Titolo: Considera l’aragosta
Titolo originale: Consider the Lobster
Autore: David Foster Wallace
Traduttore: Adelaide Cioni e Matteo Colombo
Editore: Einaudi Stile libero big
Prezzo: € 17 euro
Data di uscita: 27 giugno 2006
Genere: Nonfiction
Pagine: 382 pp.
Avevo circa vent’ anni, quando uno dei miei professori (che chiameremo D. T., di Boston) un giorno disse alla mia compagna di classe del Midwest (Minnesota, per la precisione) che suddetta regione era così denominata perché: «It’s in the middle of nothing». Da lì nacque una mia combattuta inesplicabile fascinazione-repulsione per quella zona degli Stati Uniti. Possibile che il Midwest fosse così uncool se: a) ci erano ambientati un sacco di romanzi fighissimi e b) era la città natale della mia brillante amica Karen? Ma perché, allora, D. T., bostoniano colto e molto cool, aveva condannato quella porzione di territorio americano cara a scrittori come Willa Cather e Sherwood Anderson?
Più tardi, quando scoprii David Foster Wallace*, scrittore dell’Illinois – stato del Midwest – provinciale fino al midollo, le cose mi furono più chiare e compresi che il Midwest non era affatto il nulla, anzi: per capire l’America veramente bisogna conoscerla soprattutto partendo dalla provincia, altro che grandi città. Altro che New England!
E’ dalla squallida, vasta provincia americana piena di enormi centri commerciali, cartelloni pubblicitari, statue di boscaioli (che scenario per noi snob europei abituati a Cattedrali, Duomi e Colossei!) e televisioni zeppe di imbonitori che arriva proprio uno dei miei scrittori preferiti: DFW, per l’appunto. Vi starete chiedendo (almeno quelli di voi che non sono ancora migrati su Zalando.it per quel nuovo paio di sneaker in saldo) quanto e cosa d*****o c’entri tutto questo con Considera l’aragosta.
Il fatto è che Considera l’aragosta è un libro impossibile da rinchiudere in una categoria. Potrei semplicemente dirvi che si tratta di una raccolta di recensioni, brevi saggi e di
L’autore ci guida attraverso gli Stati Uniti, partendo dall’Oscar del cinema porno fino alla campagna elettorale di John McCain (che nel 2000 si candidò alle primarie del Partito Repubblicano vs. Bush) con il reportage Forza, Simba, per approdare persino al Festival annuale dell’aragosta del Maine in Considera l’aragosta, in cui ci offre un quadretto del turista medio che vi consiglio di leggere.
La cosa che continua a stupirmi e affascinarmi di DFW è la sua grande capacità di osservatore. L’autore la accompagnava a una precisa documentazione (da Wallace si impara che la scrittura è sempre una cosa seria, non importa di cosa scriviamo ma come ci avviciniamo alle cose, con quale grado di rispetto), riuscendo a rendere piacevole persino una cosa noiosa come sette giorni in camper con lo staff McCain e tramutandola in una possibilità di capire realmente cosa sia un vero leader.
Una delle recensioni più interessanti contenute nel libro è La fine di qualcosa senz’altro, verrebbe da pensare (su verso la fine del tempo di John Updike), in cui il nostro defininisce Mailer, Updike e Roth i “Grandi narcisisti” (Great Male Narcissists) colmi del loro ego e pure fallocratici, nel caso di Philip Roth.
Splendida anche la recensione Il Dostoevskij di Joseph Frank in cui Wallace esamina un testo critico monumentale sull’autore russo. In La vista dalla casa della sg.ra Thompson ci racconta, invece, l’11 settembre dalla prospettiva dei suoi concittatidini e vicini di casa a Bloomington, in Illinois, città natale di Wallace – dove si trovava al momento dell’Orrore nel 2001.
In Come Tracy Austen mi ha spezzato il cuore riesce a tenere inchiodata alla pagina anche una come me, che di tennis non ci capisce nulla (pur essendone affascinata come accade solo davanti alle cose inesplicabili).
In Alcune considerazioni sulla comicità di Kafka che forse dovevano essere tagliate ulteriormente, DFW esamina & cita Kafka per cui la letteratura è: «una scure con cui cerchiamo di scalfire gli oceani di ghiaccio dentro di noi», che è proprio quello che Wallace riesce a fare sempre, con qualsiasi genere si cimenti.
*L’autrice dichiara che lo stile del pezzo è a) volutamente di ispirazione Wallaciana & va inteso come un omaggio al genio dello scrittore, nel tentativo (un puro esercizio formale nell’infinito universo linguistico) di misurarsi con forme inesplorate di metascrittura, b) potrebbe essere l’effetto di un’estate passata a leggere il Grande Scrittore Americano, definito anche “l’uomo che ha ucciso il minimalismo”.