The Myth of the American Sleepover: il mito del pigiama party americano. Purtroppo o per fortuna, questo film non è arrivato, e probabilmente non arriverà mai, sul mercato italiano. Purtroppo, perché non sarà un capolavorone ma è comunque una visione assolutamente gradevole e una pellicola che riesce a trattare il tema della pre-adolescenza in maniera non troppo stereotipata. Per fortuna, perché Iddio solo sa cosa potrebbero tirare fuori come titolo italiano…
Il film si va a inserire nel filone che io adoro dei “tutto in una notte”, quello che comprende titoli come Collateral, Margin Call, Fuori orario, tanto per dire dei super filmoni, ma anche pellicole più leggere e comunque parecchio godibili come Lo spaventapassere, Tutto quella notte o… Tutto in una notte: con un titolo così, non potevo non citarlo, sebbene tra tutti sia quello che mi è piaciuto di meno. The Myth of the American Sleepover è una sorta di piacevole variante teen del genere. Anche se sarebbe più giusto parlare di variante tween. I protagonisti sono infatti un gruppo di ragazzini intorno ai 13/14 anni, nell’ultima notte d’estate prima di entrare a far parte del liceo dopo la fine delle scuole medie, e dunque fare il loro ingresso ufficiale all’interno della gioventù americana. Alcune ragazze organizzano un pigiama party, mentre i ragazzi ne fanno una sorta di versione maschile, che però per dignità preferiscono non chiamare “pigiama party”, bensì definirlo un “semplice ritrovo tra amici”. Alle loro vicende si intreccia anche quella di un personaggio più grande, un universitario in crisi che per ritrovare se stesso cerca di andare a sgamare due sexy gemelline che gli andavano dietro ai tempi del liceo ma di cui lui non si era mai accorto prima. È lui la presenza più (molto relativamente) adulta, all’interno di un film in cui i genitori sono un’entità del tutto invisibile. O meglio, non ci sono proprio.
Il cast è quindi dominato interamente da volti nuovi, emergenti promettenti in cui si segnala soprattutto Claire Sloma, bionda dal viso particolare, un po’ una Chloe Sevigny acerba. E ho detto “Chloe Sevigny acerba”, mica “Manuela Arcuri acerba”.
Con uno sguardo innocente che ricorda più un cinema francese naif alla Tomboy che non i kids estremi e privi di morale di Larry Clark e Harmony Korine (prossimamente è in arrivo un suo nuovo film deviato con Selena Gomez e Vanessa Hudgens!), il regista David Robert Mitchell ci presenta una serie di ragazzini esattamente a mezza strada tra fanciullezza e primi sconvolgimenti emotivi/ormonali da teenager. Per fortuna viene evitato qualsiasi sensazionalismo, sesso e droga sono presenti in dosi minime ma allo stesso tempo non c’è una visione edulcorata o puritana della realtà. Quella di non giocare troppo su questi temi è una scelta voluta, consapevole. Può essere vista anche come un difetto, visto che il regista non spinge mai fino in fondo il pedale della quinta e rimane quindi sospeso. Però è giusto che sia così. Un film sospeso che racconta di un’età sospesa. (voto 7-/10)