Il coroner riscontrò dosi letali di Propofol nell'organismo della popstar. Murray, che inizialmente non fu indagato, riferì allora agli inquirenti di aver sottoposto Jackson a questo trattamento per sei settimane, iniettandogli per endovena 50 grammi quotidiani del farmaco. Per evitare che Michael si assuefacesse alla sostanza, Murray aveva quindi abbassato la dose a 25 grammi, compensando la riduzione con l'aggiunta di altri due sedativi.
Il 28 settembre c'era anche Michael, in voce dalle registrazioni dell'iPhone del suo dottore. La voce impastata dalle droghe, come ha detto in aula il procuratore David Walgren prima di mostrare l'immagine mai vista del cadavere di Michael nel letto dell'ospedale.
Per l'accusa Murray è colpevole di averlo lasciato solo, di aver dato l'allarme in ritardo per restare al telefono con la cameriera, conosciuta da poco, con la quale amoreggiava. Per la difesa in realtà Murray stava cercando di far disintossicare Michael. Era stato il medico Arnold Klein a introdurlo a quel Propofol con cui tentava di curare l'insonnia e che s’era subito trasformato in una dipendenza. Dice sempre la difesa che Jacko quella stessa notte tra il 24 e il 25 giugno aveva preso otto bottiglie di un'altra medicina, il Lorazepam "che sarebbero bastate a stendere sei adulti". E dice anche che fu sempre Michael a iniettarsi quella dose fatale di anestetico approfittando dell'assenza del medico che era in bagno.