Giocava con i ragazzini del condominio, immaginandosi epiche battaglie da combattere con spade di cartone ritagliate da scatole vecchie. Le frecce erano fabbricate con stecche di ombrelli vecchi e rotti, lanciati da archi fatti da una bacchetta sottile di giunco, che cresceva copioso nel greto del fiume, parco naturale di tutti i bambini di quel tempo. Nel piano terra del suo condominio, dal lato strada, v'era una fila di negozietti pittoreschi. Un "frutta e verdura" un tabacchino con i valori bollati, un'osteria covo di vecchietti beoni e un piccolo negozio di alimentari della zia materna. Lui, come tutti i bambini di quel tempo, faceva un lavoretto per conto del marito della zia. Lo zio aveva l'appalto dell'illuminazione dei cimiteri del comune, e ogni mese c'era da riscuotere la quota del consumo che consisteva in pochi spiccioli.
Con la sua biciclettina rossa e nella sacca tutte le cartelle di "riscossione", passava tutte le famiglie che dovevano questa tassa. Alla fine della giornata, rientrava con la sacca piena di monetine, dopo averle messe tutti in mucchietti le contava con la mamma e le accartocciava in carta di giornale. La mattina le portava al tabacchino sotto casa per farsi dare il pezzo di cartamoneta da dare allo zio insieme alle cartelle comprovante l'avvenuto pagamento. Un bel giorno il negoziante di frutta e verdura si accorse che alcuni ragazzini riuscivano a rubargli alcune banane e qualche mela e iniziò a gridare "al ladro al ladro"! Nel condominio, oltre al padre del bambino c'era un'altra persona in divisa, un graduato della polizia che si improvvisò "Ispettore Callaghan" e radunò tutti i ragazzini del condominio per interrogarli. Il più piccolo fece il nome di suo fratello maggiore omonimo del "bambino di undici anni". Quando la tabaccaia sentì fare il nome del bambino, si ricordò che andava spesso a portarle le monetine per farsi dare il pezzo in cartamoneta e sospettò che quelle monete le avesse rubate proprio a lei. Fù così che, per un sospetto stupido, il ragazzino si trovò indagato e incolpato di ladrocinio di monetine e di frutta. Partì la denuncia ancor prima che la mamma potesse dire da dove prendeva le monetine. Il padre, vergognandosi come un infame, lo esortava a confessare. Il ragazzino si rifiutò sempre di confessare una cosa che non aveva fatto. Quando lo portarono in tribunale nella città capoluogo della sua regione, il bambino si sentì morire. Con la paura nel cuore si avvicinò a quel banco con ancora nell'orecchio l'eco della voce di suo padre che gli diceva: "Confessa ..è meglio così si chiuderà il processo e andremo a casa" Ma lui, onesto fino in fondo anche da piccolino, disse "No signor Giudice non sono stato io". Non venne mai creduto dal padre, ma fu consolato dalla madre che sapeva bene come leggere la verità negli occhi del figlio. Fu condannato e la sua fedina penale si sporcò per una stupida donna sospettosa, che per pochi spiccioli marchiò un bambino. Lui crebbe e questo episodio non fece altro che rafforzargli la sua onestà, la sua voglia di verità che sostenne fino in fondo costi quel che costi. Divenuto adulto si fece cancellare quel marchio sulla fedina e finalmente dopo vent'anni giustizia fu fatta.