Conflitto totale: l'etica di Antigone

Creato il 19 giugno 2013 da Athenae Noctua @AthenaeNoctua

Il nucleo della tragedia greca è il conflitto. Non il dolore, non la morte, non la punizione: essi ne sono la conseguenza. Il dramma nasce da uno scontro che può riguardare le intenzioni, i sentimenti, le civiltà, la morale, l'orgoglio. Le tragedie più riuscite sono, infatti, quelle in cui i conflitti si manifestano in maniera più forte, dimostrandosi insolubili, non permettendoci di prendere una posizione chiara in favore di una o dell'altra parte. La morte e la punizione costituiscono quasi sempre l'esito di una vicenda tragica, ma non sono necessariamente presenti.

Antigone è senza dubbio uno dei drammi che meglio inscenano il conflitto tragico. Il dramma di Sofocle, presentato alle Grandi Dionisie[1] del 442 a.C., inscena l'epilogo della saga mitica tebana, apertasi con le note vicende di Edipo; costui è ormai morto (le figlie Antigone e Ismene lo hanno condotto presso il boschetto di Colono sacro alle Eumenidi, dove Edipo ha riscattato i propri delitti) e il trono di Tebe è divenuto oggetto di contesa fra i due figli maschi da lui generati con la madre Giocasta. In un sanguinoso scontro presso le porte della città, Eteocle, regnante in carica, e Polinice, che cinge d'assedio Tebe, si danno la morte vicendevolmente; a causa della gravità dell'affronto di Polinice, Creonte, fratello di Giocasta, decreta che solo Eteocle debba ricevere onori funebri, mentre Polinice dovrà essere lasciato allo scempio delle bestie. Ma Antigone non può permettere che il corpo del fratello sia esposto alla vergogna e condannato a non trovare la pace eterna e, sola, senza nemmeno il supporto della sorella Ismene, offre al morto una simbolica sepoltura e una libagione funebre. Scoperta dalle guardie e condotta di fronte al giudizio di Creonte, ella rimane irremovibile nella sua decisione di onorare Polinice, votandosi al destino di morte stabilito dal reggente, il quale sostiene che le ragioni delle leggi familiari e dei riti divini (tali erano considerati, infatti, gli onori tributati ai defunti) non possano in alcun modo avere la meglio sulle leggi cittadine, poiché in tal caso lo stesso fondamento della correttezza, dell'ordine pubblico e della stessa salvezza della comunità verrebbero sovvertiti. Emone, figlio di Creonte e promesso sposo di Antigone, tenta di smuovere il padre, ma questi sembra irremovibile; Antigone viene murata in una grotta e destinata a morire di fame, ma la sorte del re tebano non sarà migliore: nonostante l'improvviso ravvedimento di Creonte, Antigone ha il tempo di impiccarsi con un sudario di lino, Emone di trafiggersi con la spada sul corpo della fanciulla e la madre di lui di togliersi la vita per il dolore.

La tragedia si nutre di diversi conflitti: una prima opposizione riguarda Antigone e la sorella Ismene: mentre, infatti, la prima vuole a tutti i costi onorare il corpo di Polinice, ritenendo di avere un dovere più grande nei confronti della famiglia e degli déi, e di essere onorata di morire per assolverlo:

"È bello per me morire in questa impresa. Cara a lui che mi è caro giacerò, per un santo crimine: perché ben più a lungo dovrò essere cara ai morti che ai vivi. Laggiù infatti riposerò per sempre; ma, se credi, disonora ciò che fra gli dei ha onore." [3]

Il secondo scontro, che costituisce il fulcro del dramma, si verifica nell'opposizione fra Antigone e Creonte, dove il conflitto si fa totale: donna contro uomo, giovane contro vecchio, ma, soprattutto, leggi non scritte della pietas (devozione alla famiglia e agli dei) e leggi scritte della città. Ogni aspetto della vita umana è messo sotto pressione, incrinato, stirato e lacerato nei versi in cui la ragazza e lo zio si affrontano:

