Nei giorni scorsi la notizia che il primo ministro greco aveva intenzione di sottoporre ai cittadini del suo paese, attraverso un referendum, la decisione di accettare o meno le misure imposte dalle autorità finanziarie internazionali ha scatenato una crisi dei mercati, un'ondata di panico in tutta Europa, tanto da costringere lo stesso Papandreou a ritirare questa proposta e alla fine a presentare le dimissioni. In pratica le autorità europee hanno impedito ai greci di esprimere la propria opinione su una questione rilevante riguardante il loro futuro. Lo stesso presidente Sarkozy, che pure è stato uno dei più decisi a premere affinché il governo greco non consultasse il proprio elettorato, ha ammesso che un qualche problema esiste: "Oggi siamo costretti a prendere delle decisioni per conto di paesi che non ci hanno eletto. Tutti possono capire che questo pone dei problemi di democrazia". In Italia sta avvenendo qualcosa di analogo. Ad agosto il governo ha sostanzialmente accettato le proposte contenute nella lettera scritta da Trichet e da Draghi, rinunciando de facto a parte della propria indipendenza in favore di un organo, la Bce, che non ha alcuna legittimazione democratica; al vertice G20 di Cannes Berlusconi ha accettato che il bilancio italiano sia sottoposto al controllo di un'autorità esterna, il Fondo monetario internazionale, un organo che naturalmente nessun italiano ha mai eletto.
Al di là di queste ultime vicende - che pure ci toccano da vicino e con cui noi italiani continueremo a fare i conti nei prossimi mesi, qualunque sarà l'esito della crisi politica di questi giorni - mi pare che le proteste di questi mesi, comprese quelle scoppiate nei paesi della sponda meridionale del Mediterraneo e del Medio Oriente, esprimano un'insoddisfazione profonda verso il sistema capitalistico globale, che, pur assumendo forme diverse in luoghi diversi, ha ovunque mostrato il suo carattere più rapace; come se Mackie Messer non avesse più la prudenza di nascondere il coltello. Prima in maniera confusa e poi con sempre maggiore consapevolezza il movimento ha capito che quel fenomeno che chiamiamo in maniera un po' semplicistica globalizzazione mina nel profondo la legittimità delle democrazie occidentali. E questo è tanto più grave perché ci sono interi popoli, dalla Tunisia allo Yemen, passando per l'Egitto, che stanno provando a imboccare la strada - che sarà per forza di cose lunga e tortuosa - verso questo tipo di democrazia. Il tema allora è cercare di capire come è possibile espandere la democrazia oltre le sue forme attuali - basate su un sistema di stati nazionali in cui ci sono sistemi multipartitici - che, come ha dimostrato in maniera piuttosto evidente anche il recentissimo vertice di Cannes, sono incapaci di gestire le conseguenze distruttive del capitalismo; se non sono capaci di affrontare gli effetti della crisi, figurarsi poi se sono in grado di prendere decisioni per risolverne le cause. In sostanza l'economia globale non è alla portata del sistema democratico come noi lo conosciamo e lo pratichiamo.Forse è venuto il momento di pensare a qualcosa di molto diverso. E mi sembra che il movimento abbia in sé questa consapevolezza, seppur con gli inevitabili limiti che un movimento come questo - per la sua struttura e la sua frammentazione - non può non avere. Il limite delle soluzioni proposte dalle più importanti forze politiche della sinistra europea - per non parlare di quelle di Obama e dei democratici statunitensi - è quello di stare completamente all'interno del "recinto" del pensiero liberaldemocratico. L'obiettivo finale di queste forze politiche è quello di estendere il controllo democratico sull'economia globale, con tutti i limiti che sono sempre più evidenti. Anche volendo - e non sempre i nostri governanti lo vogliono fare davvero - come possono i governi fermare gli speculatori che si muovono su un mercato internazionale, ormai fuori da ogni controllo legislativo nazionale? Ancora dopo la fine della seconda guerra mondiale nel programma del Partito Socialista francese - che riuscì a convincere della propria visione l'intero Conseil National de la Résistance - c'era la nazionalizzazione delle banche, delle compagnie assicurative e delle industrie strategiche, come quella dell'energia elettrica; il Labour party solo pochi anni fa ha tolto dal proprio statuto la clausola IV che prevedeva "la proprietà comune dei mezzi di produzione". Ora un governo socialista, anche volendolo, cosa potrebbe nazionalizzare? La finanza ha un'altra dimensione. Anche per questo, in sostanza nessuno mette più in discussione il quadro istituzionale dello stato democratico borghese.Bisogna forse ritornare a Marx:
L'emancipazione politica è certamente un grande passo in avanti, non è, bensì, la forma ultima dell'emancipazione umana in generale, ma è l'ultima forma dell'emancipazione umana entro l'ordine mondiale attuale.In sostanza il tema della libertà non può essere riferito esclusivamente alla sfera politica, ossia a principi fondamentali, come il rispetto dei diritti umani, le libere elezioni, l'indipendenza della magistratura, la libertà di stampa; questioni comunque fondamentali per gran parte delle donne e degli uomini del pianeta, che non hanno raggiunto neppure questi obiettivi, come ci insegnano le rivolte arabe. La vera libertà sta nel cambiamento radicale dei rapporti sociali di produzione:
Di fatto, il regno della libertà comincia soltanto là dove cessa il lavoro determinato dalla necessità e dalla finalità esterna; si trova quindi per sua natura oltre la sfera della produzione materiale vera e propria.[...] La libertà in questo campo può consistere soltanto in ciò, che l'uomo socializzato, cioè i produttori associati, regolano razionalmente questo loro ricambio organico con la natura, lo portano sotto il loro comune controllo, invece di essere da esso dominati come da una forza cieca; che essi eseguono il loro compito con minore possibile impiego di energia e nelle condizioni più adeguate alla loro natura umana e più degne di essa.Proviamo allora a pensare a una democrazia diversa, in cui le trasformazioni necessarie per promuovere i miglioramenti della condizione delle donne e degli uomini non passano soltanto attraverso le riforme politiche, ma coinvolgono anche gli stessi rapporti economici. Le persone che hanno occupato Zuccotti park hanno "svelato" non solo che c'è un 1% che prende le decisioni che coinvolgono direttamente anche il restante 99% - e questa sarebbe già un'ingiustizia in sé, anche se si dimostrasse che quell'1% è formato dai "migliori", secondo la definizione etimologica del termine aristocrazia - ma soprattutto che quell'1% non è mai stato eletto da nessuno. E non possiamo illuderci che aumentare quella ridicola percentuale possa risolvere il problema della democrazia.A chi critica il movimento per la sua incapacità di dare risposte positive alla crisi economica mondiale, di offrire soluzioni, a chi gli chiede - più o meno provocatoriamente - di "passare dalla protesta alla proposta", credo che si debba rispondere che già la consapevolezza del rifiuto di questo sistema, il non accettare di giocare con regole e su un campo imposto da altri, sia già un atto politico importante.