Considerazioni libere (252): a proposito di una guerra che sembra non finire...

Creato il 13 ottobre 2011 da Lucabilli
Abbiamo da poco passato il 7 ottobre, un altro decennale, meno ricordato - per ovvie ragioni - di quello dell'11 settembre, a cui pure è strettamente collegato. Il 7 ottobre 2001 gli Stati Uniti e il Regno Unito attaccarono l'Afghanistan con lo scopo di combattere l'organizzazione terroristica al Qaida, che, proprio grazie al sostegno dei talebani al potere a Kabul, aveva fatto del paese asiatico il suo rifugio e la sua base operativa. In questi dieci anni sono successe molte cose: il regime dei talebani, rapidamente sconfitto, è stato sostituito da un governo "amico" delle forze occidentali, le Nazioni Unite hanno dato copertura giuridica all'operazione bellica, dando mandato alla Nato di gestirla, molti altri paesi hanno partecipato al conflitto - compresa l'Italia - nel paese ci sono state due elezioni presidenziali dalla dubbie credenziali democratiche, Osama bin Laden è stato ucciso. Anche il mondo intanto è cambiato: gli Stati Uniti hanno dichiarato guerra all'Iraq di Saddam Hussein, è stato eletto un nuovo presidente degli Stati Uniti, è cominciata una crisi economica mondiale i cui esiti non sono prevedibili, ma che gran parte degli analisti considerano più grave di quella del 1929, nell'Africa settentrionale e nel Medio Oriente è cominciato a soffiare un vento di rivolta che ha già portato al cambiamento di regime in almeno quattro stati - Tunisia, Egitto, Libia e Yemen - e che ancora è in corso.
La guerra in Afghanistan non è ancora finita e nessuno onestamente sa se e quando finirà. Questo conflitto ha segnato in profondità questi dieci anni, l'inizio del secolo, è qualcosa sui cui in tanti ci siamo interrogati e su cui ci siamo divisi. Per pura curiosità ho guardato quante "considerazioni" ho dedicato alla guerra in questi due anni di blog: sono diverse, tra cui la prima, del 18 settembre 2009.
Dieci anni sono un tempo sufficientemente lungo per fare un bilancio. Secondo le stime ufficiali, incrociando e confrontando i dati delle Nazioni Unite, della Nato, della Croce Rossa e di Human Rights Watch, sono morte almeno 67mila persone: 15mila civili afgani - ma in questo caso il calcolo è molto difficile e probabilmente stimato in difetto, secondo altre organizzazioni indipendenti il numero di morti civili è il doppio - 38mila guerriglieri talebani, 10mila militari afgani, 2.600 soldati Nato e 1.800 contractors. L'agenzia Onu per i rifugiati ha calcolato che i combattimenti hanno provocato solo negli ultimi cinque anni 730mila sfollati, pari a una media di 400 al giorno. Attualmente sono ancora sfollate oltre 350mila persone.
Dal 2001 a oggi le condizioni di vita della popolazione afgana sono peggiorate: la povertà assoluta è salita dal 23 al 36% della popolazione, l'aspettativa di vita è scesa da 46 a 44 anni, la mortalità infantile è aumentata dal 147 al 149‰, il tasso di alfabetizzazione è sceso dal 31 al 28%. Naturalmente nessuno rimpiange il regime dei talebani - in particolare per i modi in cui erano considerate e trattate le donne - ma queste cifre devono farci riflettere. In questi dieci anni la comunità internazionale ha investito in Afghanistan 40 miliardi di dollari di aiuti, ma evidentemente solo una parte infinitesimale è arrivata davvero alla popolazione. Grandissima parte di questi soldi sono finiti a finanziare i governanti di Kabul, il secondo - dopo la Somalia - governo più corretto del mondo, secondo gli indici internazionali, oppure è tornata indietro sotto forma di profitti alle aziende occidentali di sicurezza e consulenza.
L'economia afgana si regge quasi esclusivamente sulla coltivazione dell'oppio e sul traffico di droga. Quando il regime talebano bandì nel 2000 la produzione di oppio erano coltivati a papavero 82mila ettari del paese. Nel 2007 erano saliti a 193mila; oggi sono scesi a 123mila, ma il calo è dovuto esclusivamente a un problema di sovrapproduzione e quindi imposto dalle regole di mercato. Oggi l'Afghanistan esporta direttamente 400 tonnellate l'anno di eroina.
Già questi numeri fanno capire che il bilancio della missione è negativo; certo a Kabul non ci sono più i talebani - e questo è un fatto assolutamente positivo - ma non è stato raggiunto nessuno degli altri obiettivi per cui la comunità internazionale ha giustificato l'intervento militare: il terrorismo non è stato sconfitto - nonostante la morte di bin Laden - ma ha soltanto spostato le proprie basi, specialmente in Pakistan; nel paese non c'è una vera democrazia e si peccherebbe di ottimismo dicendo che è iniziato il processo che porterà a questo tipo di governo; il narcotraffico non è stato sconfitto, ma anzi si è rafforzato. Se la missione Isaf si fosse limitata al suo obiettivo iniziale, ovvero alla stabilizzazione dell'area di Kabul e al supporto per la creazione di un governo transitorio, oggi forse saremmo di fronte a un altro scenario. La Nato ha disperso le sue scarse forze su tutto il territorio afgano ed è diventata un bersaglio senza riuscire a raggiungere nessuno degli obiettivi ambiziosi che si era datai. Gli stessi militari vivono il paradosso di essere andati lì per difendere gli afgani e di ritrovarsi oggi a difendersi dagli afgani. L'impressione è che in questi dieci anni non sia stato affrontato nessuno dei problemi sociali e culturali la cui soluzione avrebbe potuto garantire un futuro davvero diverso all'Afghanistan: non ci sono stati interventi significativi in campo economico, in campo legislativo e soprattutto per quel che riguarda l'istruzione. Qui abbiamo perso la guerra in Afghanistan.

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