Con Mauro Boselli: Dampyr, Tex e il lavoro in Bonelli – Terza parte

Creato il 30 aprile 2014 da Lospaziobianco.it @lospaziobianco

Quest’anno cade il tuo ventennale da autore completo, cioè soggetto e sceneggiatura, di Tex. Riesci a tracciare, brevemente, un bilancio seppur provvisorio su questa tua avventura? D’altro canto sei arrivato a essere curatore della testata del personaggio forse da te più amato.
Se mi fermo a riflettere è curioso, e anche abbastanza straordinario, essendo stato io un appassionato di Tex fin da bambino, avendo conosciuto GL Bonelli e avendo sempre sognato di scrivere Tex, che sia arrivato non solo a scriverlo, ma anche a essere il curatore di questo personaggio.
La prima storia di Tex da me scritta  in realtà non è stata Il passato di Carson (Tex #407-409), bensì una storia con il titolo La minaccia invisibile (Tex #309-310), che avevo realizzato anni prima (nel 1982) senza pormi troppi problemi, su soggetto mio e di Giorgio Bonelli: storia che fu rifiutata da Sergio, recuperata da GL e infine pubblicata dopo una mia ulteriore revisione (io avevo scritto un troncone di un centinaio di pagine, Bonelli la completò senza seguire il mio complicato soggetto e io rividi il tutto aggiungendo un finale del tutto diverso). La storia uscì a nome suo nel 1986, credo. Quando anni dopo, intorno al 1991, Decio Canzio mi propose di realizzare finalmente una storia “ufficiale” di Tex per dare un po’ di respiro a Claudio Nizzi, che era in un momento di crisi, ricordo perfettamente che, dopo aver iniziato con grande lena, mi fermai colpito da incertezza verso la fine del primo albo. Era in effetti una storia complessa e ambiziosa. Per guadagnare tempo, affidai al disegnatore Marcello, che, oltre a essere bravo, era molto veloce (quaranta pagine al mese! Roba d’altri tempi!) l’inizio della trasferta zagoriana che stavamo progettando io e l’allora curatore di Zagor Renato Queirolo per un rilancio del personaggio. Marcello disegnò quindi l’epica L’Esploratore Scomparso (Zagor #345), che rilanciò Zagor alla grande (vendemmo quel mese 15.000 copie in più e il trend positivo continuò per parecchio). Questo mi permise di prendermi un anno di tempo non per pensare alla storia di Carson, niente affatto, io non scrivo quasi mai i soggetti in anticipo, ma per rilassarmi un po’. L’estate seguente la riattaccai, più sicuro di me, e scrissi i due albi finali seguendo il ritmo di Marcello. Ricordo che mi capitò di scrivere anche quaranta pagine in un solo sabato, visto che scrivevo soprattutto nei week-end  (ancora ero in Bonelli a tempio pieno e non part-time come adesso). Da allora non ho più avuto esitazioni né cedimenti (tranne quando ho iniziato Dampyr o mi sono accostato a Dylan Dog, trattandosi di personaggi nuovi). Ma in Tex mi sono da allora trovato a mio agio, senza più timore di sbagliare. Potresti pensare che oggi l’essere il curatore di Tex mi faccia sentire oppresso dalle responsabilità, invece penso sinceramente che sia di nuovo in buone mani, dopo essere stato nelle ottime mani di Nizzi. In fondo lo conosco da quando sono nato.
Ma non devi pensare che io sia assolutamente acritico nei miei confronti! So bene quando un’idea, una storia funzionano oppure no, faccio il redattore di me stesso. Tuttavia mi sorprendo persino io di come mi vengano di continuo in mente nuovi spunti per scene o storie. E tutti con qualche piccolo elemento di novità. Ho più idee di quante riesca a realizzarne.

