Ma andiamo con ordine. Lo scorso anno scolastico, un ragazzino aveva compiuto degli atti di bullismo nei confronti di un compagno di classe, deridendolo ed emarginandolo. La professoressa era intervenuta punendo il bullo con una consegna particolare: scrivere per cento volte sul quaderno ” Sono un deficiente”.
In primo grado la professoressa era stata assolta poichè si ritenne ”che il singolare ‘compito’ assegnato dalla professoressa all’alunno fosse stato motivato – ricostruisce la sentenza – dall’intento dell’insegnante di interrompere, con un intervento tempestivo ed energico, una condotta ‘bullistica”’ dell’alunno.
Successivamente la Corte d’appello di Palermo aveva dichiarato l’imputata ”colpevole del reato di abuso dei mezzi di disciplina”.
Secondo i giudici della Corte di Cassazione la docente è colpevole “di aver abusato dei mezzi di correzione e di disciplina” e di aver “mortificato nella dignità” lo studente venendo così meno al “processo educativo in cui è coinvolto un bambino” ”Non può ritenersi lecito l’uso della violenza, fisica o psichica, distortamente finalizzata a scopi ritenuti educativi”.
”La costrizione a scrivere cento volte” la frase, ”lesiva della dignità dell’alunno e umiliante per le modalità di esecuzione”, anziché indurre nell’alunno ”sentimenti di solidarietà verso i soggetti vulnerabili, era obiettivamente idonea a rafforzare nel ragazzo il convincimento che i rapporti relazionali sono regolati dalla forza, quella sua verso i compagni più deboli, quella dell’insegnante verso di lui”.