Confessions

Creato il 14 luglio 2010 da Gianclint

Se una baskettara fanatica è riuscita ad appassionarsi ad un Campionato del Mondo di calcio, lo deve essenzialmente alle quattro formazioni che le hanno tenuto compagnia per queste tre settimane.

Non aspettatevi niente di tecnico/tattico da questo articolo.  Bisogna accendere il cervello per parlarne, ma io dimentico praticamente tutto quello che mi hanno insegnato sulla palla che rotola, quando cominciano i playoff nba {nothing will never compare}, a spuntare campi da tennis in terra rossa e verde {si esatto verde}, l’NHL imbocca la strada che la porta dritta dritta verso il suo evento principale. Già a gennaio ho la nausea {che combatto solo per Milan e Liverpool: altro non mi interessa, a parte le mie squadre}. Problema mio perchè vivo in Italia e perchè so bene di essere il pesce fuor d’acqua in questo paese.

Cosa segnala il guardialinee quando alza il braccio? Forse che tra  il giocatore che controlla il disco e la porta avversaria ci sono un paio di compagni prima che sia varcata la linea blu d’attacco?  Ah, è vero. Queste cose si vedono ad Hockeytown, non di certo a Port Elizabeth di questi tempi.

Il podio finale recita {per i quattro gatti che ancora non lo sanno}:

- Spagna:  ANCHE a calcio? E che noia, che barba, che barba, che noia!  Vincono ovunque. A basket fa piacere vederli trionfare {Gasol ha la licenza per vincere dovunque: non si può assolutamente dire di no ad uno che si muove come una libellula dall’alto dei suoi 2 metri e 13 e veste gialloviola}, ma da altre parti minga trop (mica troppo);

- Olanda: aridaje! Here we go again with the silver medal, my Dutch fellows and lovers!  La fregatura dell’Arancia: a volte è anche rossa {Ops Roja};

- Germania: veloce, esplosiva, fresca, multietnica e con un coach stile professore delle medie {quelli che se fai qualche cosa di sbagliato girano la faccia dall’altra parte} che ha rischiato seriamente di prendere il posto di Leonardo in cima alla mia classifica di allenatori più fighi del pianeta;

- Uruguay: tristemente, malignamente, indegnamente, sfortunatamente di legno grazie a quel citofono di Muslera {a Milanello lo sanno quanto mi girano le scatole con i citofoni in porta!}  e all’unico vero grave errore di Fucile dopo avermi fatto tifare come una matta per le sorti della Celeste per tutto il Mondiale.

Ho cominciato a seguire i Mondiali da perfetta neutrale e con animo e cuore assolutamente freddo:  non ritengo il calcio lo sport più bello del mondo. Lo ritengo il più accessibile, il più facile da imparare, quello più facilmente condivisibile, assurdamente indietro a livello tecnologico {pure Roddick a Wimbledon ha trovato il tempo di sbroccare davanti al pallone che ha varcato in pieno la linea della porta tetesca…} e quindi manipolabile.

Ho finito per commuovermi e sentire la mancanza di svegliarsi al mattino e fare la rassegna stampa sui siti di Espn, Fifa.com, rubare foto, parole e highlights dei vari protagonisti e di attendere con pazienza le 16 del pomeriggio – come quando alla domenica si aspettavano le 8 di sera per vedere che combinava Mulder in X Files.

