Confronti generazionali e multietnici: “Gran Torino” di Clint Eastwood

Creato il 02 maggio 2014 da Taxi Drivers @TaxiDriversRoma

Nel giro di poche sequenze iniziali Clint Eastwood introduce lo spettatore nel mondo crepuscolare di Walt Kowalski (interpretato dallo stesso regista). Siamo al funerale dell’amata moglie e vediamo il vecchio Kowalski grugnire ed esprimere attraverso smorfie arcigne sul volto la disapprovazione da una parte per i figli e i nipoti, per il loro comportamento irriverente e disinteressato nei confronti della nonna morta e della cerimonia, dall’altro verso il giovane prete cattolico che sta officiando la cerimonia. Subito dopo ci spostiamo nella casa di Kowalski dove si tiene il pasto post funebre e – con un montaggio alternato e poche inquadrature -  vengono mostrati i vicini di casa orientali che stanno festeggiando una nuova nascita in famiglia. Kowalski li guarda con disprezzo, per lui sono tutti dei “musi gialli”. Altre inquadrature all’interno di queste sequenze danno tutta una serie di informazioni che immediatamente ci descrivono il personaggio, la sua storia e il milieu contemporaneo dove agisce.

Walt Kowalski (di origine polacche) è un reduce della Guerra di Corea, dove ha combattuto in prima linea ed è stato decorato;  burbero, irascibile, razzista, fumatore incallito, è un operaio in pensione della Ford, dove ha lavorato per tutta la vita alla catena di montaggio per la costruzione delle auto, tra cui il modello Gran Torino. Walt ne possiede una che tratta come un gioiello, visto che ha contribuito a costruirla personalmente e che è oggetto di brama da parte della nipote e in seguito anche di una gang di ragazzi orientali. Ha un pessimo rapporto con i figli, con le nuore e i nipoti che non capisce e che tratta male. L’unica donna che ha veramente amato è sua moglie che adesso non c’è più.

Kowalski è sostanzialmente un uomo vecchio e solo, in un quartiere periferico dove  i suoi  vicini di casa sono tutti di immigrati dell’estremo oriente e che lui odia. Difende la sua casa come se fosse in trincea, seduto sotto il portico a osservare il vicinato, in memoria della moglie (donna devota e casalinga, informazioni dedotte dai dialoghi in absentia del soggetto che diviene oggetto di confronto con il prete, i parenti e i vicini).

Tra scontro generazionale  e confronto multietnico

Dalla fine del funerale si assiste a uno sviluppo narrativo lineare e in crescendo, fino al climax finale, che si poggia su due direttrici primarie che s’intrecciano e si sovrappongono: da un lato il confronto generazionale, dall’altro quello multietnico.

I vicini di Walt sono una famiglia di etnia Hmong, composta da un ragazzo, Thao, da sua sorella, Sue Lor, e dalla madre e dalla nonna (che non parlano inglese).

Eastwood si sofferma nel mostrarci la vita di questa famiglia proprio durante la festa per la nascita di un bambino, mettendo in evidenza il carattere e il personaggio di Thao, ragazzo timido e riservato.

In una sequenza successiva, sempre nella prima parte del film, Thao è irretito da una gang, il cui capo è suo cugino, che lo “salva” da un’altra composta di ragazzi latino-americani. Costringeranno Thao a unirsi alla loro gang e come iniziazione lo spingeranno a rubare la Gran Torino di Walt. Il furto fallisce per la reazione del pensionato, armato di un vecchio fucile, che mette in fuga lo spaventato Thao.

Il cugino e il suo gruppo si presentano il giorno successivo continuando a importunarlo, e sia la madre ma soprattutto la sorella si oppongono facendo scattare la reazione violenta dei giovani che vogliono portarsi via Thao. Interviene Walt, fucile alla mano, costringendo i giovani a una prima fuga. La sua è una reazione razzista di odio verso “i gialli”, perché hanno “invaso” la sua proprietà. Ma questa azione sarà letta dalla famiglia e dal vicinato come un atto di coraggio e Walt deve accettare l’attenzione e i regali della comunità.

Eastwood narra in modo semplice e diretto il rapporto che lentamente, scena per scena, muta tra il vecchio e i suoi vicini.

