Nebbia e inquinamento a Suzhou, gennaio 2013 (fonte: CRI).
E’ più importante la Luna o l’aria che si respira sulla Terra? La domanda non è casuale e la risposta dipende dalle priorità politiche delle nazioni. Prendiamo il caso – sorprendente – della Cina. Quest’anno si presenta sulla scena internazionale come protagonista di una nuova “corsa spaziale” verso la Luna, un progetto per cui Pechino sta spendendo enormi risorse finanziarie; eppure la Cina – così interessata allo spazio interstellare – non riesce a migliorare l’aria che si respira nella stessa Pechino e nel resto del Paese. I tassi di inquinamento infatti all’inizio del 2013 hanno raggiunto soglie di estrema pericolosità e per quanto il governo cinese continui a ribadire la propria attenzione alle questioni ambientali e alla salute dei cittadini, in questi campi ottiene risultati assai inferiori a quelli della corsa allo Spazio. Vediamo un po’ i dettagli della situazione.
Nel 2013 la Repubblica Popolare cinese farà scendere sulla Luna il robot-lander Chang’e 3 per indagare la composizione del terreno del nostro satellite; verso la fine dell’anno spedirà in orbita intorno alla Terra la stazione spaziale Tiangong-2, per arrivare fra un decennio a raggiungere la Luna con i propri “taikonauti”, come vengono chiamati gli astronauti cinesi. Progetti affascinanti, certo, per gli amanti della scienza e della fantascienza; ma cosa succede intanto in terra cinese? Succede che il 13 gennaio di quest’anno è scattato l’allarme per la nebbia che avviluppa diverse aree del Paese portando ai massimi livelli l’inquinamento da polveri sottili (le Pm 2.5). La norma di legge prevede un massimo di 50 microgrammi di Pm per metro cubo, e sopra i 300 microgrammi scatta il vero e proprio “allarme salute”. Ebbene, secondo l’agenzia di informazione governativa Nuova Cina a Pechino l’indice delle polveri è salito fino a 456 microgrammi per metro cubo e alcune centraline hanno registrato valori addirittura di 900 microgrammi. Un livello spaventosamente alto.
Come hanno reagito a questa emergenza le autorità cinesi? Invitando la popolazione a ridurre al minimo le attività all’aperto e cercando di bloccare il traffico automobilistico nelle città in favore dei mezzi pubblici. Certo viene da chiedersi: come si può “ridurre le attività all’aperto” se – per fare un esempio – ogni giorno decine di migliaia di bambini pechinesi devono recarsi a scuola? Ma in questa situazione va sottolineato almeno un fatto positivo, rilevato anche da osservatori occidentali come il New York Times: il governo cinese non ha nascosto la testa sotto la sabbia e ha permesso ai media di trattare ampiamente il tema dell’emergenza ambientale; questa trasparenza nell’informazione significa che le autorità intendono affrontare sul serio il problema dell’inquinamento. Nel frattempo, la notizia sull’innalzamento delle polveri sottili ha avuto come primo effetto quello di produrre un boom di vendite di mascherine antipolveri, mentre su internet impazzano le pubblicità di nuovi modelli di mascherine “più sicure”.
Il problema non è nuovo. Già nel 2005 il Rapporto sullo stato dell’ambiente in Cina evidenziava che la concentrazione di anidride solforosa – un gas fortemente irritante per gli occhi e per l’apparato respiratorio – superava la soglia di sicurezza nel 22% delle città cinesi e causava piogge acide nel 38% delle città. La situazione da allora, nonostante gli sforzi delle autorità, non è migliorata: il travolgente boom economico cinese (che però quest’anno sta rallentando) ha causato una fame di energia che in Cina è soddisfatta anche dall’uso del carbone, materiale molto inquinante di cui la Repubblica Popolare per ora non riesce a fare a meno proprio a causa dell’altissimo fabbisogno energetico. La concentrazione di anidride solforosa nell’aria è causata appunto dalla combustione del carbone.
Il governo cinese non si nasconde di fronte a queste problematiche e sta sforzandosi di impostare un modello di sviluppo economico che riduca il fabbisogno di carbone. La strada però è lunga, e la questione ambientale non si riduce all’inquinamento cittadino: c’è anche il problema della desertificazione, soprattutto nelle regioni occidentali del Paese. Circa il 30% del territorio cinese infatti è attualmente desertificato, e il Deserto di Gobi si espande di 2.000 kilometri quadrati ogni anno. La Cina paga oggi vecchi errori del proprio modello di sviluppo, quando disboscava selvaggiamente ampie regioni per usare il legname come combustibile. Con la conseguenza che il terreno di queste regioni, non più nutrito e “trattenuto” dalle radici degli alberi, non solo si è desertificato ma è diventato “volatile”, cioè preda dei venti che causano forti e improvvise tempeste di sabbia. Ne ho fatto esperienza anch’io, anni fa, durante un volo interno in Cina, quando l’aereo su cui mi trovavo è stato investito da una tempesta di sabbia: il volo si è trasformato in un incubo e molti passeggeri, una volta atterrati, hanno ringraziato il cielo per essere ancora vivi. Per arginare il problema il governo cinese sta realizzando una “muraglia verde” di foreste, lunga 4.500 kilometri, finalizzata a circondare le zone desertiche e invertire il processo di desertificazione.
La speranza è che la prossima generazione di cinesi sia più preparata ad affrontare queste emergenze. La Repubblica Popolare infatti sta investendo moltissimo nella formazione culturale dei propri cittadini in tutti i campi, compreso quello delle scienze ambientali. Nell’ultimo decennio sono raddoppiate le università – che oggi sono 2.500 – ed è quadruplicato il numero dei laureati, che ha raggiunto quota 8 milioni all’anno. Con ogni probabilità sarà questa nuova generazione a forgiare il nuovo volto della Cina e a considerare le compatibilità ambientali come un elemento indispensabile di ogni modello di sviluppo.
(Quella che avete letto qui sopra è la mia rubrica MilleOrienti pubblicata sul periodico cartaceo e online Eco News, patrocinato dal Ministero dell’Ambiente)