Vedere Nelson Mandela con sua moglie attraversare quello stadio impestato di luci, colori ed energia positiva mi ha fatto spendere due lacrime per un evento che ha quasi più importanza per la location e il paese che lo ha ospitato, più che per la semplice passione sportiva. Sono abituata al Sud Africa, seguendo da tanto tempo il Tri Nations: ricordo la Perla Nera, Chester Mornay Williams, primo rugbysta di colore {sport di elite laggiu e quindi vietato ai sudafricani di pelle non chiara fino a che l’Apartheid non cominciò a sgretolarsi nei primi anni Novanta}, vincere il Campionato del Mondo Ovale nel 1995.  Razzismo e antirazzismo, apartheid, segregazione e integrazione. Si è parlato al mondo grazie allo sport che più facilmente entra nelle televisioni. Ci hanno raccontato di Robben Island, di Soweto, di argomenti che sembrano lontani e che un giorno potrebbero essere molto più vicini di quello che si pensa. Al fischio finale di domenica sera mi ero abituata perfino alle vuvuzuela. Si è risalito il fiume fino alla sua sorgente come nel 1995: e senza tecnologia che decida se un pallone ha varcato o meno la linea di rigore, con un pallone che a momenti beffava Casillas nel modo più clamoroso possibile e terne arbitrali ormai alla frutta, non resta che giocare e basta. Ora si candideranno anche per le Olimpiadi del 2020. Avranno addirittura più senso e motivo di esistere di Rio2016 – ma si era scettici anche nei confronti di questa candidatura mondiale – e di Roma2020.

Mi ha fatto molto piacere perdere di vista – come i leocorni della filastrocca – le superstar. Stimo Messi {Argentina stroncata dal pesante nome che aveva in panchina},  Rooney {cotto per un infortunio}, Cristiano Ronaldo, Kakà {Ricky con l’Olanda bisogna per forza perdere, volley a parte}. Ma è stato bello ascoltare le storie di:

- Whisky Snejider  : ad un assist dal sicuro e meritato Fifa Balloon D’Or. Una perla che solo Rui Costa contro il Real Madrid {Casillas…} ha saputo inventare una sera di novembre del 2002  -;  scarto del Real Madrid nell’estate 2009 assieme ad ALIEN Robben.  Non mi ricordo una partita buttata via da questo giocatore. Non mi ricordo qualcosa di inutile fatto da questo fantastico centrocampista tutto fare {a parte vestire la maglia dell’Inter}. Sa far tutto, non si risparmia mai: segna, suggerisce. Sprizza calcio moderno fatto di sacrificio, corsa, intelligenza e precisione da tutti i pori. Niente di meno, niente di più: utile. Lo vorrei compagno sempre. Mi dispiace per il primo tempo in cui si è pensato più a giocare a calci piuttosto che a calcio. Van Bommel e De Jong hanno rischiato in due di compromettere un percorso netto di 6 partite vinte di fila, con l’highlights di aver vendicato quell’Olanda-Brasile del 1998 che ancora adesso se rivedo mi fa *incazzare*. Camomilla, please, o spogliatoio a vita!

- Iniesta, Puyol, Xavi, Villa, Sergio Ramos e Iker Casillas: il trio gia campione di ogni cosa nel Barcellon, l’attaccante chiamato a far piangere gli avversari al Camp Nou o in giro per l’Europa, il braccio destro del Real Madrid e il portiere campione d’Europa a 19 anni. Talmente umili da imparare dalla sconfitta subita alla prima partita dalla Svizzera – ??? – e talmente forti {forgiati da anni di battaglie} da resistere alla pressione da Campioni d’Europa in carica della “prima volta”.  Nascondendo la palla all’avversario per poi fargliela ritrovare in fondo alla rete nei momenti più insperati. Assolutamente universali e capaci di ritrovarsi ad occhi chiusi. La fortuna è di chi se li gode, non loro.