Il regista americano mette in scena eventi e snodi sempre significativi che avvicinano il vecchio e la famiglia di Thao. Eastwood fa apparire Walt come un uomo fuori tempo e sembra dire che solo la conoscenza e la solidarietà può far superare la diffidenza. Il razzismo di Walt è dato dalla sua storia e dalla sua cultura, ma sarà superato proprio perché inizierà a frequentare i suoi vicini e a capire le loro abitudini. Il cambiamento di Walt sarà graduale e lento e soprattutto dovuto al confronto con i due ragazzi, sia con Thao che con Sue Lor.

Sarà Sue Lor a essere una sorta di Virgilio femminile che conduce fuori dalla solitudine e dall’odio Walt, facendogli superare i suoi pregiudizi. La ragazza spiegherà che loro provengono da un territorio tra il Laos, la Thailandia e la Cina, che sono gente di montagna, pieni di tradizioni, e che sono fuggiti dai loro paesi dopo la guerra del Vietnam perché si erano schierati con gli americani. C’è un’operazione di distinzione,  di differenziazione. E del resto in tutto Gran Torino non si fa altro che mettere in evidenza la componente multietnica della popolazione americana.

In una sequenza significativa, a circa 30’ del film, Sue Lor è in compagnia di un ragazzo bianco, viene fermata da tre ragazzi di colore che vogliono aggredirla. Walt assiste alla scena e interviene. All’interno della sequenza sono presenti un’orientale, tre afroamericani, un irlandese (il ragazzo che vuole imitare gli afroamericani e  anche per questo provoca la loro reazione) e un polacco (Walt).

In  sequenze successive, Walt incontra insieme a Thao un italiano (il suo barbiere) e un irlandese (suo amico e direttore di un cantiere edile). Insieme a loro insegna al ragazzo come comportarsi da vero uomo e come interagire con persone di altre culture e comunità.

E’ chiaro l’intento di Eastwood di mostrare come la società americana sia un melting pot di razze ed etnie differenti che condividono lo stesso spazio e  la stessa comunità, una convivenza non sempre idilliaca, anzi difficile. Questa sequenza è metonimica e simbolica dei rapporti sociali in essere e delle osmosi difficili tra le varie culture.

L’intervento di Walt in aiuto della ragazza non fa che accrescere la sua stima agli occhi della comunità Hmong. Diventa una figura “maschile” in un mondo femminile, e se Sue Lor è il mentore di Walt, egli diverrà una sorta di tutore per  Thao. Costretto dalla madre e dalla sorella, per scusarsi per il tentativo di furto, il ragazzo lavora per una settimana per Walt. Inizia così un rapporto filiale, intergenerazionale, di passaggio di testimone tra un vecchio e un giovane.

Walt accompagnerà Theo in un percorso di crescita fatto di lavoro e di esempio,  di insegnamenti sulla forza di carattere, sul rispetto altrui, sulla lealtà degli impegni presi. Per Thao è un passaggio di una linea d’ombra che lo porterà in un mondo adulto; per Walt è un modo per riscattarsi e restare in piedi nel percorrere  l’ultimo tratto della sua esistenza giunta alla fine.

Della vita e della morte: il superamento dell’odio e l’estremo sacrificio

Su questi due temi principali che sorreggono tutta la fabula, c’è una terza direttrice etica che in modo trasversale percorre tutto Gran Torino.

Il rapporto tra come si è vissuto, come si vive e la fine dell’esistenza è implicito nel personaggio di Kowalski. Viene messo in luce dagli incontri che il vecchio ha con il giovane prete che non stima. Kowalski gli rinfaccia di non sapere nulla della morte, lui che ha combattuto per tre anni in Corea e che con la morte ci ha convissuto giorno per giorno. Il prete gli risponde che sicuramente lui ne sa poco ma rinfaccia a Kowalki che lui “ne sa più della morte che della vita”.

In questa breve scena, posta nella prima parte del film, si manifesta la durezza del personaggio di Kowalski, un uomo che ha avuto la morte come compagna e che ha vissuto in modo ordinario e pacifico, ma senza mai riuscire a costruire un legame emotivo con i propri figli (degli sconosciuti, come lui stesso ammette).

Nella seconda parte di Gran Torino, da un lato Kowalski scopre di essere malato (sputerà sangue in alcune scene sparse durante lo svolgersi degli eventi) e dall’altro sarà causa scatenante della vendetta della gang dei teppisti Hmong contro la famiglia di Thao. Il ragazzo sarà torturato e gli ruberanno gli attrezzi dopo una giornata di lavoro (in un cantiere edile che Walt gli aveva trovato), mentre Sue Lor sarà selvaggiamente picchiata e stuprata.  Walt capisce a quel punto che deve fare qualcosa per salvare Thao e la sua famiglia, perché il cugino e la sua banda di teppisti non li lasceranno mai in pace.

