In una scuola media un'insegnante all'ultimo giorno avverte gli alunni della sua (peggiore) classe che è consapevole di chi siano gli assassini della figlia e che i due sono proprio in quella classe; con un intro estremamente gelido (si viene a sapere dell'omicidio sopo almeno 15 minuti) inizia una lentissima storia di vendette trasversali senza precedenti di cui non voglio dire altro per non rovinare altre sorprese.
La trama del film è decisamente pesante con alcuni picchi alluncinanti ed un finale effettivamente eccessivo che sfora senza remore la sospensione dell'incredulità (e a dirla tutta questa è la vera pecca del film, un finale troppo autoreferenziale).
A questo si associa però un uso delle immagini impressionante; ogni singolo fotogramma è realizzato con una ricercatezza estetica tale che sembra essere l'inquadratura fondamentale del film; ogni sequenza viene costruita come se fosse l'unica realmente importante; con un uso dei colori perfetto e una fotografia nel complesso molto alla photoshop (nel senso positivo del termine), eppure molto essenziale.
Questo apparentemente cozza contro la verbosità della trama tutta passata a far discorsi fin troppo lunghi, come se le immagini non bastassero (anche se, anch'esse, sono soggette ad una certa ridondanza). In realtà l'idea del regista, a mio avviso, è quella di utilizzare immagini e parlato come due modi diversi di dire le stesse cose; il dialogo rappresenta la versione della storia in prosa, le immagini ne danno la versione in poesia. L'effetto finale è assolutamente positivo e, come dicevo, se nel finale non si perdesse troppo nell'autocompiacimento estetico e di eccesso della trama, il film sarebbe quasi perfetto.
Nakashima è decisamente da recuperare.