“Sono nata donna, non ho da pensare ad altro“
C. Lonzi, Taci, anzi parla, p. 463.
E’ da
intellettualistica del pensiero della grande femminista, di andare oltre la sua riduzione ad un insieme di formule e di definizioni. Ciò infatti confliggerebbe con il suo pensiero che è un pensiero intriso di vita, la sua e, in fondo, anche la nostra.
Carla Lonzi ci parla ancora, parlare di lei è un parlare ‘con’ lei.
Se infatti la parola è comunicazione e se questa consiste nella parola detta e negli effetti di ciò che produce in chi l’ascolta, allora la comunicazione speciale di Lonzi di certo non è finita con la sua vita. Intatta rimane la potenza del suo messaggio, un messaggio che coinvolge interamente chi lo recepisce giacché la sua parola è innanzitutto un ‘dare la parola’. La parola di Lonzi è parola viva almeno finché continuano ad esserci donne che la leggono, che ricevono quel messaggio, che prendono la parola data da Lonzi.
Qui sta il cuore della sua ‘attualità’. Potremmo dire che è un pensiero intrinsecamente ‘attuale’. Il suo porsi al di là della storia in cui è nato risiede nel senso ultimo del suo messaggio, nel suo invito a parlare. Il ‘dare la parola’ è qualcosa che non si circoscrive all’interno di una storia particolare ma ha a fare con la politica in sé come ciò che tesse le relazioni umane. L’invito a prendere parola è chiaro e nitido in ogni scritto di Lonzi.
Il senso profondamente politico della vita e della parola lonziana è ciò che Maria Luisa Boccia mette in evidenza nel suo nuovo libro. L’idea del politico in Lonzi si mostra subito come distante dalle concezioni tradizionali sulla politica, sia essa intesa come potere oppure come attività meramente ‘pubblica’ separata dalla vita ‘privata’.
Di fronte al mero potere e alla separatezza tra politica pubblica e vita privata, la politica di Lonzi ha il suono della rivolta, perché ne mina tutte le basi, in primo luogo le basi ‘culturali’.
La base del potere non è la violenza, sembra dirci Lonzi, ma la cultura, ovvero ciò che ci fa ‘credere’ in quel potere senza che, apparentemente, sia stato alzato un dito contro di noi. La cultura patriarcale è cultura fondata sulla possibilità di istituire degli universali, fondata cioè su un’idea di trascendenza come separazione dal concreto, innalzamento di un astratto neutro, assoluto, valido per tutti indifferentemente. Questo sapere universale, falsamente oggettivo, è ciò su cui si è costruita nei secoli l’inferiorizzazione della donna e la sua collocazione nella sfera della pura immanenza. La trascendenza come universale è il fulcro del potere patriarcale. La rivolta della donna deve partire da qui, dal sovvertimento di questa idea di trascendenza.
Contro l’idea di rivoluzione, tipica del pensiero maschile, come cambiamento delle condizioni esteriori di esistenza, la rivolta femminile mira a cambiare innanzitutto i soggetti, attraverso una rivolta che parte dalla loro vita interiore. In questa rivolta, la donna deve porre la propria trascendenza e la pratica attraverso la quale può farlo è l’autocoscienza. L’autocoscienza, definita come “un’esperienza collettiva non ideologica”, è una pratica autenticamente politica. Radicalmente altro rispetto alle manifestazioni di piazza o ad altri modi di opposizione al potere, l’autocoscienza si mostra come ‘più politica’ perché capace di trasformare i soggetti che la praticano, prima che le situazioni. Essa è ‘più politica’ anche perché presuppone il mettersi in gioco davvero all’interno delle relazioni. A dispetto di quanto si possa pensare, l’auto-coscienza non si può fare in solitudine, non è una relazione tra sé e sé. Al contrario, l’autocoscienza presuppone la relazione e ha il suo fine nella relazione, si gioca tutta all’interno del rapporto tra una coscienza e l’altra, ma i suoi effetti agiscono sul mondo con molta più potenza di altre azioni ‘politiche’: essa rivolta il mondo.
Pratica concreta che agisce nell’immanenza, l’autocoscienza si rivela come il varco per porre un nuovo tipo di trascendenza, una trascendenza che non mira ad astrazioni e generalizzazioni, ma il contrario. La trascendenza che si scopre con l’autocoscienza si mostra essenzialmente come ‘differenza’, come non riducibilità delle singole coscienze ad identità prestabilite, a principi generali, a universalità uniformanti. Il movimento che si compie non è verso l’assoluto, ma verso il singolare, il differente. La relazione, perno dell’autocoscienza, presupposto e motore della possibilità di trascendenza, fa emergere la coscienza di sé come soggetto autenticamente politico, come soggetto che prende parola e che dà la parola.
La differenza è quindi la vera trascendenza e la trascendenza la scopriamo solo nella relazione con l’altra. Nella solitudine non c’è data la possibilità di questa apertura. Eccolo il messaggio politico di Lonzi, che Maria Luisa Boccia ci ricorda così bene, invogliandoci ancora una volta a prendere in mano quei testi e a prendere parola, con Carla.