di Simonetta Greco.
18h42
Tardi. Era davvero tardi. Giulia l’aveva intuito dalle familiari facce che si avviavano indaffarate al binario sei. Non aveva molta scelta. O perdeva il treno delle diciotto e quarantadue oppure comprava le sigarette tanto agognate. Era una giornata storta per Giulia dopo quella immeritata “débâcle universitaria”.
Aveva cinque miseri minuti di tempo per portare a compimento il suo biettivo. Optò per le sigarette, con la velata speranza di riuscire anche a prendere il treno.
Entrando nella tabaccheria della stazione, ad aspettarla c’era una cospicua coda di vecchietti e clochard del posto, ormai parti integranti dell’ambiente ferroviario. Dopo un minuto, le persone in fila si dispersero come formiche a cui un bambino ha appena pestato il formicaio.
Giulia allora pagò in fretta le Camel light, ma nel momento in cui ebbe in mano il resto di due euro, sentì l’annuncio dell’arrivo del suo treno.
Non l’avrebbe perso. Era una sfida con se stessa e la sorte, che proprio quel giorno le aveva imposto quella brutta bocciatura a diritto privato. Quella giornata non sarebbe terminata peggio di quanto non fosse già iniziata. Cominciò a correre, con il cuore in gola e lo zaino in spalla. Il binario sembrava così lontano, Giulia si sentiva come un centometrista etiope alle olimpiadi.
A metà sottopassaggio percepì lo sferragliare del treno. Allora con uno slancio da gazzella della savana, salì i gradini del binario, tre alla volta e si tuffò nel primo vagone che vide. Salvezza. Questo significava molte cose. Arrivare a casa in tempo per distendersi sul divano e guardarsi un po’ di tv, sottrarsi agli sguardi indagatori dei suoi vicini quando arrivava fuori tempo massimo a casa ed evitare il tipo che da un mese continuava a tampinarla sul diretto delle sette e trenta. Fortunatamente questa volta era andata bene. Anche se Giulia avrebbe preferito perdere il treno e passare diritto. Ma non si può avere tutto dalla vita.
Il vagone era a due piani. Giulia sceglieva sempre la parte superiore, perchè, a suo avviso, ospitava persone più interessanti. Iniziò a passare in rassegna i posti vacanti.
Quello dello scegliere i posti era una faccenda piuttosto delicata. Trovare uno scompartimento in cui potersi finalmente riposare dopo una dura giornata di lavoro era impossibile, ma trovare uno scompartimento che ospitava individui sani e senza problemi di alcun genere era utopia allo stato puro. Non tutti erano semplici pendolari, c’erano varie categorie umane che “infestavano” i vagoni dei treni. Per lei era regola fissa non sedersi vicino a giovani studenti (non aveva intenzione di alimentare in loro grandi aspettative sentimentali), ai gruppi di ragazze starnazzanti e agli individui con i giubbotti fosforescenti. Erano invece compagni di viaggio perfetti: coloro che dormivano e i lettori. Dio li benedica.
Quando tutte le speranze si erano ormai spente, Giulia trovò un posto libero, proprio vicino al finestrino, come piaceva a lei. Si mise le cuffie e basta. Non sentì più nulla se non la playlist che aveva appositamente creato per i suoi viaggi in treno. Ma qualcuno di inaspettato attendeva Giulia alla fermata successiva.
Ormai era arrivata alla quinta ripetizione di “Sous le ciel de Paris” di Juliette Grèco, ad un tratto, sulla soglia dello scompartimento si stagliò una figura alta e smilza.
Le orecchie di Giulia non sentirono più quelle dolci melodie francesi ma solo l’incalzante ritmico battere del cuore dentro al petto. Mai, mai aveva provato una sensazione del genere. Per nessuno. Lo fissò da lontano, avvicinarsi ogni metro di più verso di lei. Lui la guardò, si fermò e chiese: – E’ occupato qui?
Giulia, inizialmente, produsse un suono simile al miagolio di un gatto morente, ma poi si decise a scandire bene quello che la sua mente meditava già da alcuni lunghi secondi.
- No – fu la sintetica e laconica risposta di Giulia.
Avrebbe potuto sfoderare una frase ad effetto, contestualizzare quel “no”. Ma non lo fece.
