Con BeppoSAX dentro l’Anomalia

Creato il 27 maggio 2014 da Media Inaf

Una vista in sezione delle fasce di Van Allen con indicato la localizzazione della Anomalia del Sud Atlantico

Viene chiamata anche “il triangolo delle Bermude spaziale” ma l’appellativo corretto è Anomalia del Sud Atlantico (SAA, South Atlantic Anomaly). Anomalia di che cosa? Del campo magnetico terrestre, che in quella zona, localizzata pressappoco qualche centinaio di chilometri al di sopra delle coste brasiliane, è più debole. Per la precisione è il “punto” dove le fasce di Van Allen – gli anelli di particelle elettricamente cariche che circondano la Terra – arrivano più vicino alla superficie del pianeta. Già nel 1950, quando le fasce di Van Allen furono scoperte, gli scienziati sospettarono che la SAA potesse rappresentare un rischio. In seguito, con il succedersi e il raffinarsi delle missioni spaziali, si è potuto verificare quanto quel flusso di particelle possa interferire con le attività umane nello spazio.

Il telescopio spaziale Hubble e altri satelliti artificiali, ad esempio, devono spegnere gli strumenti più delicati quando attraversano l’Anomalia. Diversi astronauti sugli Shuttle hanno riferito di computer andati in crash e di lampi luminosi davanti agli occhi, in concomitanza di un transito attraverso l’Anomalia. Per questo motivo, la progettazione della Stazione Spaziale Internazionale ha richiesto una schermatura supplementare, poiché l’inclinazione della sua orbita la porta a passare periodicamente attraverso la SAA.

Immagine della SAA ad un’altezza di circa 560 km ripresa dal satellite ROSAT. Crediti: NASA / S. L. Snowden

Un gruppo interamente composto da ricercatori INAF e associati, trovandosi a progettare un nuovo telescopio spaziale la cui orbita prevista attraversa la zona più bassa di quell’area pericolosa, ha voluto conoscere più a fondo l’Anomalia. Il gruppo, guidato da Riccardo Campana, assegnista allo INAF-IASF di Bologna, ha rispolverato i dati di un satellite italiano in raggi X, BeppoSAX, una sonda che nella sua gloriosa carriera tra il 1996 e il 2002 ha più volte attraversato l’area in oggetto, registrando con lo strumento PM (Particle Monitor) il flusso di particelle.

“Abbiamo usato dati mai pubblicati del Particle Monitor a bordo di BeppoSAX,” ha spiegato Campana a Media INAF, “per mappare una zona poco nota ma molto importante dell’Anomalia Sud Atlantica, una zona della magnetosfera terrestre in cui vi è un elevato flusso di particelle di alta energia. È importante perché l’orbita di BeppoSAX (equatoriale a 600 km) era la stessa prevista per future missioni in studio (per esempio, LOFT) ed è una zona in cui i modelli usuali di radiazione sono non troppo affidabili. Questo permette quindi di fornire un utile confronto per i modelli, e permette di pianificare al meglio la vita operativa di futuri satelliti: il flusso di radiazione della SAA, infatti, limita la vita operativa e le prestazioni degli strumenti”.

Lo studio, in via di pubblicazione sulla rivista Experimental Astronomy, ha riscontrato che i livelli di radiazione nello strato inferiore dell’Anomalia risultano molto inferiori rispetto agli strati superiori e che l’Anomalia si sta lentamente spostando verso ovest. Questo è sostanzialmente in linea con i dati ricavati da un altro satellite che che ha analizzato la regione centrale della SAA. I dati di BeppoSAX possono ora essere aggiunti alle mappe esistenti della regione, fornendo ai progettisti un quadro più completo dell’Anomalia, per sfuggire alle sue insidie.

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Fonte: Media INAF | Scritto da Stefano Parisini