Condivisione, appartenenza, associazioni e noi coach: quale direzione?

Creato il 17 settembre 2015 da Coach4y @Coach4y

Alcuni giorni fa nella casella di posta, silenziosa come tutte le altre, ho ricevuto una mail dalla carissima direttrice di Natascia Pane CoachMag , con quale mi chiedeva di scrivere un articolo.

Non sempre l'importanza è rumorosa.

Non solo, la richiesta partiva da una sola parola: CONDIVIDERE, legata AL MONDO DEI COACH.

Bhe sicuramente non facile, quantomeno delicata. Ho accettato di buon cuore e con molto piacere ed entusiasmo. So benissimo quanto Natascia conosca il mio spirito disubbidiente e creativo e fosse quindi conscia che avrebbe letto ciò che, forse, neppure io mi sarei aspettato di scrivere.

Ma d'altra parte non siamo proprio noi coach allenatori dei nostri coachee nell'essere creativamente disubbidienti alle "regole" che li legano alla realtà che non desiderano più? Ed ad essere, poi, meravigliati di loro stessi?

La prima cosa che ho pensato è che, sicuramente

Lapalisse ne converrebbe. Se condividi qualcosa a pagamento lo compri.

In una società globale dove 85 famiglie detengono l'equivalente della ricchezza del resto del mondo, difficilmente questi due concetti possono essere uniti se non in modo demagogico. In un mondo dove i due terzi della popolazione vive di stenti, o muore facilmente, è molto poco comprensibile come un concetto così bello, un bisogno così forte in tutti noi, quello del CONDIVIDERE, venga molto spesso dimenticato.

Quanto noi coach siamo attenti al potere delle parole?

Per dirlo anche in termini economici. IL CONDIVIDERE è un atto (o meglio un insieme di atti) che comporta una aumento continuo dell'utilità marginale per tutti: ogni condivisione aumenta il beneficio di tutti partecipanti, è una forza centrifuga di espansione esponenziale, una atto di amore, aperto e non conservativo. La somma dei singoli, e delle differenze, fornisce sempre un risultato maggiore. Non ci sono rinunce.

E' un concetto che via via che scrivo si amplia nella potenzialità del significato stesso, oltre il materiale.

Il risultato finale di una condivisione entra nell'immaginario delle possibilità che esistono e che non hanno preso ancora forma: qualcosa che difficilmente ha a che fare con la materia. Una torta non la condivido con i commensali la divido in parti più o meno uguali, le risorse sono ridistribuirli (in modo ottimale si spera), la macchina te la presto o ne dividiamo il tempo di utilizzo e se ho due caramelle una me la mangio e... una te la offro.

Azioni anche piene di generosità infinita, grandi gesti di amore che, tuttavia, non sono ancora condivisone in quanto manca quell'effetto di utilità moltiplicativa ed espansiva per tutti.

CONDIVIDERE non è SOLO dividere con tutti qualcosa di mio, grande atto di generosità, che può anche essere addirittura privativo, ma è mettere in comune qualcosa che accresce la ricchezza di tutti, senza diminuire la mia, moltiplicandosi ad ogni passaggio: una storia di vita, un idea, delle capacità personali e professionali, le energie creative di pensieri superiori, di punti di vista, una emozione. Questo è Amore incondizionato e senza paura, perché nel condividere c'è solo crescita nello scambio.

CONDIVIDERE VA OLTRE UN ATTO DI GENEROSITA'

E questa può essere una nuova frontiera dell'essere coach: non solo guida, ma eroe. Eroe insieme al

suo coachee alla scoperta delle potenzialità, in un mondo sconosciuto, che è oltre a ciò che due minuti prima neanche si immaginava, la scoperta di un nuovo mondo. E da questo mondo entrambi ne usciranno rafforzati e consapevoli, compagni di uno stesso viaggio, grazie al loro percorso "condiviso"

Senza entrare in dettagli etimologici nella parola CONDIVIDERE, possiamo trovare la radice con-di-videre e il verbo latino cummunis, mettere in comune. Il secondo decisamente immediato come analogia. Il primo, di incerta derivazione latina, la radice è vedere. La traduzione letterale sarebbe "mettere insieme il vedere diviso(punti di vista diversi?)": é comunque una azione di unione.

E chiedo aiuto anche al mondo anglosassone dicendo CHE CONDIVISIONE E' PIU' "share" CHE "split".

