“Con il sari rosa” di Sampat Pal (traduzione di Giovanni Zucca)
Confesso di aver letto tanti libri scritti di donne indiane che raccontavano, in maniera più o meno personale, esperienze di vita reale, ma niente come Con il Sari Rosa. In realtà, questo è un romanzo/memoir come tanti, scritto da una donna per un pubblico femminile, o meglio, per raccontare soprattutto a un pubblico femminile che è importante lottare per ciò in cui si crede, indipendentemente da quali saranno le conseguenze e quali (e quanti) pregiudizi e preconcetti si incontreranno.
Ciò che rende Con il sari rosa diverso da altri è che questa donna vince. Vince contro le ingiustizie del bramino di turno, vince contro una suocera decisamente poco collaborativa e socievole, vince contro la paura di donne che, come lei, hanno tanto da dire, ma non hanno mai trovato la forza per farlo. D’improvviso, insieme, raggiungono risultati inaspettati.
È davvero così facile vincere nella vita e nelle (e per le) cose in cui crediamo?
Il romanzo, narrato in prima persona, si apre con la storia di una bambina, figlia di gente povera e analfabeta che aiuta la famiglia proteggendo esili arbusti dall’aggressione di animali affamati. La bambina, però, pur consapevole dell’importanza del suo lavoro, si lascia presto distrarre da alcuni coetanei che vanno a scuola. E così la scuola, luogo tanto odiato da studenti (occidentali) annoiati – forse spaventati da possibili interrogazioni per le quali non sono preparati – diventa per lei un paradiso proibito, nel quale non le è concesso entrare. Perché non fa parte di quel mondo. Perché i suoi genitori non capirebbero. Eppure lei ha voglia di imparare. Ne ha così tanta che trova uno spazio dal quale riuscire a sentire le parole del maestro e imparare, finalmente, l’alfabeto. Poi, arriva la prima vittoria: uno zio istruito che non solo capisce la situazione, ma fa in modo che le venga concesso di iscriversi e continuare il cammino iniziato in sordina.
Da questo momento in poi, la sua vita cambia.
Pochi anni più tardi incontriamo quello che diverrà suo marito, Munni Lal Pal. Lei ha solo 12 anni. E potrebbe essere una delle tante mogli vittime di una dispotica suocera. Eppure, Sampat non si perde d’animo e riesce, nonostante le enormi difficoltà, a conquistare un suo spazio. In ogni pagina del libro c’è una piccola speranza per ogni persona (non solo donne!) oppressa. Speranza che, nel 2006, si trasforma in un’associazione/gruppo di mutuo aiuto e lotta contro l’ingiustizia, la Gulabi Gang (esiste davvero!).
È veramente tutto così facile nella vita? È davvero possibile che tutto ciò in cui crediamo diventi conquista effettiva quasi esclusivamente grazie al buon senso e alla volontà? Non so dirvi se esista LA risposta giusta. Posso però assicurarvi che questa storia infonde speranza e questo, credo, la rende speciale.
Credo che le scelte narrative giochino un ruolo importante in questo. Infatti, la storia è raccontata con semplicità, in prima persona, elementi essenziali per permettere al lettore di immedesimarsi in ciò che gli viene raccontato. Inoltre, ad un certo momento, quando lei è ormai adulta, si ha quasi l’impressione di uscire dal romanzo ed entrare nella vita reale, quella raccontata in memoir nei quali, però, non sembra essere importante il ‘chi’ racconta ma piuttosto il ‘cosa’ ha conquistato.
È questo pregio, secondo me, il maggior ‘difetto’ del libro. Mi immedesimo nella storia, mi affeziono ai personaggi e poi, lentamente, vengo catapultata nella realtà. È più una sensazione che non una frase, o una pagina, tuttavia è forte e quasi mi manca la dimensione ‘altra’ del romanzo. E allora non posso che domandarmi cosa ci sia di vero in questa storia, come sia possibile incontrare persone così fortunate al mondo. Esistono davvero?
Forse no, forse sono solo personaggi perfetti per un romanzo. Ma quelli che incontrerete tra queste pagine vi diranno l’esatto contrario e, magari, vi aiuteranno a cambiare idea.