Chi non si è mai sentito dire da un familiare anziano o da un nonno “ai miei tempi”, oppure la frase “una volta non c’era”, riferito ad una situazione di mancanza di benessere superata. Oggi, quella nostalgia per un passato, materialmente ed economicamente peggiore, è tanto reale, quanto superata…
E’ vero che una volta non tutti avevano l’auto, la televisione, il cellualre, ecc. ecc. E’ vero che c’erano pochi ricchi e molte persone che si limitavano ad una condizione di faticosa, ma degna, sopravvivenza. E’ anche vero che c’era la speranza di un futuro migliore.
Oggi, per la prima volta nella storia recente, i nipoti possono, con una certa sofferenza, esclamare: “nonno ai tuoi tempi c’era”: la speranza in un posto fisso, la prospettiva di trovare un lavoro in linea con un percorso di studi, la possibilità di mettere su famiglia, la prospettiva di una pensione. E’ vero che oggi non c’è la speranza in un futuro migliore e il benessere sociale, nonostante l’ancora abbondanza di beni materiali, si è deteriorato.
Una volta, inoltre, c’era la famiglia, che era “istituzione” e non “costrizione” da impossibilità di inserimento sociale. Oggi, la famiglia non esiste (almeno non nei numeri e nella percezione di una volta), ma esiste una sorta di “rendita” obbligata familiare, per cui i figli si mantengono in parte autonomamente e in parte tramite una nuova forma di politica sociale “il sussidio genitoriale”.
Questo quando i figli vivono fuori casa, non potendoselo permettere ricorrendo al solo mercato del lavoro. Poi ci sono i bamboccioni, che in realtà sono soggetti previdenti. Invece di assorbire risorse familiari per una scelta di autonomia, preferiscono condividere parte dei beni familiari, senza perdere reddito inutilmente. Così sopravvivono, da prigionieri e sbeffeggiati da una società che non solo è grama, ma anche impudente.
Al contrario nonni e genitori italiani, già pensionati, si sono accaparrati i loro diritti, pur sapendo di non essere stati in grado di difenderli, creando un’ipoteca sul futuro della propria prole. Non è un caso che, se da un lato i loro contributi li hanno versati, dall’altro non hanno mai vigilato e non si sono mai preoccupati di come essi venissero amministrati. Tanto è vero che è il lavoro di oggi a pagare le pensioni ai lavoratori di ieri, non i loro versamenti previdenziali.
Così un ex maestro elementare (gli insegnanti sono da sempre i peggio pagati) riceve una pensione superiore di almeno il 25% di uno stipendio di un impiegato e ben oltre il 30% di un insegnante attivo. Considerando che i precari della scuola non hanno le ferie pagate, poichè i contratti iniziano a settembre e scadono a luglio.
Dove è la solidarietà? Non esiste più, nemmeno all’interno dello stesso nucleo familiare. Oggi si parla di impossibilità di riscattare gli anni di laurea o quello del servizio militare. Eppure, in realtà, bisognerebbe riscattare la decenza di una generazione che ha costruito e creato benessere, ma non lo ha saputo mantenere e non lo ha saputo tutelare, scaricandolo consapevolmente sui propri figli.
E’ egoismo sociale e assenza di visione affettiva di lungo termine. Come si può pretendere di affermare il proprio affetto nei confronti di un giovane, quando, per la non volontà di discutere e rivedere i propri diritti, lo si condanna ad una morte sociale ed economica certa? Quando il “sussidio genitoriale” finirà per normale fine ciclo di vita dei soggetti erogatori, come vivrà chi rimane? Senza pensione e senza sufficienti risparmi.
In maniera puramente provocatoria, continuando il permanere di questa ineguaglianza sociale, presto o tardi troveremo due categorie di giovani. La prima è quella con familiari pensionati, che saranno plasticati pur di non dichiararli deceduti. La seconda è quella senza familiari pensionati, che pregherà tutte le sere perchè avvenga un’epidemia che colpisca la popolazione dai 65 anni in su.
Tragicomico a parte, la situazione realmente sconcertante, è che nemmeno la popolazione femminile è disponibile a rivedere un sistema che aiuti il futuro dei figli. E’ proprio il caso di dire che il cuore delle mamme non batte per la piena emancipazione sociale della propria prole.