E qui entriamo anche nell'universo indefinito dell' "unione delle differenze costruttive", che forse mi porterebbe fuori dal discutere che mi è stato richiesto.

CONDIVIDERE E' METTERE IN COMUNE RECIPROCAMENTE

Ma quanto "mette in comune" la comunicazione? Quanto lo è mettere assieme punti di vista diversi? E quanto comunicativamente, essere "empatici" e "simpatici", nel processo di coaching, è condivisione?

Nella vita quotidiana poi, uno dei fenomeni più eclatanti è quello dei social network che è entrato nelle abitudini di miliardi di persone: sahrare, linkare, twittare e appunto condividere. E per quanto, a volte, sia fatto senza una vera consapevolezza iniziale, è un atto che accresce la consapevolezza di altri. Un fenomeno di moltiplicazione informativa emozionale, che aggiunge, e nulla toglie, e che ha una qualità molto attuale: la non localizzazione. E si.

Allora, si può fare qualcosa di grande anche senza denaro e gli esempi pratici ed attuali ci evidenziano come la condivisione e tale quando c'è un'azione concreta e gratuita di espansione e di comunicazione. E se vogliamo, l'azione può essere anche inconsapevole: la condivisione è l'effetto del processo, non necessariamente l'intento. E' chi riceve che poi trasforma l'atto iniziale ampliandolo a sua volta, sommando differenze e crescite ad ogni passaggio:

CONDIVIDERE E' UN PROCESSO TRASFORMATIVO

Questo ci fa partecipi e creatori, soddisfacendo questi bisogno che oggi come mai si presentano nelle persone perché ci avvicina all'ideale perfetto di amore universale.

E' un ideale puro.

Mi espongo volutamente con un esempio, che forse potrà trovarvi concordi. Sentiamo spesso gli americani che dicono: la pace è un nostro valore che vogliamo condividere con il mondo (buon dio che massimo livello di valore). Ora, e non so se lo avete fatto anche voi, io mi sono chiesto: "Come possono gli americani condividere nel mondo l'ideale di pace se sono in guerra con almeno 4/5 nazioni? Ma soprattutto, come possono affermare una cosa del genere?" Qualcosa non funziona permettetemi il dirlo. E' aggregazione, di una nazione, ad un ideale comune di pace marchiato USA, un sottoprodotto, per di più male confezionato e venduto, spacciato come migliore. Aggregarsi è un validissimo fare, ma difensivo, dettato dalla paura e dal dividere dagli altri. Creare un gruppo che difende un tipo di ideale è centripeto, porta dentro al proprio centro, annichilisce la sana individualità apportatrice di differenze che movimenta la condivisione. Quindi non è l'ideale di pace puro. Se non è puro, assoluto ed universale, non è CONDIVIDERE.

CONDIVIDERE NON E' MARCHIATI O DI PARTE:

E' TALE SE FATTO CON IDEALI PURI

Nel nostro periodo storico dove la cultura del coaching non è ancora conosciuta, la necessità del condividere è altissima.

La maggior parte delle persone non sempre si affida fiduciosa alle cose nuove e ha bisogno di avere informazioni per sapere e da... sharare, linkare, twittare con altri.

Quanto si sta facendo da parte nostra di coach? A livello di condivisione poco, veramente poco.

La massima forma di malcelata condivisione è la pubblicità a tutti i corsi e agli incontri. Sono rarissimi i casi di CONDIVISIONE, nei tratti sopra definiti, sia tra i professionisti del settore, sia con potenziali fruitori. E sicuramente anche io, nel mio piccolo, non sono soddisfatto di me stesso.

Questo non vuol dire che non si facciano azioni lodevoli. assolutamente si, solo che non sono CONDIVIDERE. E' una forte area di miglioramento sicuramente. E deve essere una scelta forte e volontaria. Anche se per momenti parziali, LA CONDIVISIONE deve assolutamente schizzare fuori dalle leggi del business e del marchio, deve essere pura affinché i coach e le pratiche di coaching crescano!

Si ecco un altro elemento deve essere pura. Nessuno può condividere un ideale marchiato.

Può essere che si obietti che ci sono necessità di guadagno. E chi le nega?

Non io di certo, anzi, reputo il guadagnare uno dei giusti riconoscimenti per ogni lavoro.

