Albero di Giuda
Bisognerà riscattarti, o nome dei nomi,
sei fra noi con altri nomi, e molti
fanno finta di non accorgersene.
Che mi importa del nome, se ad altri nomi
sei legato e ci imprigionano proprio come
ai vecchi tempi, tempo di faraoni, tempo
di faraoni, cosa cambiò, ohilà,
un bel giardino fatto da uno che conosco,
naturalmente non gliela fanno passare
liscia, ehi, friend, mi ricordo, era così
da un sacco di denominato tempo,
noi a picco sulle colline deserte ce la guardavamo
la luna, anche da certe soglie,
e chi lo può impedire all’uomo, di essere?
no, giuda neanche tu, col tuo malfamato nome,
esattamente il più povero, la tua grande pochezza
ora io la esalto e danneggiare gli altri
ma molto più di te stesso, se fosse mai vero
quello che i farisei riportano, come sempre fanno.
crederei anche ai giornali, e certo
agli speakers della televisione.
Eppure amico doloroso, io ti assumo, e te la
do la benedizione, il più negletto fra gli uomini,
che pessima sorte, oh Giuda!
Noi amici sulla terra amiamo la natura,
e raccontarci delle ultime avventure che sempre
trattano di vita, di vita calda e fuocosa.
Te la racconterò accanto all’albero,
che ti porta, qualche bella storia di ottimi
tradimenti, che portarono lontano,
che portarono lontano. Nel procedere è
assolutamente meglio una pessima sorte, tu lo sai.
così c’è qualche possibilità di essere gli uomini
che siamo, oppure è solo vento.
Giuda te la sei fatta pesa, te l’hanno
fatta pesa, ma c’è qualcuno, qualche vecchio
intenditore di talenti, qualche mago,
che sa que paso, all’ombra dello stesso
giardino di questa notte.
Hai capito la bellezza
del mio naso
profilo ignoto
che pena l’amore per un numero
gli occhiali sono neri
ma non basta
ci vuole una A grassottella
valore del volume almeno
Quando non rimane niente
all’infuori dell’amore per un numero
peccato che sia un diciannove
se non ci se l’aspetta.
Il testo apparve in Le radici della poesia, a cura del Laboratorio di poesia di Modena, Edizioni del Laboratorio, Modena, supplemento a «Steve», 6, autunno 1986, pp. 88-89.
Poi anche in Opere, cit., dove in calce reca data e luogo: «maggio 1986, Bologna» febbraio 1962.
Da un altro punto furono viste le stagioni
fino lì sconosciute
solo allora poté sedersi ad ammirare
il senso dell’alternanza.
Dalla sua radice gassosa ne muta
la base visibile
e lo cimenta la traiettoria
di notte e giorno la luce,
il cielo.
È fusa la donna alla sua ombra
eppure trema al fuoco dell’inizio
così se li sposta i suoi passi
Iside all’orizzonte mèta
ora essa fugge la sua lontananza.
Perché non cola l’attesa profumata
ossia fermarsi
la sua ansia volta avrà la fine
di profilo porre cosa la tiene unita
quella che stacca la radice, un alito.
Batte allora sul ferro la materia di sé
e lo plasma ogni angolo continuo
della vista
una distanza del suo centro esatta
la definisce.
I piani diversi del linguaggio
ne è avvolto
così genera le forme della sua ricerca
egli ha imparato come lasciarsi solcare
ad essere cinto dalle tracce.
Con un colpo d’occhio sentiva
la presenza simultanea di tutto ciò
che nella terra cresce
e questa coscienza della situazione attuale
lo aiutava come una disciplina.
Ciò che non è compiuto spinge
il modo del procedere,
mèta, mèta, arsi e riarsi,
durante la costa dei millenni.
Incessante se lo vide rinascere e morire
il mondo fino a dove
non ci fu più tempo né abbastanza luce
per seguitare i paradossi demoniaci
sbalzato come dura pietra molle ora
nelle acque del fiume,
si agitava dentro pezzi di realtà dissimili.
Nel mentre cantano nel petto i volti
dei suoi sogni
muta al mattino in albe anche dorate,
quale certezza venga da mondi paralleli, attriti
posti sopra o sotto, vincolanti.
