Con armi e blasone

Creato il 05 ottobre 2011 da Senziaguarna

Sigillo di Giovanni Senza Terra

L’equipaggiamento del cavaliere è più semplice di quel che si crede: consiste essenzialmente nella cotta di maglia (usbergo), nello scudo, nell’elmo, e, come armi offensive, nella spada e, se deve affrontare una battaglia in campo aperto, nella lancia. Il sigillo di Giovanni Senza Terra, conte d’Angiò oltre che duca di Normandia, e infine re d’Inghilterra all’inizio del XIII secolo, è molto caratteristico. Se non si vede la cotta di maglia è perché, seguendo l’uso generale dell’epoca, indossa sopra questa un leggero surcotto, un abito simile a una tunica, che impedisce il riscaldamento dovuto al battere dei raggi del sole sulle maglie di metallo.
Niente a che vedere con le armature impressionanti che si vedono di solito nei film: l’armatura composta da piastre di ferro apparirà solo quando ci si dovrà difendere dalle armi da fuoco, dunque nella seconda metà del XIV secolo; la maggior parte di quelle che si vedono nei musei risalgono al XVI secolo, a volte al XVII. Sotto la cotta di maglia, si porta generalmente una sorta di gilet imbottito che viene chiamato gambeson o bambagione; il piede è molto spesso calzato di ferro (il soleret), come ne è coperta la testa del cavallo (chanfrein). Quanto all’elmo, la sua forma varia: all’inizio casco conico con il paranaso – pezzo di ferro che protegge il naso – diviene, nel XIII secolo, come quello di Giovanni Senza Terra, una sorta di marmitta a fondo piatto che ricopre tutta la testa. Il viso può esser lasciato scoperto, o protetto anch’esso, caso in cui è praticata un’apertura per gli occhi e dei piccoli fori per permettere la respirazione. A partire dalla fine del XIII secolo, l’elmo sarà sostituito da un elmetto puntuto a larghe tese e più leggero. L’elmo non verrà più portato salvo che nei tornei, e lo si arricchirà di fantasiose creste, piume, ali e teste di animali, a volte giungendo fino alla bizzarria, come in quelle immagini di tornei che ci rivela l’armoriale del Toson d’Oro.

Giovanni di Neufchatel-Montaigu - Armoriale del Toson d’ Oro, XV secolo.

Lo scudo è un pezzo interessante, perché, da tempi remoti, l’abitudine vuole che, per essere riconoscibile sul campo di battaglia o ai tornei, il cavaliere l’abbia adornato di emblemi e colori simbolici: è il blasone, che all’epoca si chiama insegna. Lo scudo era composto di cuoio rinforzato da piastre di metallo. Proprio da queste derivano le principali figure che compaiono sugli stemmi nobiliari: il palo, placca posta di lungo; la fascia, posta in orizzontale; la banda e la barra, che l’attraversano in diagonale, la prima da sinistra a destra (partendo dall’alto), la seconda da destra a sinistra; o ancora la croce di Sant’Andrea, e lo scaglione.

Esempi di ornamenti in stemmi nobiliari dell'Italia meridionale: 1) Palo - Imperiali; 2) Fascia - Sanseverino di Marsico; 3) Banda - Altavilla; 4) Barra - Villadicane; 5) Croce di Sant'Andrea - Capasso; 6) Scaglione - Beltrani.

O ancora, dagli scudi medievali derivano i due colori che richiamano i metalli, poiché in origine si trattava effettivamente dei pezzi di metallo che fissavano e rinforzavano il rivestimento di cuoio: l’argento e l’oro. Lo stesso rivestimento di cuoio era dipinto. Da qui, i colori degli stemmi, che in quei tempi vengono chiamati smalti e che, una volta stabilizzati i blasoni, saranno fissati al numero di cinque: azzurro, verde, rosso, nero, e infine porpora.

I vari tipi di smalti nell'araldica.

Si è creduto a lungo che il blasone avesse un’origine orientale e fossero stati importati in Europa nel periodo delle crociate. In realtà, i blasoni esistevano già molto tempo prima delle crociate. Già sulla tappezzeria di Bayeux si può constatare che i compagni di Guglielmo il Conquistatore hanno dei grandi scudi distinti da segni: linee ondulate, draghi, ecc., che li distinguono l’uno dall’altro; e si può vedere la stessa cosa nei manoscritti di XI secolo.

Particolare dalla Tappezzeria di Bayeux - inizio XII secolo.

L’origine del blasone è certamente molto antica. Sull’arco di Orange, i guerrieri galli sono già rappresentati con degli scudi ornati da segni forse puramente decorativi, come dovevano essere all’inizio, ma che avrebbero finito per diventare i caratteri di un vero e proprio linguaggio, perché le diverse combinazioni di colori e di segni – quelli che nel linguaggio araldico vengono definiti ornamenti – finiscono per designare non soltanto una persona, ma un intero lignaggio, i figli riprendono il blasone paterno, talvolta aggiungendovi un simbolo per mostrare l’alleanza matrimoniale con un’altra famiglia, ecc. Il tutto ha finito per formare, soprattutto a partire dal XV secolo, una vera e propria scienza, l’araldica, che ha ancora oggi i suoi adepti.

Gli scudi dei Galli sconfitti - bassorilievo, particolare dall'Arco di Oranges, I secolo a.C.

Durante il periodo feudale propriamente detto, i blasoni sono molto sobri. Si nota che, in generale, i giovani, appena armati cavalieri, hanno un blasone semplice, detto blasone piano, senza colori distintivi, e sarà solo alla prima impresa che adotteranno questo o quell’ornamento, questo o quel simbolo a loro scelta. Nel XIII secolo, questi simboli cominceranno a fissarsi: è l’epoca in cui il simbolo del re di Francia diviene definitivamente il fiore del giglio: i tre gigli d’oro in campo azzurro rimpiazzeranno i tre rospi che, secondo una leggenda molto diffusa, figuravano sul blasone del “re dei Franchi”. Essi hanno costituito, fino alla fine dell’Ancient Regime, la bandiera di Francia.

DAL ROSPO AL GIGLIO - Trasformazione degli ornamenti sullo stemma dei re di Francia.

L’uso di simboli parlanti è d’altronde sopravvissuto al Medioevo: ai nostri giorni, quando vediamo un disco rosso con un tratto bianco in orizzontale, traduciamo immediatamente: “Divieto d’accesso”. Un araldista leggerebbe: “Rosso alla fascia d’argento”. (Infatti, questo è stato il blasone della casa d’Austria prima di diventare il segnale di divieto d’accesso).
Noi ritroviamo l’uso del blasone in tutte le classi sociali, perché, nel Medioevo, non è affatto un segno distintivo della nobiltà, non più di quanto oggi il cavallino rampante lo sia per la Ferrari, o quanto lo sia una divisa o un’etichetta.

Lo stesso simbolo ieri e oggi - da stemma della casa d'Austria a segnale di divieto d'accesso!

Bibliografia
Georges e Regìne Pernoud, Le Tour de France Médiévale: l’histoire buissonnière, Stock 1982, pp. 144-148;
Ferdinando Acton Di Leporano, Nozioni di araldica, Lithorapid, 1978;
Paul Martin, Armes et armures de Charlemagne à Louis XIV, Office du Livre, 1967.



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