Non emise più alcuna sillaba. Si limitò a sbirciarlo con la coda dell’occhio per almeno due fermate. Non poteva essere così sfacciata da guardarlo negli occhi.
Perché gli incontri più allettanti avvengono quando uno meno se l’aspetta? Giulia non era preparata. Stava rimuginando sul fatto che era da tre giorni che non si lavava i capelli, aveva dimenticato di spruzzarsi il profumo sulla sciarpa e per di più era vestita come Meryl Streep in “Mamma Mia!”. Insomma non era proprio giornata per fare certi incontri.
Ma un susseguirsi di parole squarciò l’intricata ragnatela di pensieri di Giulia.
- Ferma anche a Cuneo?- disse lui.
Giulia mosse soltanto la testa dall’alto verso il basso, pareva uno di quei pupazzetti che si sistemavano nel retro delle autovetture. Questa volta non emise proprio nessun suono.
Ma da dove veniva quell’essere? Sicuramente dal passato.
Era vestito come un dandy. Il suo viso era incorniciato da una folta barba color castano.
Il savoir-fare con cui si atteggiava era disarmante. Un soggetto che Giulia non aveva mai avuto il piacere di incrociare su un treno regionale.
Ai piedi calzava degli stivaletti marroni mentre i pantaloni erano neri rigorosamente a zampa d’elefante. Sotto la giacca nera portava addosso una camicia viola sbottonata sui primi quattro bottoni lasciando intravedere i suoi pettorali ancora acerbi.
Irradiava una certa sensualità da bistrot, che solo i cantautori francesi degli anni sessanta possedevano. Giulia non sapeva come approcciarsi. Era un maledetto artista. E non si intuiva solo da come era vestito ma anche dalla custodia della chitarra che lui aveva collocato sul sedile al suo fianco. Era un musicista, dannazione. Il sogno di ogni timida adolescente. Ma Giulia non era più l’insicura ragazzina di un tempo, ormai era diventata donna. Anche se in certe cose si sentiva ancora una quindicenne.
Nello scompartimento regnava un silenzio imbarazzante.
- Posso spostare la custodia della mia chitarra sul suo sedile? Al mio fianco non c’è spazio. – disse il giovane rompendo il ghiaccio, anzi l’iceberg.
- Certo non si preoccupi – fece lei.
Non poteva crederci, per una volta le cose stavano andando come lei desiderava. Forse questa fortunata coincidenza era un premio per la deludente giornata che aveva trascorso.
Il ragazzo nel frattempo collocò lo strumento musicale di fianco a Giulia, spostando delicatamente la borsa della ragazza verso di lui, facendo in modo che non si rovesciasse.
- E quindi sei un musicista?
- Si, diciamo che strimpello. Sono un musicista nel tempo libero, mi esibisco per lo più in jazz club, ma non disdegno i night in centro. Pagano bene.
- Interessante. E cosa ti porta su questo treno verso le campagne piemontesi?
- Vado a trovare i miei vecchi. Fa bene, ogni tanto, ritornare alle origini. E poi amo i treni. Io dico sempre che i treni non sono altro che i prolungamenti dei nostri pensieri.
O Giulia non aveva capito, oppure la frase che aveva appena pronunciato era una grandissima cazzata da artista fallito. Certo, per te che li prendi una volta all’anno sono poeticamente romantici. Per Giulia, che li piglia due volte al giorno no. Sono poeticamente sudici. Ma a lei non importava. Andava bene così. Snob e autoreferenziale. Con quella faccia da ragazzo maturo poteva dire qualsiasi cosa.
Intanto sul treno avevano annunciato la fermata successiva.
- La prossima è la mia – riferì lui sorridendo – è meglio che inizio a preparami, è stato bello conoscerti. A presto.
Giulia non sapeva come fermarlo. Ma forse era meglio così, che rimanesse l’indelebile ricordo di una giornata d’inverno. Così il musicista scese a Cuneo e in pochi secondi si dileguò tra la folla di pendolari anonimi, ma non nei pensieri di Giulia.
Dopo alcuni minuti passò il controllore.
- Biglietto prego.
Giulia aprì serenamente la sua borsa, ma il biglietto e il portafoglio con i soldi che aveva appena prelevato erano spariti.
Il musicista, oltre ad essersi portato via il cuore di Giulia, s’era preso pure il suo portafoglio.