E stiamo perdendo occasioni anche in un'area creata da una legge dello stato italiano, che sicuramente aveva intenti di garanzia e chiarezza ben diversi da quelli che si stanno manifestando: l'ormai famosa legge n° 4 del 14 gennaio 2013° che riconosce alla nostra attività di coach forma professionale.

Bene finalmente siamo professionisti anche sulla carta, nero su bianco!

Tra le altre cose, questa legge ci da la possibilità, opzionale su base volontaria, e quindi non obbligatoria per l'esercizio della professione, di iscriversi in elenchi professionali. Tali elenchi professionali devono essere tenuti da personalità giuridiche costituite in forma associativa.

E' una grande possibilità: poter CONDIVIDERE il pensiero e la filosofia del coach supportati da una legge e da un "intermediario referenziale neutro" che ha "forma associativa", richiamata non a caso dal legislatore.

La legge ha stimolato il fiorire, come margherite a primavera, di associazioni auto-referenziate che hanno trasformato l'opportunità in mero business anche nelle forme più elementari di comunicazione.

E mentre scrivo ne stanno nascendo altre.

In alcuni casi l'iscrizione agli elenchi è per magia diventata obbligatoria, anzi certificante l'attività stessa. E naturalmente tutte fanno a gara ad essere il certificatore per eccellenza: il più certificante. Parafrasando uno slogan pubblicitario siamo al bianco che più bianco non si può.

E si parlasse di detersivi andrebbe anche bene.

Quanto ciò sia business lo dimostra il fatto che, alcuni ottimi coach sono diventati certificatori non per missione, ma per maggior guadagno. Nessuna critica, è una scelta, ma a questo punto, "stiamo perdendo sia il treno della condivisione, sia quello della sana informazione"

Associazioni che "certificano" coach nei loro elenchi, che sono certificati da percorsi di scuole riconosciute e certificate ad essere tali dall'associazione stessa, i cui componenti del direttivo fanno parte delle scuole di formazione.

Le migliori naturalmente sono collegate ad una associazione internazionale, che certifica quella nazionale, e pure il coach, con il pagamento della giusta doppia quota.

Questa situazione sta creando fortissimi dubbi della sua validità anche tra gli stessi coach e anche in chi non li aveva: a qualsiasi livello di competenza ed esperienza.

Ho trovato ed incontrato colleghi veramente con intenti lodevoli, professionali e capaci, ma se si continua a percorre questa via sbagliamo, se il nostro intento è quello di far nascere e fiorire un'idea sana della professione del coach, dobbiamo cambiare strada.

L'idea è, per esempio, che tali associazioni che tengono gli elenchi, vengano composte da numero dispari di componenti del direttivo: la minoranza coach e da altre figure professionali e non. Che nessuno dei componenti del direttivo abbia legami con le scuole riconosciute dall'associazione stessa e che nessun coach che fa parte del direttivo, sia negli elenchi della stessa associazione. La quota associativa verrebbe destinata alle attività istituzionali e ognuno degli iscritti soci coach, sarebbe tenuto a dedicare gratuitamente un piccolo montante ore per far funzionare l'associazione o per attività di divulgazione gratuita. L'associazione potrebbe anche avere dipendenti o collaboratori nelle forme permesse dalla legge, ma non dovranno esercitare la professione di coach.

Sicuramente le motivazioni aggreganti sarebbero quantomeno diverse dal business autocertificato.

Vero è poi che nell'Unione Europea sono studi professionali il cui lavoro è quello di certificare prodotti, metodologie ed altro ad uso e consumo di chi le vuole consultare. E perché non potrebbe essere così per il Coach?

A voi l'ampliamento nel CONDIVIDERE.

Cari lettori, cari colleghi e non, se siete arrivati fino a questo punto vi ringrazio di cuore del tempo dedicatomi.

L'input che mi ha dato la carissima Natascia Pane, amica nonché direttrice della rivista, mi porterebbe oltre a quello che desidero sia la chiusura del mio pensiero per oggi: è vero, non è possibile CONDIVIDERE tutto.

Ma se volete farlo, se avete qualcosa da CONDIVIDERE, una parte di voi, qualcosa che "ne vale la pena, fatelo aperti alle leggi dell'amore universale affinché diventi un dono moltiplicatore ed una riuscita esponenziale per tutti: anche per voi stessi.

questo è amore, questo è diventare Coach.

PS: e se il seme è piaciuto CONDIVIDETE

Questo ed altri articoli interessanti e potenti, sulla rivista del Coach: COACHMAG