Questo lavoro di autori italiani, incentrato su robot giganti dalla squisita estetica vintage mecha-anime, non ha a che fare con la voglia di irretire consumatori nostalgici, quanto piuttosto con precise ambizioni narrative, in cui il contenitore cospira col contenuto.
Infatti, sugli scaffali delle librerie i due volumi di “Beta“, realizzati da Luca Vanzella e Luca Genovese per Bao Publishing, appaiono come uno studiato involucro di suggestioni spaziotemporali. La confezione cartacea è un riuscito balocco vintage: i fonemi del logo riplasmati in falsi logogrammi di fulmine e fuoco, il tradizionale simbolo dell’automa riassunto in un enigmatico carattere alfabetico, che è assieme sigillo di misteri scientifici e finestra-pulsante ludica che invita a sbirciare, lo spaccato degli ingranaggi interni che rievocano l’epica sonora delle sigle di Mazinga Z.
Facciamo un passo indietro.
Nel 2003 Vanzella e Genovese formano la Self-Comics, etichetta di autoproduzioni decisa a sfruttare al massimo i livelli di interazione col lettore che questo tipo di realtà permette, che si spinge fino ad abbracciare il copyleft. Nel pieno di questa esperienza, sono maturate sperimentazioni narrative-grafiche alla ricerca di un segno riconoscibile e personale e nascono le avventure di Aleaggio, dense di dolci suggestioni autobiografiche affiancate a innovativi esperimenti grafici, che iniettano energia comunicativa nella scena del fumetto “slice of life” italiano.
Proprio in una storia di Aleagio, nel 2005, si manifesta il prototipo dell’idea BETA: i ricordi dei luoghi d’infanzia si mescolano a un’inaspettata visione di basi e robot giganti innestati nei panorami italici. Questa scintilla porta a isolare e sviluppare una via “retrofuturista” rispetto al classico racconto intimista, espansa fino a diventare un avvincente romanzo di guerra, spionaggio e formazione.
Non più reperti mecha rinvenuti nel quotidiano, ma un vero e proprio giovane asso-pilota e i suoi alleati con rispettivi automi da guerra, scienziati, basi di partenza, nemici mostruosi. Non più una fotografia dal passato con elementi stravaganti, ma un complicato affresco fantapolitico che usa le battaglie robotiche come metafora di rapporti e tensioni della Guerra Fredda, in scala mondiale così come nel quotidiano. In tutto questo, le regole del genere robotico vengono rispettate pizzicando le corde narrative fino a generare note revisioniste in grado di rovesciare gli scenari iniziali e innestare tardive consapevolezze, ciniche e mature.
Da questa attitudine revisionista (inerente specialmente al rapporto tra “buoni” e “nemici”) nasce, nei paragoni seguiti ai primi commenti, l’accostamento a Evangelion oltre che ai robot della Toei o della Sunrise (questi ultimi rievocati più che altro come modelli da cui prelevare i canoni narrativi base del genere). Tuttavia l’opera Gainax era un pretesto metanarrativo per criticare aspramente l’ostinato e autistico prolungarsi dell’infanzia nella società nipponica, mentre Vanzella e Genovese sembrano più interessati a tornare sulla strada di Gundam,
Questo però vale solo sul piano narrativo, visto che in termini puramente estetici il riferimento rimane comunque la potenza iconica dei robot alla Go Nagai. Semplicemente, il presupposto narrativo dell’invenzione dei robot sostituisce, nella finzione del racconto, il deterrente della minaccia atomica sui due blocchi politici USA-URSS: sono quindi veri e propri strumenti, senza le connotazioni divine e le fusioni pilota-gigante d’acciaio tipiche della poetica nagaiana (anche se nel finale alcune pennellate più “tecnorganiche” e Gigeriane, alla Mazinsaga, trovano spazio).
I personaggi della storia vengono quindi sistemati in una scacchiera verosimile che vede i robot come tecnologia bellica sviluppata alla fine della Seconda Guerra Mondiale.
L’attenzione infusa nella caratterizzazione psicologica dei vari attori del dramma fa sì che l’intreccio di giochi di potere, amori, conflitti vada a sfociare in un dramma congegnato con perfetto senso del ritmo. I fili della complessa ma scorrevole trama si riannodano in una condanna decisa dell’ossessione per il controllo e la supremazia imperialista, un fantasma del secolo scorso mai realmente esorcizzato, di cui la fiction robotica è solo l’ennesimo e vivido riflesso.
La decostruzione ha il fulcro nel protagonista della storia Dennis Beta, prima presentato come il talentuoso e carismatico pilota di un meraviglioso e tranquillizzante simbolo di supremazia bellica, e poi rivelato impietosamente come una pedina prigioniera di una visione infantile, fiduciosa e ristretta che gli fa perdere di vista i dettagli del quadro generale in cui è imprigionato.
Dal punto di vista tecnico Genovese riutilizza la vivace grammatica del fumetto ideata nei suoi lavori più intimisti (uno per tutti, il balloon che contiene le forme accennate del profilo di chi parla fuori campo) e la fonde con una perfetta e minuziosa riproposizione della scansione narrativa nipponica, non solo nel disegno puro e semplice, infarcito di retini, linee cinetiche, fantasiose rielaborazioni delle onomatopee, ma perfino nelle inquadrature, che rimandano al montaggio frenetico degli shōnen manga più celebri. Quest’ultimo aspetto in realtà viene padroneggiato molto meglio nel secondo volume, in cui le scene d’azione risultano più fluide.
Il risultato di tutto ciò è una storia molto particolare, che segue i crismi del genere pur soddisfacendo esigenze di complessità maggiore e che mostra la sicurezza del mezzo acquisita dai due autori oltre all’innegabile attitudine comunicativa, potenzialmente commerciale, data dalla chiarezza e dal ritmo che sono capaci di infondere.
Abbiamo parlato di:
Beta voll. 1/2
Luca Vanzella, Luca Genovese
Bao Publishing, 2011/2012
224 pagine, brossurato, bianco e nero – 16,00€ cada.
ISBN: 978-88-6543-043-9
ISBN: 978-88-6543-108-5
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