La vicenda di Marius, giovane giraffa di 18 mesi abbattuta nello zoo di Copenhagen un paio di settimane fa, ha fatto il giro del mondo. Ha suscitato parole indignate fra gli animalisti – e non solo – e prese di posizione razionaliste, forse Malthusiane, tra i fautori delle politiche dello zoo.
Io, a Marius, sono giorni che ci penso. E mi rendo conto che il mio modo di pensarci è pieno di ipocrisie e contraddizioni, come d’altra parte lo è, da migliaia di anni, la storia del rapporto dell’uomo con gli animali, fatti oggetto di un’umanizzazione eccessiva (penso ai barboncini in cappotto o ai gatti che con noi contendono lo spazio vitale: un cuscino morbido del divano) o di un’eccessiva barbarie (penso agli allevamenti lager dove ogni giorno si perpetrano centinaia di migliaia di soprusi, di angherie, di uccisioni). Mi rendo conto che forse sarebbe meglio non scriverne, perché ne hanno già parlato in molti e con una preparazione migliore della mia, che in fondo di preparazione non ne ho alcuna. Eppure alla fine ne scrivo. Perché sento che per me è importante anche solo lasciare affiorare molti dubbi, punti interrogativi che forse non otterranno risposta.
Marius, per quanto mi riguarda, è lì, nella terra di confine tra gli animali “umanizzati” e gli animali maltrattati. L’uomo ha deciso per lui quel che doveva essere, un animale nato e vissuto in cattività, vezzeggiato al punto da dargli un nome, accudirlo per quasi due anni, salvo poi ucciderlo con un colpo di pistola alla testa e offrirne le carni in pasto ai leoni della struttura. Pare, infatti, che Marius fosse un fuorilegge, almeno secondo l’Eaza, la European Association of Zoos and Aquaria, che impone regole ferree alle strutture che aderiscono al suo programma. Tra cui anche quella di non accettare animali che, benché sani, siano frutto di rapporti endogamici.
Tutto questo nonostante che allo zoo e al suo direttore, Bengt Holst, fossero state presentate soluzioni alternative: restituire Marius al suo habitat naturale – troppo crudele: un animale nato in cattività nella savana non sopravvivrebbe; ucciderlo con un’iniezione anziché con un colpo alla testa – troppo spreco: la carne di un animale ucciso con un’iniezione sarebbe contaminata e inservibile; cederlo a una delle altre strutture che si erano offerte di ospitarlo – qui non capisco che motivazioni siano state addotte a giustificare il rifiuto.
Va bene, poniamo pure che non fossero offerte altre strade all’infuori di quella percorsa allo zoo e a chi lo gestisce. Ma che cosa li ha spinti, esattamente, a fare tutto davanti a un pubblico nutrito, misto di adulti e bambini, invitati per l’occasione? È strano parlarne proprio qui, sulle “pagine” di un blog che sostiene che ci siamo allontanati innaturalmente dalla morte – che è un accadimento naturale – e da tutto quel che ne consegue. Eppure no, la vita come la morte di Marius hanno ben poco di naturale. Una cosa è una giraffa che muore nella savana, sbranata dai leoni. Può impressionare, ma non scandalizzare. Un’altra, ben diversa è decidere di giustiziarla in pubblico, tagliarla in grossi pezzi e servirla a leoni tenuti come lei in cattività.
E una cosa è spiegare la morte a un bambino, in modo chiaro, inequivocabile, ma delicato. E un’altra, ben diversa, è chiamarlo ad assistere alla morte. Come se farlo fosse normale. Giusto. O peggio, educativo. A cosa crediamo di educarli, i bambini, facendoli assistere all’esecuzione di una giraffa? O effettuando una dissezione anatomica di un lupo davanti ai loro occhi (anche questo è avvenuto in Danimarca presso il Museo di storia naturale di Aarhus)? Al fatto che la morte è triste e crudele? Al fatto che ci lasci disarmati? Sono persuasa che la strada non sia questa. Non penso di avere soluzioni, in merito, ma sento che questa non è la via giusta, posto che sia questo l’intento di direttori di zoo e musei, e di insegnanti e genitori consenzienti.
Siamo in un’epoca in cui il rapporto con la morte degli animali è occulto. In cui ci troviamo nel piatto una bistecca senza sapere le sofferenze per cui è passata. In cui la maggior parte di noi non vive in campagna e non è abituata a veder uccidere polli e conigli. Io non credo sia giusto palesarlo così, brutalmente, senza alcuna delicatezza, cercando l’evento scioccante. E non credo che vedere estrarre le viscere dal corpo di un lupo sia un buon metodo di insegnamento. Si dovrebbe sensibilizzare, non traumatizzare. Si dovrebbe rispettare l’emotività di un bambino, credo, non calpestarla imponendogli uno spettacolo macabro. Gli si dovrebbe spiegare che centinaia di volte nella vita entriamo in contatto con la morte – tutte le volte che mangiamo un pezzo di carne –, ma non farlo assistere allo spettacolo della giraffa data in pasto al leone, del lupo squartato.
Sono ipocrita? Forse. Ma a me questa storia del superuomo che decide che le giraffe di uno zoo sono in sovrannumero e non rispettano i canoni genetici del programma e che pertanto vanno uccise fa profondamente incazzare. E se esistesse un programma simile anche per l’altra specie che ha palesemente oltrepassato i suoi limiti biologici? Se fossero inaugurati canoni genetici anche per l’uomo? Una volta è stato fatto. E lo chiamammo nazismo. Siamo convinti che sia questa la strada giusta?