Scivolando lungamente sul fianco
della piramide atavica
lo blocca quando vuole come esercizio
e intanto la miseria dell’uomo
va consumata dentro di sé, nell’arca
del suo spazio interiore
intendeva infrangere ciò che da inadeguato
si ricompone ad ogni istante.
L’attrazione dinamica del fare mancò
a quel punto
e alla fine della danza più lunga,
l’abbandono e il silenzio
della grandiosa solitudine
lo rendeva eterno,
come collocato su di un punto raso
della terra, sotto le stelle.
Non era più chiamato in battaglia
da tanto tempo.
Il mio inizio è forse il solo inizio,
disse l’uomo assetato, e si sedette
a guardare l’evidenza del suo destino.
Il cavaliere che guarda la luna,
non cerca e non aspetta niente.
Beveva quel soffice vino d’agosto
e teneva la porta aperta
sulla laguna afosa della fine d’agosto,
musica in viole di quel tempo, vino di Graal.
Si chiedeva se non fosse una sua fantasia
mentre risa fendevano l’aria,
di giovani donne ubriache.
Arrossisce il suo silenzio il vino
e gli dà corpo
col respiro batte il ritmo della mente
nell’aria intatta
ora a cerchio lo sguardo, la perdita
lo svela,
un parallelepipedo di una battaglia navale
del settecento,
esatto d’ombre fatte di sfumature.
In settembre oltre la luce così bassa
e radente c’è nebbia
e l’odore di funghi porcini annusati
a lungo, come nelle cene d’inverno
dentro le buste di plastica.
La configurazione del male così conosciuta
era allora impalpabile, sembrava
non ci fosse traccia.
Intanto la luna al primo giorno calante
porge la notte in adagio,
la struttura tutto sommato
è tonda ora, poi cambierà.
Già pensa che il santo Graal è troppo
lontano, e il bicchiere si sta offuscando
di rosso, – qualsiasi cosa signore, ma spingimi
avanti – nuovamente il bicchiere brilla rosso
e la luna fra gli alberi cade con la certa nebbia
fino ai pini e alle acacie, ma non i grilli, non
i ragni, le libellule fino a ieri poi.
Non c’è arrivo non c’è sosta non
c’è partenza, ma il succedersi senza tregua.
Questo sì, che ad ogni livello ne succeda
un altro, per generazione spontanea
l’aveva saputo dalla ruota che girava
mentre i mondi finivano, a volte.
Tratta da Opere, all’insegna del pesce d’oro, 1994.
L’ho conosciuta la gazza ladra, la numero 123
degli arboricoli
nel profondo giardino d’estate
in picchiata scorazzante, in seguito volò alta.
Per qualche oscuro motivo le piacque
la mia caviglia col suo mento la struscia
una mercante dagli occhi neri e fantasiosi,
la trovai una bellezza
tanto eccellente nella sua umanità impossibile.
Come San Francesco, ci siamo fatte delle belle
chiacchierate, un sacco di confidenze,
lei col suo abito nero e azzurro, io coi miei
soliti pantaloni blu di Moschino.