Devo dire che la cosa è lampante, giacché nel 2013 su dodici albi mensili di Tex hai apposto la tua firma a otto di essi!
Già, ma non potrò scrivere tutto io. La cosa più difficile, anche se l’ho già sperimentata curando Zagor, è organizzare il lavoro degli altri autori, che scrivono in modo diverso dal mio. Bisogna cercare di rispettare il loro stile e allo stesso tempo imporre una linea.
Tra l’altro, le storie che ho supervisionato, scritte da Tito Faraci e da Pasquale Ruju, non sono ancora uscite. Quelle pubblicate finora vanno ascritte al merito, tranne alcune normali correzioni minime sui testi e i disegni, degli stessi due autori: né Mauro Marcheselli né io abbiamo letto preventivamente le sceneggiature. Io ho iniziato a farlo da un paio di anni, da quando sono diventato curatore di Tex, per cui le prime storie da me supervisionate in toto cominceranno a uscire tra qualche tempo. A parte le mie, s’intende!
Il bilancio è che oggi mi trovo a gestire Tex che, a mio avviso, è il fumetto italiano più importante, visti anche i suoi 66 anni di vita, e la responsabilità non è tanto nella gestione, ma nel gestirlo in questo momento contingente che, storicamente, non è il più propizio per il fumetto, per la letteratura e la lettura in generale.
Sono abbastanza pessimista riguardo all’evoluzione dei costumi legati al leggere poiché, a mio avviso, la rivoluzione digitale non ha fatto il bene che pensavo alla lettura, alla concentrazione e anche alla cultura in generale, ma penso invece che si stia andando nella direzione opposta.

Da amante della lettura, cosa ne pensi del formato digitale?
Ne penso tutto il male possibile!
Prima di tutto, quel formato non riesce a sostenere uno sforzo produttivo ed economico di livello industriale. Può servire a chi vuole farsi conoscere, questo vale per il fumetto come per la musica: l’esordiente che pubblica la sua canzone su Youtube o il suo fumetto o il racconto sul web. C’è la possibilità democratica per tutti di farsi notare. Purtroppo, però, la struttura economica e industriale tradizionale è quella che ha creato l’arte moderna, riproducibile e di larga diffusione: a partire dall’Ottocento con la nascita dei grandi romanzi diffusi sui giornali e sulla stampa a grande tiratura; così come il boom della musica d’intrattenimento avviene con la nascita del disco.
Se adesso noi perdiamo, abbandoniamo questi supporti e il movimento economico alla loro base, se davvero il digitale dovesse avere la meglio, ci possiamo scordare di vedere in futuro nuovi Beatles o nuovi GL Bonelli. È già un fatto che i musicisti ormai fanno la fame e che milioni di ascolti e visioni sul web di una canzone o di un video portano appena pochi centesimi nelle tasche degli artisti. Come può reggersi un’industria culturale e dell’intrattenimento, in questo modo? Risposta: non può.

Nel campo musicale una riflessione che ormai si sente spesso fare è quella che, dopo l’avvento e il terremoto portato dal formato digitale, non potranno più esistere in futuro artisti miliardari come avvenuto fino alla fine del secolo scorso.
L’arte non può sopravvivere gratis, specialmente l’arte “industriale”. Il pittore e l’artista di strada esisteranno sempre, ma come un tempo sono andati in crisi il teatro e l’opera lirica, ora sta andando in crisi il cinema e questo potrebbe decretare anche la fine del fumetto, o della musica popolare così come le intendiamo noi.
A quest’aspetto poi bisogna aggiungere una disabitudine diffusa alla concentrazione e alla lettura da parte delle nuove generazioni. Io stesso, che da ragazzo leggevo libri lunghissimi, adesso non riesco più a trovare il tempo e la concentrazione per farlo. Mi sono perciò imposto di farlo, Ho comprato i libri della Pléiade, ho ricominciato da Hugo e Dumas e adesso passerò a Balzac e a quello che mi manca dei russi e di Dickens! Vado controcorrente, per la barba di Matusalemme!
Se mi guardo attorno, vedo un po’ un “disastro”, vedo i ragazzi che non riescono più a studiare perché continuamente interrotti da Whatsapp  piuttosto che da Twitter o Facebook, e tutto ciò è dannoso per la società, oltre che per la nostra forma d’arte preferita.
Poi è chiaro che la chiave sta nel giusto uso delle novità: per esempio, voi de Lo Spazio Bianco che realizzate un magazine digitale sul fumetto, realtà come Wikipedia o la possibilità di recuperare in rete testi ormai introvabili sono tutte cose fantastiche!
Di contro, ormai è terribilmente facile scaricare film, musica, libri e fumetti gratis e il salto negativo c’è stato nel momento in cui ognuno può portarsi un dispositivo digitale in tasca. Ogni volta che salgo su un mezzo pubblico e vedo che su dieci persone intorno a me, otto hanno in mano uno smartphone e solo due un libro o un quotidiano mi assalgono tristezza e rabbia. Se poi pensi che io ho un vecchio telefonino che uso solo per telefonare e che il nostro direttore Mauro Marcheselli non ha neanche il telefonino, puoi capire cosa intendo!

