E’ disponibile in Dvd e Blu-Ray, distribuito da CG Home Video, Confessions di Tetsuya Nakashima, uscito in sala in Italia con tre anni di ritardo rispetto alle sue sortite festivaliere: un film che somiglia a un diamante pazzo, a un congegno “inquietante e assoluto”, come l’ha definito Michael Mann, di non facile rintracciabilità. Quella di Nakashima è un’opera d’arte nel senso quasi manifatturiero del termine: un dosaggio millimetrico di ingredienti che si fondono in un’idea geometrica e totale dell’inquadratura, in grado di accogliere al suo interno i ralenti e le improvvise esplosioni, di far dialogare il tappeto sonoro dei Radiohead e un’efferatezza visiva e concettuale che nonostante l’alto livello di estetizzazione non si fa mai maniera di se stessa.
Al centro della vicenda Yuko Moriguchi, un’insegnante di una scuola media giapponese che annuncia alla sua classe la volontà di smettere di esercitare il suo mestiere. Alla base di tutto, un trauma scioccante: l’aver appreso dell’assassinio dell’unica figlia Manami da parte di due studenti. Una tragedia senza ritorno, che darà il via a una spirale di riflessioni sul binomio della colpa e del castigo condotte secondo la chiave grandguignolesca di un mélo dal cuore nerissimo, implacabile e fradicio di crudeltà. A Tetsuya non sembra interessare solo il gesto della violenza in sé, atto cardine del cinema postmoderno che l’ha istituzionalizzato come moda, quanto il suo volto luciferino da far emergere in controluce, non nelle immagini e basta, ma a partire da esse. Ecco dunque il motivo per cui il film si propone in un’apparenza così certosina, come la gelida polifonia su un infanticidio che diventa sevizia psicologica e drammaturgica, pedinamento ossessivo, sinfonia tesa a cucire insieme le singole scene e a dar loro uno spessore allo stesso tempo affascinante e terribile.
La sospensione elegante e struggente che il regista applica alla forma, spalancata su degli abissi che accolgono Bach e Lost flowers indistintamente, si tiene a debita distanza dal formalismo per inseguire piuttosto, in una veste chiaramente azzardata e sinestetica, il senso profondo delle soluzioni grafiche adottate, il loro dramma interno, l’equazione del loro lutto. E’ una scelta interessante e coraggiosissima: sporcarsi le mani con il manierismo più madornale e poi negarlo con accensioni di disarmante verità e purezza è un esercizio non semplice, avventato e di sicuro non da tutti. Il risultato è torbido e suadente insieme, sospinto dalla vertigine di inquadrature fluttuanti ed elaboratissime tutte al suo servizio di immagini tessute tra loro in modo potente. Che, dopo un po’, rassomigliano a un loop: rituale, fascinoso (solo?) nella ripetizione del tratto, nell’orgia del segno reiterato.
L’edizione Dvd realizzata dalla Tucker Film, società di riferimento per tutti i film dell’area Far East Film Festival e splendida realtà produttiva del Nord-Est italiano, è arricchita da alcuni contenuti speciali. In primo luogo, una manciata di trailer della fucina del FEFF: oltre a Confessions, Bodyguard and assassins, Overheard, Overheard 2, Blind e The man from nowhere. E in seconda istanza la vera chicca degli extra di quest’edizione del dvd: una conversazione / intervista con Mark Schilling, critico cinematografico e consulente del Far East per la sezione Giappone, dall’emblematico titolo Una lunga, instancabile vendetta. Schilling illustra la genesi del film, tratto da un romanzo di successo e i cui eventi rappresentano, a suo dire, uno specchio assoluto della situazione attuale del Giappone (e la sua è una ricognizione in chiave sociale del film sviluppata con cognizione di causa, avendo insegnato in passato nei licei giapponesi), ritratti da un regista troppo intenso per scendere a compromessi, che preferisce non restare alla superficie della cornice ma scendere in profondità (“Forse è troppo pessimista per Hollywood. Per loro meglio un lieto fine come in Departures!”).
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