Kowalski sapendo di avere poco da vivere dopo gli esami medici effettuati, decide di finire la sua vita coscientemente. Decide lui come andarsene e il suo sacrificio servirà per salvare altre persone che ormai sente più vicine dei propri familiari.

Thao vuole vendicare la sorella e uccidere il cugino e i suoi amici e chiede l’aiuto di Walt. Il vecchio gli promette che ci penserà lui. Walt si prepara a morire: va dal barbiere per un ultimo taglio, si fa l’abito su misura per il funerale, mette a posto le ultime volontà. E va a confessarsi. Il giovane prete pensa che andrà a compiere la vendetta, ma nella realtà Walt, dopo aver rinchiuso Theo nello scantinato della sua casa, si recherà presso il domicilio della gang e provocandoli si farà uccidere.

In questa bellissima sequenza – un prefinale magistralmente diretto e interpretato da Eastwood – Walt farà il gesto di uccidere tutti con la mano, poi, nel buoi, farà credere di prendere una pistola dalla tasca mentre in realtà è l’accendino per l’ultima sigaretta. E’ crivellato dai colpi dei giovani teppisti. Tutti saranno arrestati e il suo sacrificio salverà Theo e Sue Lor.

Ma prima abbiamo due sequenze – una in contrapposizione all’altra – due confessioni:  una sulla vita e una sulla morte.

La prima è nella chiesa ed è la confessione a padre Janovich. Walt con poche frasi parla dei suoi peccati: un bacio a un’altra donna, durante una festa in fabbrica, mentre la moglie è presente in un’altra stanza; aver guadagnato dei soldi dalla vendita di una barca senza aver pagato le tasse (“è come aver rubato” dice); e il rapporto con i suoi figli che non è mai riuscito a costruire (“tutto qui?” chiede padre Janovich; “Come tutto qui?” dice Kowalski, “io ci sono stato male tutta la vita!”). In pochi episodi Eastwood racconta un’intera vita, delinea i valori etici del personaggio, in una messa in quadro all’interno del confessionale con la grata che divide i due uomini in un campo e controcampo.

La seconda è simile sia per la messa in quadro che per l’intensità emotiva. Questa volta Walt si confessa a Theo, rinchiuso nello scantinato, divisi da una porta con la grata e ripresi in campo e controcampo. Ma la sua confessione è sulla guerra e sulla morte. Lui ha ucciso e non voleva, ha causato la morte di  molti uomini (“ho ucciso tredici persone”) ma in particolare di un giovane soldato coreano che si voleva arrendere con le mani alzate dopo che tutti i suoi compagni d’arme erano morti durante l’assalto. Gli sparò a sangue freddo in faccia e questo ricordo lo ha tormentato per tutta la vita. La morte non è bella e non vuole che Theo compia i suoi stessi errori. L’altra faccia della confessione di Walt , quella sulla morte, la fa a Theo, come lascito al giovane a non ripetere gli stessi errori.

Gran Torino finisce dove è iniziato: con un funerale, questa volta quello di Kowalski, dove a partecipare sarà sia la sua famiglia di sangue sia tutta la famiglia “acquisita” della comunità Hmong, in testa Theo e Sue Lor.

Si chiude il cerchio con la morte e con la vita. Walt ha un’ulteriore lezione etica da impartire ai suoi familiari: nel testamento lascia la casa alla chiesa (così come voleva la moglie) e la Gran Torino a Theo, l’unica persona che gli è stata veramente vicina alla fine della sua vita.

Dire che lo stile registico di Clint Eastwood rientra negli stilemi del cinema classico appare ormai un’affermazione abusata. Certo è che il cinema del regista americano rientra in questo canone, reinventandone la tradizione e attualizzando temi e personaggi. La sua messa in scena sempre precisa e asciutta, l’utilizzo di una messa in quadro essenziale e assolutamente cogente al contenuto, creano un’estetica che è cinema certamente classico, basandosi su solide sceneggiature ben scritte e con una solida struttura narrativa. Ma con una voce autoriale ormai affermatasi nel tempo e dove il contenuto etico viene sempre rafforzato dall’estetica della forma –  e citiamo solo come esempio, tra i suoi ultimi film, Mistic River, Million Dollar Baby, Lettere da Iwo Jima, Changeling. E in una corposa  e vasta filmografia, Gran Torino si può a buon diritto annoverare tra i suoi capolavori.

Antonio Pettierre


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