ma non troppo; come il ruolo di cultura, religione e arte; c’è ma non troppo; come l’importanza dell’individuo per sé; c’è ma non troppo, ça va sans dire), dovremmo andare a verificare come essa sarebbe strutturata, e se porterebbe naturalmente ed organicamente a forme di animalismo.

Marxismo, etica, comunimalismo …

Che Marx non abbia scritto direttamente di etica ce lo dice lo stesso Maurizi. Ma questo, a suo dire, non vuol dire che il comunismo neghi la possibilità dell’azione etica; è possibile infatti agire eticamente senza avere una teoria totale ed onnicomprensiva dell’etica. È pur vero che l’etica, essendo disciplina dei rapporti umani in generale, è una disciplina pratica, che deve attenersi alla risoluzione di problemi reali e particolari, non di astrazioni inconcepibili ed esperimenti mentali. Da questo adeguarsi al caso particolare non discende però che non debba esservi un’impostazione generale del problema, altrimenti non avrebbe senso neanche fare riferimento ad un qualcosa che si chiama “etica”, e si direbbe, molto semplicemente, che non esiste. Se di etica dobbiamo parlare, dobbiamo parlare di normatività, altrimenti si parla di estetica. Se si parla di normatività, bisogna trarre conclusioni generali, per quanto possibile.

In realtà, io ho sempre proposto un superamento dell’etica intesa come principio del comportamento, e dunque io stesso ho sempre valutato l’etica come questione politica, assorbita interamente in essa, intercambiabile con essa. Dunque io per primo non ho una teoria etica a cui il mio agire corrisponda esattamente e in maniera assolutamente generale, la soluzione del problema etico non ce l’ho. Ma per me è più che sufficiente essere riusciti ad impostare correttamente tale problema, ovvero aver prodotto una teoria sull’etica, piuttosto che dell’etica. E come una teoria sulla scienza non si chiama scienza ma epistemologia, e non risponde ai criteri con cui si valuta la scientificità, ma bensì dà ragione di quegli stessi criteri, una teoria sull’etica non si dovrebbe chiamare ancora etica ma avere un altro nome, e di certo non deve sottomettersi a criteri del giudizio morale come la ghigliottina di Hume, ma dare ragione della validità di tali criteri.

E la nostra, mia e del Maurizi intendo, teoria sull’etica è all’apparenza molto simile (la differenza è che egli non vi crede realmente, altrimenti dovrebbe portarla alle sue estreme conseguenze): riteniamo sia solo politica, ovvero frutto e manifestazione di rapporti di potere, potere fatto parola e legge. C’è spazio per gli animali in questa prospettiva? Solo nella misura in cui hanno il potere!

La prospettiva del Maurizi, che ci dice che dovremmo “metterci in ascolto della soggettività animale”, che dovremmo “sintonizzarci sulle sue frequenze” per scoprire in essi dei soggetti morali, porta a degli assurdi imponderabili. Tanto per cominciare, recupera un’etica, dopo aver fatto tanta fatica per metterla in politica; dunque rimette in gioco un principio etico superiore e ricade nella prospettiva filosofica di gente come Regan e Singer che tanto critica. Palla al centro.

Ma se per ipotesi restiamo invece in una prospettiva marxista e “politica”… poniamola così: vi risulta che Marx rivolgesse le sue prediche ai capitalisti? Vi pare forse che dicesse loro “dovete sintonizzarvi sulle frequenze dei proletari”, “dovete riconoscere la loro alterità” e “decentrarvi rispetto a voi”?

Non direi proprio; quella è dottrina sociale della Chiesa, non marxismo. Il marxismo si è sempre rivolto ai proletari, invitandoli a farsi soggetti politici, ad assumere coscienza di classe. Non esistendo una coscienza animale in senso politico, non può esistere una questione animale in senso politico, a meno di farla discendere “compassionevolmente” dal semplice conflitto fra interessi umani, ovvero dagli autentici soggetti che fanno politica, e dunque trasformandola in una “questione animalista” (Nietzsche sostenne addirittura, a mio avviso giustamente, che non sarebbe esistita neanche una “questione operaia” in senso politico se non la si fosse creata mettendo gli operai nelle condizioni psicologiche per desiderare di più di quello che avevano). Una questione animale può esistere in senso etico, ma SOLO SE si ammette che vi sia un’etica distinta dalla politica e si mostra il principio superiore da cui essa discende. Viceversa, qualunque etica discendente dall’azione umana è sempre espressione di potere e signoria umana, e l’ottica decentrata di cui parla Maurizi è puro vaneggiamento: non ci si può “guardare da fuori”, e l’illusione di questa possibilità è alla base di tutti gli errori del materialismo. Le cose le puoi guardare solo dal tuo punto di vista, e la sfida non è quella di uscirne fuori, quanto di starvi dentro con coerenza. Sfida persa, qui.

Piuttosto, se si vuole assumere una posizione che non sia affatto politica, ma etica, allora si va assolutamente nelle argomentazioni classiche dell’animalismo, e casi marginali, “interessi morali”, “pazienti morali” e altre ardite invenzioni di pseudofilosofi animalisti fanno nuovamente il loro teatrale ingresso. Questi punti di vista sono già stati confutati in altri miei interventi sull’etica.

Resta a questo punto un ultimo passaggio da verificare, che poi è quello che negli scritti del nostro passa come la sua grande scoperta filosofica: la continuità organica fra sfruttamento animale e sfruttamento umano. Ovvero, se legittimiamo lo sfruttamento sull’animale, rendiamo legittimo anche quello sull’uomo, e viceversa, o anche, possiamo dire, entrambi sono i volti dello stesso sistema basato su rapporti di asservimento. Sembra che Maurizi voglia fare una distinzione sostanziale fra la semplice applicazione di lotta e violenza e la strutturazione di un rapporto di asservimento. Ma tutto ciò non ha senso: il rapporto di asservimento è ciò che viene alla luce nel momento in cui lo squilibrio di potere sia univoco e assuma carattere di permanenza, come nel caso del rapporto uomo-animale, ma sempre di rapporti di potere si parla. Sulla base dei rapporti di potere che costituiscono tutte le fondamenta della natura, non si può costruire una questione animale, né in senso politico né in senso etico. Bisogna uscire da quella logica, ma allora si ricade sempre nel singeriano, e valgono le medesime devastanti obiezioni.

Conclusioni

Ora, per quanto si possa ritenere relativamente originale il tentativo di impostare il punto di vista animalista su basi differenti dall’utilitarismo classicamente adottato, dobbiamo ammettere anche che questo tentativo e contraddittorio, non risolutivo, palesemente non riuscito, e alla fin fine non aggiunge niente a quanto già proposto dagli animalisti della prima ondata. Cosa potevamo aspettarci? Se ci risulta già obsoleto tentare di cavar sugo dalle tettine esauste di una letteratura ormai trentennale, figurarsi se può essere di un qualche aiuto attaccarsi ai capezzoli sanguinanti di Marx ed Engels.

Devo comunque ringraziare il mio interlocutore per avermi concesso quest’occasione di ulteriore chiarificazione nell’ambito del dibattito etico sull’animalismo.

Ossequi.



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