Torno alla luce
e non parlo – non dico – non penso
a stento potrei fingere un copione – che non ho studiato
per parti che abbiamo già scritto – voluto ascoltare
nell’acqua trasparente
nelle strade di terra
nelle macchie di verde
nelle arroganti tempeste
arrivate – con telefonate di tuoni
apparsi vociferanti – bagliore di lampi – temporali
che oggi hanno aperto le ali – rapide – micidiali
sulla verità
imitante il suo capolavoro
nel mazzo di fiori compiacenti
strappati
da scienza segreta – composti (sul davanzale)
che mostrano
come – creare forme
come – costruire un monumento – alla banalità
come – la misura feroce ripetuta
l’eco monotona del controllo
del – sistema geometrico chiuso
quadrato – triangolo – cerchio
che mi – sistema il reale
catena – gabbia morale – opinioni
che indagano – giudicano – e disfano sorti
strisciando all’interno – senza un contrario
togliendo aria – di proposito – per farci fuori in fretta
e… chissà dove sei
immaginario marmo eretto alla mia fine
e CHI – chi ne sarà il custode
e CHI – chi se ne frega
finché ci sono simboli da combattere
o da esporre alla demolizione
ma non importa alla natura dipinta
che a novembre distenderà un verde diverso
o all’inverno che può darci i giardini anonimi
dove in un angolo è rimasto il nostro fantasma
che soffre dove appare questo fantasma letterario
ed è allora che scrivo poesia – CHE
non si trova dentro la Storia – CHE
nella Storia non conta – CHE
è come una rotta esitante
che sbatte – s’impunta – si frantuma
sibilo – tosse soffocata – urlo disperato
bisogno di spazio – spazio sterminato – deserto
non descritto – non inscritto – non scritto
dove
LEGGETE CIO’ CHE E’ VIETATO
al sole – che spacca la terra – prima vita dell’acqua
che ha lasciato al sogno tutte le grandi possibilità
all’immaginazione di piombo
che non voleva più essere di piombo
che – è quasi disperazione – debole affogare
come quando affondavo affascinato
oscillando tra le grandi divisioni
parlando di amore immortale – e MORTE
morte delle regole
È’ – la soluzione semplice
È – come vogliamo
È – senza memoria
PICCHIATE PURE E’ INDISTRUTTIBILE
come la faccia di Tina Turner
come il cuore del rock
I am – speaking of – living – I am speaking of living
E PROCEDENDO
E PROCEDENDO E PROCEDENDO E PROCEDENDO
videro una rivoluzione tragica
vessilli di follia – bel colore – rosso – e nero
lo stesso dell’intensità
il modo per scommettere ancora – CHE
non respira d’aria tranquilla – CHI
vive nei colpi di scena – CHI
ad attaccare di fronte
quasi – mai di schiena
ma sbagliavo espressione….
e ancora trovarmi sulla strada parallela
scavando con cura un solco preciso
PERCHE’ NOI CI SIAMO ADESSO NON QUANDO
piangendo – e come piangere
non possiamo dimenticare i compagni
quelli che se ne sono andati
fratelli traditi dal pianto in gola
e allora la mia (generazione) era
verginità – violata – giovane – ingravidata
ha partorito da sinistra e nascevano talpe adolescenti
che hanno abbandonato in tempo le anime
sono già cenere – fiamma spenta
lavorano – vivono – credendolo opportuno
mettendo da parte pietre per fare mura – portici blindati
e se siamo diventati pratici
NOI – abbiamo un lavoro da eroi da ultima gente
ORA – dobbiamo vivere a poco prezzo
questa danza inebriante
irrisolta idea di – sanguinosa rivolta
irreparabile – improvvisa – inevitabile fertilità
COME QUESTA POESIA
e TU coraggio TU che hai anche taciuto zitto per aridità
TU – CORAGGIO – STRAPPALA – SÌ – STRAPPALA
COME – SE – FOSSE – LA – MEMORIA
mi resta ancora una bottiglia
e finalmente ho paura di noia
intanto vivo – e vivo – mi rincorre – Mozart
se per piacere vogliano
chiudere – uscendo – (la porta)……
[Ottobre 1991]
Alberto Masala – testo e voce
il testo in “Alfabeto di strade Edizioni Maestrale (Nuoro 2009)
Proveniamo da estremi (libro + CD) con Fabiola Ledda e Antonio Are (Erosha/ETL, Bologna 2002)
Biografia
Patrizia Vicinelli
Nasce nel 1943 a Bologna dove muore il 9 gennaio 1991. Negli anni Sessanta collabora con Aldo Braibanti ed Emilio Villa; entra a far parte del Gruppo 63 al convegno di La Spezia del 1966. Collabora a riviste come «Bab Ilu», «Ex», «Malebolg» «Quindici», «Che fare», «Marcatré», «Marcatré» «Doc(k)s» e «Alfabeta». La sua poesia visiva (parzialmente raccolta in à, a. At Lerici 1967) è stata esposta in tutto il mondo, da Milano a New Work, da Tokyo a Venezia e San Francisco; la sua poesia fonetica e sonora si ascolta in varie registrazioni.