A. "Questo editto non Zeus proclamò per me, né Dike [4], che abita con gli dei sotterranei. No, essi non hanno sancito per gli uomini queste leggi; né avrei attribuito ai tuoi proclami tanta forza che un mortale potesse violare le leggi non scritte, incrollabil, degli dei, e che non da oggi né da ieri, ma da sempre sono in vita, né alcuno sa quando vennero alla luce. Io non potevo, per paura di un uomo arrogante, attrarmi il castigo degli dei. Sapevo bene - cosa credi? - che la morte mi attende, anche senza i tuoi editti. Ma se devo morire prima del tempo, io lo dichiaro un guadagno: chi, come me, vive immerso in tanti dolori, non ricava forse un guadagno a morire? Affrontare questa fine è quindi per me un dolore da nulla; dolore avrei sofferto invece, se avessi lasciato insepolto il corpo di un figlio di mia madre; ma di questa mia sorte dolore non ho. E se ti sembra che mi comporti come una pazza, forse è pazzo chi di pazzia mi accusa."
[...]
C. "Ma i giusti non devono ottenere gli stessi onori dei criminali."
A. "Chi può dire se fra i morti questa legge è santa?"
C. "Il nemico non è mai un amico, neppure da morto."
A. "Io sono fatta per condividere l'amore, non l'odio."
C. "E allora, se vuoi amare, scendi sotto terra e ama i morti. Io, finché vivo, non prenderò ordini da una donna." [5]

Dopo questo emozionante passaggio, lo scontro continua. Nell'opposizione fra Emone e Creonte ritorna il motivo dell'orgoglio di quest'ultimo, che rimane fermo nella sua convinzione che mai e poi mai si lascerà piegare dalla volontà di una donna, tanto che sembra che, se le stesse motivazioni di Antigone fossero pronunciate da un uomo - un suo pari, Creonte potrebbe convincersi della loro giustezza. Sono forse proprio le parole di Emone, rifiutate da Creonte, a insinuare nel vecchio il dubbio sulle proprie azioni:

"Non trincerarti nell'dea che solo ciò che dici tu, e nient'altro, sia giusto. Quanti presumono di aver sempre ragione, o di possedere una lingua e un animo superiori, ebbene, una volta scrutati a fondo, rivelano il loro vuoto interiore. Anzi fa onore a un uomo, per quanto saggio egli sia, continuare ad imparare senza chiudersi nell'ostinazione. Sai bene come lungo i torrenti gonfiati dalle piene invernali gli alberi che si piegano conservano i rami, mentre quelli che resistono finiscono divelti con tutte le radici. E parimenti il marinaio che tiene troppo tese le scotte, senza mai allentarle, fa rovesciare l'imbarcazione e si trova a navigare a chiglia capovolta. Coraggio, arrenditi, e concedi al tuo animo qualche cambiamento. Se io, benché giovane, posso esprimere il mio pensiero, dirò che sarebbe stupendo se gli uomini possedessero per nascita la perfetta saggezza; altrimenti, poiché questo accade raramente, è buona norma imparare da chi dice il giusto." [6]

Creonte cederà solo dopo che l'indovino Tiresia gli avrà predetto gli effetti devastanti della gravissima situazione creatasi in seguito alla mancata sepoltura di Polinice e alla condanna di Antigone. Il vecchio re, insomma, deciderà di comportarsi come l'albero che si piega, ma solo dopo che il torrente, ingrossatosi, avrà già divelto le sue radici: il dramma non può che risolversi con la sconfitta di tutti i suoi protagonisti.

C.M.

NOTE:
[1] Feste religiose in onore di Dioniso che si tenevano ogni anno ad Atene nel mese di aprile e nel corso delle quali aveva luogo un concorso tragico della durata di tre giornate, ciascuna dedicata ad un autore che presentava tre tragedie e un dramma satiresco (un testo scanzonato che spesso riprendeva i personaggi della trilogia precedente).
[2] N. Lytras, Antigone (1865).
[3] Sofocle, Antigone, 73-77 (trad. di Franco Ferrari per Rizzoli).
[4] Antigone si riferisce all'editto con cui Creonte aveva proibito la sepoltura di Polinice; Dike è la divinità che personifica la giustizia suprema cui sono sottoposte perfino le divinità.
[5] Sofocle, Antigone, 450-670 e 520-525.
[6] Ibid. 705-723.
[7] F. Leighton, Antigone (1882).