Considerazioni libere (182): a proposito di rifiuti napoletani e italiani...
Creato il 25 novembre 2010 da LucabilliDire che ogni territorio deve pensare ai propri rifiuti non basta, prima di tutto perché a Napoli e in Campania, per troppi anni, sono arrivati e sono stati scaricati, spesso illegalmente, i rifiuti del nord Italia. Inoltre i rifiuti napoletani sono rifiuti italiani, perché in Europa e negli Stati Uniti non fanno troppe distinzioni e l'immagine di Napoli sepolta dai rifiuti è tout court l'immagine dell'Italia sepolta dai rifiuti. Ma soprattutto non basta, perché se passa questa linea, ogni territorio si concentrerà unicamente sul tema dello smaltimento - facendolo ovviamente più o meno bene - senza affrontare quello che, secondo me, è il vero problema da affrontare: la riduzione complessiva dei rifiuti.
Non voglio dire che una cosa esclude l'altra, anzi. Bisogna continuare a incrementare la raccolta differenziata e il compostaggio, occorre superare il sistema delle discariche e lavorare sulle tecnologie più sicure per la realizzazione dei termovalorizzatori. Nelle regioni del sud bisogna combattere le mafie che hanno fatto della gestione dei rifiuti uno dei loro grandi affari. Tutto questo però, per quanto sia necessario, non è più sufficiente.
Di emergenza in emergenza, anche nei territori più virtuosi, abbiamo tralasciato di lavorare sulla soluzione più radicale, ma anche l'unica davvero risolutiva: cominciare a ridurre progressivamente i rifiuti. Ed evidentemente per questo non sono sufficienti politiche locali, ma occorre una legislazione almeno nazionale, se non europea. Il fatto che sia difficile e complicato non ci esonera dal cominciare.
Per fare un solo esempio: la Camera di commercio di Milano calcola che ogni milanese ha prodotto ogni giorno del 2009 1,51 kg di rifiuti urbani, erano 1,28 kg nel 2000. Anche se non vi prendete la briga di pesarli, pensate quanti sacchetti di spazzatura produce ciascuno di voi in un giorno, in una settimana, in un mese. Naturalmente ciascuno di noi può cercare di essere più virtuoso, meno "sprecone", ma ci sono cose che è inevitabile buttare: la vaschetta in cui abbiamo acquistato la bistecca al supermercato, la pellicola di plastica che avvolge il giornale che compriamo, il flacone in cui c'era il detersivo e così via.
Il mercato ha cominciato a studiare qualche soluzione: si cercano di ridurre gli imballi, si cominciano a vendere sfusi i detersivi, ma siamo ancora nei consumi di nicchia. Occorre che la politica intervenga, obbligando a ridurre la quantità di rifiuti che ciascuno di noi ogni giorno produce o contribuisce a produrre.
Serve evidentemente un cambio di passo deciso, una radicalità che la politica sembra ormai aver perduto o che teme di trovare, la consapevolezza che ciascuno di noi non vale soltanto in quanto consumatore. Intendiamoci, ha fatto bene Bersani ad arrabbiarsi quando ha saputo che il governo avrebbe voluto affidare alla province campane i poteri di emergenza per la realizzazione dei termovalorizzatori: davvero sarebbe stato come nominare Dracula presidente dell'Avis. Ma questo non basta, c'è riuscita la Carfagna minacciando le dimissioni, ma dal centrosinistra bisogna pretendere di più. La riduzione dei rifiuti è uno dei modi - certo non il solo, ma molto significativo - attraverso cui passa il cambiamento di un modello di sviluppo che ci ha portato inevitabilmente alla situazione di Napoli.
L'emergenza campana non è una patologia locale, o meglio non è soltanto una patologia locale, ma è il primo sintomo di un problema più generale. Se il modello economico prevede la realizzazione di sempre più prodotti, sempre più nuovi, continueranno a crescere le cose che sono destinate a essere buttate. Se avete un minuto andate a leggere - o a rileggere - la "considerazione" nr. 111 sui vecchi computer e i vecchi telefonini che noi mandiamo a smaltire in India e in Africa. L'emergenza dei rifiuti è anche lì e quei paesi non sono più lontani di Napoli.
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