Torniamo a oggi. In un'intervista a Repubblica il premier invita chi critica il Jobs Act "a rileggersi un intervento di Luciano Lama del '78, allora cambieranno idea". L'intervento a cui si riferisce Renzi è un'intervista rilasciata dall'allora segretario della CGIL ad Eugenio Scalfari; tra i vari passaggi, estremamente interessanti anche a distanza di tanto tempo, quello su cui il leader democratico vuole focalizzare l'attenzione è presumibilmente questo: "C'è un certo numero di aziende che ha un carico di dipendenti eccessivo. Non si tratta di cifre terribili, ma neppure esigue. Siamo nell'ordine di parecchie decine di migliaia di lavoratori. Ciò crea problemi umani e sociali molto gravi, anche perché in Italia lo sviluppo economico è bloccato e i lavoratori che perdono il posto hanno il fondato timore di non trovarne mai più un altro. E poi si tratta quasi sempre do grandi aziende, i cui stabilimenti sono situati in centri urbani importanti: ciò accresce il disagio sociale e politico di queste operazioni. Noi siamo tuttavia convinti che imporre alle aziende quote di manodopera eccedenti sia una politica suicida. L'economia italiana sta piegandosi sulle ginocchia anche a causa di questa politica. Perciò, sebbene nessuno quanto noi si renda conto della difficoltà del problema, riteniamo che le aziende, quando sia accertato il loro stato di crisi, abbiano il diritto di licenziare". Evidentemente Matteo Renzi trova condivisibili le tesi espresse all'epoca da Lama. E' una sua opinione. Ma è in conflitto con quanto affermato a settembre: a chi serve dunque la cancellazione dell'articolo 18? All'Italia per risolvere i problemi di un mercato occupazionale asfittico o alle imprese per avere maggiori possibilità di licenziare? Inoltre il segretario Pd dimentica (o finge di dimenticare) che quelle parole hanno quasi quarant'anni e andrebbero contestualizzate all'Italia dell'epoca, quell'Italia del gettone telefonico da lui sprezzantemente derisa dal palco della Leopolda. Ma che quando gli fa comodo torna moderna ed esemplare. Il nostro Presidente del Consiglio è palesemente confuso: la speranza è che trovi al più presto il modo di curare questa sua schizofrenia di convinzioni. Ne trarranno beneficio sia lui che gli italiani.
Torniamo a oggi. In un'intervista a Repubblica il premier invita chi critica il Jobs Act "a rileggersi un intervento di Luciano Lama del '78, allora cambieranno idea". L'intervento a cui si riferisce Renzi è un'intervista rilasciata dall'allora segretario della CGIL ad Eugenio Scalfari; tra i vari passaggi, estremamente interessanti anche a distanza di tanto tempo, quello su cui il leader democratico vuole focalizzare l'attenzione è presumibilmente questo: "C'è un certo numero di aziende che ha un carico di dipendenti eccessivo. Non si tratta di cifre terribili, ma neppure esigue. Siamo nell'ordine di parecchie decine di migliaia di lavoratori. Ciò crea problemi umani e sociali molto gravi, anche perché in Italia lo sviluppo economico è bloccato e i lavoratori che perdono il posto hanno il fondato timore di non trovarne mai più un altro. E poi si tratta quasi sempre do grandi aziende, i cui stabilimenti sono situati in centri urbani importanti: ciò accresce il disagio sociale e politico di queste operazioni. Noi siamo tuttavia convinti che imporre alle aziende quote di manodopera eccedenti sia una politica suicida. L'economia italiana sta piegandosi sulle ginocchia anche a causa di questa politica. Perciò, sebbene nessuno quanto noi si renda conto della difficoltà del problema, riteniamo che le aziende, quando sia accertato il loro stato di crisi, abbiano il diritto di licenziare". Evidentemente Matteo Renzi trova condivisibili le tesi espresse all'epoca da Lama. E' una sua opinione. Ma è in conflitto con quanto affermato a settembre: a chi serve dunque la cancellazione dell'articolo 18? All'Italia per risolvere i problemi di un mercato occupazionale asfittico o alle imprese per avere maggiori possibilità di licenziare? Inoltre il segretario Pd dimentica (o finge di dimenticare) che quelle parole hanno quasi quarant'anni e andrebbero contestualizzate all'Italia dell'epoca, quell'Italia del gettone telefonico da lui sprezzantemente derisa dal palco della Leopolda. Ma che quando gli fa comodo torna moderna ed esemplare. Il nostro Presidente del Consiglio è palesemente confuso: la speranza è che trovi al più presto il modo di curare questa sua schizofrenia di convinzioni. Ne trarranno beneficio sia lui che gli italiani.
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