Le prime pagine delle maggiori testate giornalistiche italiane oggi hanno dato spazio alle elezioni catalane: una tornata elettorale che è stata in qualche modo alterata nelle sue finalità così da renderla un responso plebiscitario sull'adesione al partito separatista locale.
Attenzione! Non si è trattato di un referendum popolare sulla volontà del popolo catalano di separarsi dal resto della Spagna per costituire uno stato a sé stante, come invece è stato effettivamente realizzato lo scorso anno nel Regno Unito per la eventuale indipendenza della Scozia: queste spagnole erano semplici elezioni politiche della per la Regione che è autonoma e dove il partito separatista ha ottenuto la maggioranza.
Questa precisazione va fatta, visto il gran polverone sollevato, a beneficio dei lettori disattenti che sono stati portati a leggere il risultato di queste elezioni come un voto popolare a favore della indipendenza della Catalogna: questo è il messaggio che il leader separatista, Artur Mas, sta cercando di far passare, ma non è proprio esattamente così.
Non si trattava di un referendum sulla indipendenza della regione, ma se fosse stato un referendum ai separatisti sarebbe mancata la maggioranza: i separatisti hanno ottenuto infatti circa il 48% dei voti e come si ricorderà a Settembre dello scorso anno gli indipendentisti scozzesi hanno perso il referendum "di misura" con circa il 55% dei contrari e quindi il 45% dei favorevoli...
Chiarito questo, non si può fare a meno di notare come ormai da diversi anni a questa parte, mentre da un lato procede il percorso di "globalizzazione" economica ed i governi si orientano ad una unione europea non solo monetaria, ma anche politica, dal canto opposto, prendono sempre più forza i nazionalismi ed i regionalismi di ogni sorta: si ripristinano frettolosamente barriere ai confini nazionali, si diffonde in Italia ed in Europa il bisogno di affermare la propria specificità, anche attraverso la eventuale formazione di veri e propri stati indipendenti, quasi come se il contagio della globalizzazione venisse vissuto come un'angosciante minaccia alla specificità storica e culturale dei popoli: un'ameba informe, capace di inglobare ed omologare tutto, cancellando la storia, la memoria, la lingua ed il costume, che hanno costituito ed ancora ora rappresentano la caratterizzazione di ciascuna singola etnia e gruppo "stanziale" di un territorio.
I separatismi in qualche modo entrano in risonanza con alcuni dei timori profondi dell'individuo: la perdita della identità e quindi l'annientamento, già vissuti visceralmente come suggestioni ancestrali (paura di essere divorati e paura di essere contaminati ovvero invasi).
Quando una ideologia e/o una corrente politica riesce a fare leva su emozioni antiche, primitive ed universali come queste è facile che possa impressionare vaste aree di popolazione: le supposizioni di superiorità economica e/o etnica consciamente presenti nella motivazione dei vari tipi di separatismo sono già da considerarsi una "copertura accettabile" di queste inquietudini.
Tutto ciò che c'è da capire al riguardo è che la diversificazione è ricchezza e complessità, ma di certo non esclude sinergie ed unità funzionale, anzi può rappresentarne la condizione di base: il prerequisito in assenza del quale non sono immaginabili cose come interazione, scambio, crescita, arricchimento e progresso.
La diversificazione è ciò che permette la costruzione di una struttura funzionale complessa con capacità che vanno ben oltre quelle possibili nella elementare catalogazione, fondata sul criterio di uguale-diverso: oltretutto nella realtà non esiste l'uguale (che è solo un concetto matematico) al massimo esiste il simile...
Rispettare le peculiarità e le caratteristiche specifiche di ciascuna civiltà e quindi rassicurare la gente dissipando i timori di essere prevaricati, è la strategia adatta a combattere i separatismi ovunque essi nascano.