Da
Confindustria arriva un inaspettato attacco alle politiche di
flessibilità nel mercato del lavoro, ritenute, a detta dell'associazione datoriale, responsabili di aver provocato una disastrosa
diseguaglianza nel mercato del lavoro.È scritto in apertura del documento «
Proposte per il Mercato del lavoro e per la Contrattazione», da poco diramato dall'associazione degli industriali. Nel report, a una disanima dei problemi di crescita, competitività, e
disoccupazione seguono proposte per un mercato del lavoro meno segmentato, più
inclusivo, più
equo e più produttivo.Ma di quale
flessibilità si parla? Difficile che i datori di lavoro vogliano rinunciare in blocco ad uno strumento fondamentale della moderna gestione di impresa. La flessibilità biasimata da Confindustria è quella in ingresso quella che, per capirci,
alimenta il precariato e la proliferazione di contratti non solo indeboliti ma anche di dubbia spendibilità – qualcuno ha mai sentito parlare, ad esempio, di
job sharing?La flessibilità in entrata non collegata alla
produttività aziendale è dannosa, perché divide il mercato del lavoro (già di per sé storicamente
segmentato tra occupati e disoccupati) e «continua a concentrare il rischio di
disoccupazione su chi è fuori dall'area di lavoro "standard" (…) determinando anche una dinamica salariale sempre più
incoerente con le condizioni macroeconomiche contingenti».
Flessibilità "
buona" è quella interna, quella che, per capirci, rende i
lavoratori partecipi dei risultati aziendali sia dal lato dell'impegno che da quello dell'effettivo riconoscimento retributivo, o quella "flessibilità delle mansioni" che consente ad un dipendente di arricchire il proprio bagaglio di competenze e funzionalità.Chiaro, Confindustria non si discosta dal proprio background ideologico (vedi l'annosa questione sull'
articolo 18) ed approva, forse troppo alla leggera, la nuova normativa su
contratto a termine ed apprendistato, ma la volontà di promuovere
politiche attive di lavoro e quindi formazione e arricchimento del capitale umano sono apprezzabili e ad ogni modo progressiste. Interessanti le previsioni sul mercato del lavoro "anziano", che sconfessano l'impostazione della
riforma Fornero ed il suo principio dell'
invecchiamento attivo - su cui ad ogni modo è bene pronunciarsi con
riserva; per esempio:
ha senso sostituire un lavoratore esperto in uscita con un giovane appena inserito?Di nuovo a sorpresa, il documento si augura l'introduzione di un
salario minimo che contribuisca ad accelerare il processo di modernizzazione che stanno intraprendendo le relazioni industriali e la concertazione, istituti messi espressamente da parte dalle nuove politiche renziane.