- Joaquim Loew: la sua Germania ha perso per una stupidaggine della difesa – Puyol contestato da Piqué :O – un meritatissimo approddo alla finale ma ha dato vita ad un progetto che darà sicuramente i suoi frutti in futuro. Squadra da urlo – che non smuove un pelo cit. Anfry – che ha mostrato una freschezza, un’unione e una continuità di gioco da far impallidire Argentina e Inghilterra. Preparato e autoironico. Purtroppo per lui, il Polpo…

- Diego e Luis {Forlan e Suarez}: i miei preferiti in assoluto. Uno spettacolo a parte. Con quell’eleganza,  se fosse diventato tennista, Forlan sicuramente avrebbe giocato ad una mano, con variazioni nel gioco e nel ritmo, cercando con insistenza la rete – da attaccante vero – e spazzolando le righe. Sberle alternate a carezze. Da non credere alla genialità di assegnargli il premio come miglior giocatore. Magnifico risultato ottenuto giocando a calcio. Moderni, combattivi e fluidi con quel duo che sfiora le corde giuste di chi si perde a rimirarli. Brainwashing.

Sono stati loro proprio, i ragazzi di Oscar Washington, ad accendermi l’interesse un sabato pomeriggio con un Uruguay – South Korea che sembrava tanto innocuo. Con un piccolo aiuto della presenza della stella dei Lakers, KB24, giunto quel giorno in Sud Africa ad osservare Brasile e Argentina e, ovviamente, a portare sfiga ai suoi connazionali nell’ottavo di finale contro il Ghana.  Se ripenso alla traversa colta da Forlan all’ultimo secondo della finalina  – decisamente meglio della finale: ma ancora devo vederne una, per il titolo, giocata bene – devo apparecchiare per tutti i santi che ho tirato giu dal paradiso.

Dobbiamo ringraziare il fatto che i Mondiali siano organizzati a ridosso della fine delle competizioni per club impegnati su tre fronti {noi siamo disabituati a lavorare su tre fronti}.  Ogni stagione si somma a quella precedente e il fisico può risentirne in ogni momento. Ecco perchè molti dei principali indiziati a ricevere la coppa, che Cannavaro ha restituito – racchiusa in un cartone di vino Bonarda comprato all’Esselunga- domenica sera al Soccer City Stadium, si sono autenticamente suicidati con le loro squadre.

Non ho molto da dire sulla Nazionale Azzurra: avevo gia perso le speranze vedendo la Confederations Cup e, sinceramente,  mi fan più preoccupare i responsi di Roma2009 {non nascondetevi dietro a Valerio, Tania, Federica e Alessia}, Berlino2009 {dio mio} e Vancouver2010. Manca semplicemente il legno: dai piani di lavoro del nostro ex ct in primis. Finito un ciclo, tra 10 anni se ne riaprirà un altro. Se si segue l’esempio dei Campioni del Mondo.

Chiudo dicendo che mi dispiace davvero perdere un Ct come Domenech alla guida della nazionale transalpina. Ma andò va? Ci lascia cosi? E io che volevo vedere il seguito di un lavoro cosi certosino e preciso. L’unica cosa che conta al Mondiale è far si che i tuoi giocatori siano protetti da tutto: agenti interni/esterni. Urca quando, finite le Finals NBA, ho letto dei Blues ho pensato bene di tirare fuori i popcorn: mm butta male per Lippi & Friends? Almeno ci consoleremo con questi qua: roba da filare a Dublino e condividere ogni momento con gli Irlandesi. Leggere di quello spogliatoio mi ha praticamente fatto sganassare dalla prima all’ultima giornata -  anticipata di un giorno rispetto alla nostra – del loro Tour sudafricano.

Vi lascio con una citazione del mio giornalista sportivo preferito:

“Nel calcio di oggi, dove conta solo vincere, e comprare, e guadagnare, e colonizzare, e arrivare prima degli altri e meglio degli altri, pochi parlano di gioco. Di come si gioca, del perché si gioca. Il gioco è divertimento: certo… conta vincere, è inevitabile. A me perdere dà un fastidio bastardo anche quando sono attaccato a Guitar Hero con mio figlio. Ma alla fine quello che ricordo, in un periodo in cui si vince tutti pochissimo, è se davvero mi sono divertito.”

Quando mi tornerà la nausea a gennaio, ricordatemi di SouthAfrica2010.


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