Conchita Wurst: il trionfo ipocrita del politically correct.

Creato il 12 maggio 2014 da Marvigar4

La lotta alle discriminazioni e all’intolleranza è necessaria, sacrosanta, però, a mio modesto avviso, andrebbe condotta con la forza delle idee, degli argomenti, mettendo in condizione le persone di comprendere e conoscere senza avere alla tempia la “pistola” puntata del politically correct. Se per combattere il razzismo, l’omofobia, la transfobia si decide di “obbligare”, di vietare, di imporre, allora non vedo una sostanziale differenza tra le “dittature”… Detto questo, so già che qualcuno prenderà le solite lucciole per lanterne e mi considererà alla stregua dei razzisti e compagnia bella. Io non ho bisogno di rispondere a costoro. Ho tutta una vita alle spalle che dimostra che non sono stato costretto da nessuno a rigettare e combattere le discriminazioni, le fobie e il resto. Ho soltanto compreso e conosciuto la ricchezza della diversità, ed è proprio per questo che ho sempre separato il grano dal loglio. C’è chi lotta con i contenuti e c’è chi fa finta di lottare approfittando della tendenza del momento, creando fenomeni mediatici, sfruttando anche idee giuste ma per motivi affaristici, puramente economici. Oggi siamo lontani anni luce dai Gandhi, Martin Luther King e tutti gli altri giganti della lotta alla violenza e all’intolleranza!

Veniamo al punto. Un cantante che non ha successo può rassegnarsi, cambiare mestiere, accettare di non possedere i mezzi per ottenere consensi, oppure può decidere, insieme a manager, produttori discografici ecc., di mettere su il cosiddetto “fenomeno da baraccone” per vedere di stupire e coprire la propria mediocrità con mezzi artificiosi, tipo un look stupefacente, una coreografia ben congegnata, un messaggio deciso a tavolino che sfrutta l’onda corrente del politically correct. Thomas “Tom” Neuwirth, un oscuro performer austriaco, dopo aver tentato invano di imporsi con i propri modesti mezzi artistici, ha deciso nel 2011 di diventare una drag queen, in questo aiutato da uno staff creato ad hoc… Il gioco è fatto, o quasi. Non bastava essere una qualsiasi drag queen, genere già di per sé inflazionato e quindi non in grado di scuotere più di tanto l’opinione pubblica, occorreva invece saper trovare un personaggio che promuovesse un’eccentricità smisurata, parossistica, un mix che riunisse i vecchi travestiti d’inizio anni ’70 della scena rock britannica con un tocco pacchiano di virilità. Ed ecco la drag queen con ciglia, unghie finte e, udite udite!, la barba. Il vecchio Thomas “Tom” Neuwirth si trasformò in Conchita Wurtz, intraprese la trafila dei provini, delle partecipazioni ai programmi della tv austriaca ORF e alla fine ottenne la possibilità di rappresentare il proprio paese all’Eurovision Song Contest 2012. Il primo tentativo andò male, Conchita Wurtz giunse seconda alle preselezioni. Ma la decisione era già stata presa ai vertici della ORF, infatti nel settembre del 2013 la tv di stato austriaca annunciò che alla successiva edizione dell’Eurovision Song Contest Conchita Wurtz avrebbe cantato con i colori asburgici bianco e rosso, e in lingua inglese… Cosa non si fa per dimostrare di essere un paese all’avanguardia nella lotta alle discriminazioni! Dove sta l’ipocrisia? Sta nel fatto che le votazioni dei giurati dei 37 paesi partecipanti sono state tutte influenzate dalla paura di apparire omofobe e transfobe. Il politically correct ha funzionato come una mannaia. L’invito, non troppo velato, è stato questo: votate Conchita, altrimenti sarete considerati bigotti, fascisti, nazisti! Anche i paesi che hanno in un primo tempo criticato la scelta di far esibire la/il cantante austriaca/o si sono alla fine dovuti rassegnare. La canzone Rise Like A Phoenix non ha nulla di originale, come struttura l’abbiamo già ascoltata almeno quarant’anni fa, la performance di Conchita mostra un manierismo dozzinale, se si tolgono il make-up, il vestito e le luci, il timbro vocale poi è poca cosa, solo gli studi di registrazione possono supplire là dove non c’è stoffa. C’è chi ha parlato di passione, io ho visto soltanto gestualità e mosse piuttosto scontate e stereotipate. Insomma, un’astuta operazione mediatica. Venendo all’Eurovision Song Contest, manifestazione già di per sé depressa e deprimente, non si è votato il miglior cantante o la migliore canzone, si è votato una presunta manifestazione a difesa della comunità LGBTQ. Ha vinto l’etica, non l’estetica. Qui l’arte non c’entra più.

Morale della favola: se si vuole “educare” un figlio al rispetto, all’accettazione e comprensione della diversità, è meglio costringerlo con mezzi tipo il politically correct o tentare di far sviluppare una cultura che non abbia bisogno di coercizioni, di imposizioni, di diktat basati a sua volta sulla paura di essere considerati dei mostri omofobi, transfobi, xenofobi ecc. ecc.? A voi la risposta…

Ah, dimenticavo, un consiglio alla RAI per il prossimo Eurovision Song Contest, ammesso che sia la RAI a decidere chi partecipa o meno: mandate come rappresentante dell’Italia Suor Cristina Scuccia, diva del momento da noi e all’estero con The Voice of Italy, sarebbe una mossa davvero scaltra sul piano mediatico, così magari raccatterebbe voti dai giurati europei che non vorranno dimostrare d’essere dei mangiapreti…

Marco Vignolo Gargini



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