La ex Baby doll Carol Baker è Deborah, appena sposatasi in America con Marcel alias Jean Sorel, insieme al quale torna in Europa, dove l’uomo è nato, per il viaggio di nozze.
Sono loro i due protagonisti de Il dolce corpo di Deborah, thriller diretto nel 1968 dal bravo Romolo Guerrieri che
Con un cast comprendente anche il noto caratterista George”Torino violenta”Hilton, una sorta di risposta italiana a I diabolici, realizzato quattordici anni prima dal francese Henri-George Clouzot e rispetto al quale possiede in più l’elemento erotico e morboso innestato sull’intrigo criminale consumato all’interno di un triangolo sentimentale.
Infatti, mentre Philippe, vecchio amico del protagonista con le fattezze di Luigi Pistilli, lo accusa di essere stato responsabile della morte della ex fidanzata Susan, interpretata da Ewelyn Stewart (all’anagrafe Ida Galli), Deborah cerca in ogni modo di aiutare il marito… senza immaginare minimamente che una brutta sorpresa la attende al varco in quello che, sceneggiato dallo specialista Ernesto Gastaldi, rappresenta la nascita del genere giallo-sexy all’interno della cinematografia tricolore.
E, sempre per CGHV, ma sotto il marchio Sinister Film, ci spostiamo in ambito
Su script del Nathan Juran che tanto diede al cinema fantastico (ricordiamo, tra gli altri, che diresse La mantide omicida e A 30 milioni di km. Dalla Terra), seguiamo la vicenda del dottor Peter Blood alias Kieron Moore, il quale, in disgrazia per esperimenti proibiti, torna a casa, in un paesino sulla costa inglese, fornito di una particolare sostanza avuta da una tribù sudamericana che, all’interno di una miniera di carbone dismessa e adibita a laboratorio, gli permette di continuare insieme al padre le ricerche sulla vita eterna eseguendo operazioni e trapianti su persone rapite.
Quindi, un horror di produzione britannica che, comprendente addirittura Nicolas Roeg – in seguito divenuto il cineasta di successo che tutti conosciamo – coinvolto nel cast tecnico in qualità di operatore di ripresa, si costruisce più sulla struttura a base di dialoghi che sui raccapriccianti sensazionalismi visivi legati ai cadaveri ambulanti diffusisi soprattutto sette anni dopo con il romeriano La notte dei morti viventi; lasciando avvertire, al contrario, una certa influenza da parte della produzione fanta-horror dei due decenni precedenti, tempestata di mad doctor ed esperimenti folli.
Un disco presentato da Luigi Cozzi come pure quello del piacevolmente riscoperto
Del resto, al di là del fatto che il produttore dei due film sia Herman Cohen, è lo stesso Michael Gough (l’Alfred dei quattro Batman anni Novanta) a esserne protagonista, qui impegnato a concedere magnificamente anima e corpo al malvagio padrone di uno zoo che sfrutta i suoi animali per eliminare chiunque non gli va a genio.
Al servizio di un thriller in salsa quasi eco-vengeance che, tirando in ballo anche la moglie dell’uomo, domatrice di scimpanzé, un anziano inserviente e un giovane muto, fornisce novanta movimentati minuti di visione – a suo tempo circolati anche attraverso una oggi irreperibile vhs – atti a sfruttare a dovere feroci attacchi da parte di tigri, leoni e, addirittura gorilla.
Francesco Lomuscio