Come attrice partecipa anche a diversi film d’avanguardia, di artisti come Alberto Grifi e Gianni Castagnoli.
I suoi ultimi libri sono Apotheosys of schizoid woman (Tàu/ma 1979) e il poemetto Non sempre ricordano (Ælia Læia 1986).
Una precedente antologia di Opere, a cura di Renato Pedio, era uscita presso Scheiwiller nel 1994.
Alberto Masala
Nasce nel 1950 in Sardegna, abita a Bologna.
Di lingua madre logudorese (sardo dell’interno). La buona conoscenza di altre lingue (oltre l’italiano) gli permette di esprimersi in un personale ‘linguaggio di confine’ che, attingendo a diverse forme, va trasversalmente alla ricerca di un’espressione che dia fluidità ritmica ai suoi scritti.
Ha esperienze di radio, teatro, video… Per quattro anni direttore artistico del nowall di Bologna, ha diretto eventi come d’art room (Bologna 86-87), no-wall in berlin (Berlino, Città europea della cultura 88)… in seguito è tra i fondatori del LINK Project.
La frequentazione dei percorsi d’avanguardia nella scrittura e nell’arte contemporanea lo porta spesso a rapportarsi con artisti di diverse provenienze e discipline (poeti, musicisti, artisti visivi…), con i quali realizza eventi soprattutto nell’ambito della poesia concreta e dell’arte immateriale. Attualmente opera in stretto rapporto con il vocalista Antonio Are e l’artista Fabiola Ledda, la vocalista Miriam Palma, il poeta Serge Pey, l’artista Anton Roca, su Cuncordu Bolothanesu, il gruppo di canto sardo a tenore per cui scrive i testi….
Promotore di minores, movimento poetico per la dignità delle minoranze, con questa etichetta ha ideato diversi incontri internazionali.
E’ stato tradotto in Francia (da Ambre Murard), Germania (da Magda Lindner), Ungheria (da Nitraï Tómas), Albania (da Faslli Haliti), Stati Uniti (da Jack Hirschman), Spagna (in Catalano sia da Anton Roca, sia da Matteo Agostini con M. Magdalena Crespí).
Ha partecipato a rassegne come diversi in versi (Parma), centauri, farfalle… (Napoli), Confluenze (Arezzo), One World Poetry (Amsterdam), Poliphonyx (Széged-Budapest), Landjuveel 2000 (Olanda), le voci della poesia, Isole ed Iceberg (Bologna), Lo spirito dei luoghi, Verba volant, Napolipoesia (Salerno, Napoli…), Les oreilles en pointe (St. Etienne), Isole che parlano (Palau), Xiru (Paesi Baschi), Parole ambulante (Lyon), Cave Poesie (Toulouse), La notte dei poeti (Nora), Parole di mare (Amalfi), Voix de la Méditerranée (99 e 00), Ostinata (Bologna), Salone del Libro di Torino, L’incanto della terra (Bologna 01), VII Festival Internazionale di poesia (Genova 2001) …
eventi come in tempo reale (Tarragona), per Joseph Beuys (Bologna), Coming together-Attica (reg. RAI), Altre musiche, altri canti (Longiano), Horizontal radio (reg. RAI), Lada 96 (reg. RAI), vita di janna (Palau), Les continents de la parole (dedicato ad Artaud, Toulouse), Isole di Comunicazione (Cagliari), Memorial (Link Bologna), la marcia mondiale della poesia 97, 98 e 99, Das Erd Projekt (Cesena), Spazi incontaminabili (Catania), Mediterranea (Nuoro) …
tours e letture con Patrizia Vicinelli, Adriano Spatola, Gregory Corso, Lance Henson, Serge Pey, Jack Hirschman, Hawad, Izet Sarajlic, il danzatore derviscio Raji, i musicisti Gianni Gebbia, Maurizio Maiorana, Paolo Angeli, Riccardo Pittau, Michel Doneda, Giuseppe Chiari, i Calic, Maurizio Carbone, André Minvielle e tanti, tanti, tanti altri.
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