Chiudiamo questa nostra lunga intervista tornando all’inizio. Ci racconti come sei entrato a lavorare in Bonelli?
Io conoscevo GL Bonelli fin da ragazzino, essendo lui un amico di famiglia. Sergio invece non lo conoscevo, avendolo incrociato solo un paio di volte e incutendomi anche un po’ di timore questo personaggio misterioso che faceva viaggi intorno al mondo e che aveva sempre un’espressione severa dipinta sul volto quando guardava me e il suo fratellastro più piccolo, e mio amico, Giorgio (Bonelli).
Io con GL Bonelli andavo al cinema: ricordo di aver visto insieme con lui, in piedi, la prima di Arancia Meccanica, oppure andavamo a vedere i film western che però (parlo di quelli degli anni Sessanta) a lui non piacevano più tanto, tranne quelli di Sam Peckinpah, o i film con Charles Bronson. Una volta, solo una, avevo tredici anni, mi ha fatto sparare ai barattoli sulla sua barca sul lago, la Tex Willer, come racconta anche Giovanni Ticci nel film di Marco Soldi (Come Tex nessuno mai N.d.R.).
Io andavo spesso in casa editrice e insieme con Giorgio ci divertivamo a ideare progetti impossibili; lui ha anche provato a scrivere insieme a suo padre un paio di soggetti per Tex ed era anche bravo, anche se poi ha cambiato completamente strada (è diventato un noto immobiliarista a livello mondiale N.d.R.). Anch’io ho proposto qualche soggetto: GL Bonelli non è che ci facesse una gran scuola, leggeva i nostri sforzi e ci diceva cosa non funzionava. Poi cestinava il tutto!
Un progetto che invece siamo riusciti a portare a termine sono stati una serie a fumetti in una tv privata, un progetto analogo al Supergulp! della Rai, dove abbiamo sceneggiato e diretto varie storie di Tex, Zagor, Mister No e Ken Parker. Purtroppo i nastri, com’era cattiva abitudine all’epoca, sono stati tutti cancellati.
Poi siccome GL Bonelli aveva necessità che qualcuno leggesse i suoi libri western e i fascicoli della rivista “True West” per trovare degli spunti, fui assunto da lui per un po’ di tempo part-time, come segretario, per svolgere questa mansione. Effettivamente, da un paio di soggetti lui poi ha ricavato delle storie, ma più che altro passavamo il tempo a chiacchierare.
In Bonelli poi avevo già rimesso a posto, insieme a una ragazza che di professione era antropologa, tutta la biblioteca di Sergio.
In ogni caso, io lavoravo nella Biblioteca Comunale di Milano come bibliotecario e, come lavoro extra, per un certo periodo avevo tradotto romanzi rosa per la casa editrice Cino Del Duca. A un certo punto, quando c’è stata la necessità di assumere un redattore per la rivista Pilot, Sergio Bonelli mi ha proposto di diventare aiuto di Tiziano Sclavi alla redazione di via Ferruccio. E così ho cominciato. Poi sono arrivati Orient Express, i libri dell’Isola Trovata, le traduzioni di Indiana Jones, le rubriche, i librini allegati agli Speciali, il Piccolo Ranger, River Bill, la cura di Zagor, Dampyr, Tex e tantissimo altro!

Grazie per il tuo tempo, Mauro, e soprattutto per quest’intervista davvero piena e interessante!

Fine terza e ultima parte

Prima parte intervista
Seconda parte intervista

 Intervista realizzata telefonicamente tra il 18 e il 25 febbraio 2014


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