Ho letto in questi giorni due articoli interessanti, uno dedicato al costo degli affitti a Bologna e l'altro sulle condizioni di salute degli adolescenti nell'Etiopia meridionale. Nulla di più differente, penserete voi; e invece non è difficile trovare qualcosa che li lega. Vediamolo insieme.
Il Corriere di Bologna, mentre anche nella nostra città si teme una qualche forma di "affittopoli" - perdonate l'orrenda parola - ossia appartamenti di enti pubblici affittati a prezzi di favore ai soliti noti o ai loro parenti, ha provato a capire che opportunità ha chi vuole vivere in affitto, senza essere parente di nessuno. Il quotidiano ha fatto tre casi: un giovane tra i 25 e i 29 anni che lavora e vuole andare a vivere da solo, una coppia tra i 30 e i 34 anni, entrambi lavoratori, che decide di metter su casa insieme, la stessa coppia, dopo un paio d'anni, che decide di avere un figlio. L'indagine è rigorosa e ben fatta, il dato che emerge immediatamente è chiarissimo: per il giovane solo e per la famiglia con un bambino la situazione è dura e in entrambi i casi l'affitto incide oltre il 30% sul reddito familiare, la soglia che la Banca d'Italia ha individuato come quella del cosiddetto "disagio abitativo". Sono dati che dovrebbero far riflettere sia i politici nazionali che gli amministratori locali. C'è però un altro dato che emerge dall'inchiesta. Per calcolare i redditi dei vari casi ipotizzati sono stati utilizzati i dati dell'ufficio statistica del Comune di Bologna: un ragazzo tra i 25 e i 29 anni guadagna in media 13.608 euro all’anno, una ragazza della stessa età 11.655 euro, l'uomo tra i 30 e i 34 anni ha un reddito di 18.969 euro e la donna di 15.896 euro, dopo un paio d'anni la differenza sale a 9.364, naturalmente a vantaggio dell'uomo. Mi rendo conto che questa può sembrare un'ovvietà, la classica scoperta dell'acqua calda, eppure pensate che programma rivoluzionario sarebbe per la sinistra lavorare per raggiungere la parità di reddito tra uomini e donne.
La seconda notizia l'ho trovata in un articolo uscito su Le Monde, tradotto da Internazionale. Per cinque anni un'equipe dell'università etiope di Jimma ha studiato le abitudini alimentari e le conseguenti condizioni di salute di oltre duemila adolescenti tra i 13 e i 17 anni nell'Etiopia meridionale. Fino a quando non ci sono particolari problemi di accesso al cibo - che comunque in quella regione dell'Africa è ben lontano dagli standard occidentali - le condizioni di salute di ragazze e ragazzi tendono a essere uguali, come è naturale. Quando però per una carestia o per altri fattori si riduce la disponibilità dei generi alimentari a soffrirne di più sono le ragazze. Il 25% delle ragazze ha attraversato periodi di insicurezza alimentare, contro il 16% dei coetanei maschi, con ovvie conseguenze sulla salute: le ragazze denutrite hanno avuto il triplo delle malattie rispetto ai ragazzi che vivevano sotto lo stesso tetto. I bambini e gli adolescenti sono nutriti per primi e con cibo migliori rispetto alle femmine. Purtroppo molte famiglie delle campagne dell'Etiopia - e non solo lì - credono ancora che il maschio sia una "risorsa" più preziosa, che sarà più produttivo e sarà in grado di aiutare maggiormente la famiglia. Non è così. Già ora le donne costituiscono il 45% della manodopera impiegata in agricoltura e sono le figlie femmine che rimangono più a lungo ad aiutare le loro famiglie; le donne in genere non si ubriacano, non spendono soldi nelle prostituzione e sono più capaci di risparmiare. Sono loro la vera risorsa per i paesi in via di sviluppo, come spiegano i maggiori economisti.
I miei attenti lettori - e le mie attente lettrici - avranno già capito il legame tra i due articoli e la morale di questa breve "considerazione".
p.s. a proposito, anche se con un po' di ritardo, buon 8 marzo...