Si è fatto un gran parlare, durante la fase di approvazione della Riforma del Mercato del Lavoro, del vulnus che le nuove procedure avrebbero prodotto all'art. 18 dello Statuto dei lavoratori, nei commi relativi alla reintegra del lavoratore e ai risarcimenti previsti in caso di accertata inefficacia o invalidità del licenziamento; a ben guardare, volendo evitare gli estremismi sia di una parte che dell'altra, a mio giudizio le nuove procedure permettono di avere una più certa flessibilità in uscita, ma non permettono, come qualcuno sperava, di liberarsi più facilmente di dipendenti scomodi o negligenti.
Il legislatore, nell'introdurre tra i motivi oggettivi quello economico, ha si ampliato le ipotesi di recesso in aggiunta alle precedenti ragioni inerenti all'attività produttiva, all'organizzazione del lavoro ed al regolare funzionamento di essa, ma ha anche messo dei paletti a protezione del lavoratore, nell'ipotesi di un uso scorretto del licenziamento per giustificato motivo oggettivo.
La precedente legislatura prevedeva, ovviamente, che il datore di lavoro dovesse dar conto della sussistenza di quelle ragioni, indicate dalla legge, come giustificatrici del licenziamento, ma ciò non significava che esse dovessero essere espressamente enunciate al momento del licenziamento, in quanto il licenziamento per giustificato motivo oggettivo non rientrava e non rientra nel concetto di licenziamento disciplinare. L'unica formalità assoluta da seguire era quella della scrittura, il cui mancato rispetto provocava l'inefficacia del recesso.
Esistevano due correnti di pensiero; c'era chi metteva l'accento sulla garanzia dell'iniziativa economica (art. 41 della Costutuzione), negando in tal modo che il magistrato potesse sindacare le scelte tecnico produttive dell'imprenditore e potendo, così, controllare solo la sussistenza del nesso causale tra le medesime ed il licenziamento. L'altra corrente prendeva a riferimento il secondo comma dell.art. 41 il quale precisa che l'iniziativa economica privata, seppure libera, non può realizzarsi in contrasto con l'utilità sociale, giustificando, di conseguenza, il possibile intervento della magistratura per sindacare il merito del licenziamento.
La nuova procedura prevede che il datore di lavoro, prima di formalizzare il recesso dal contratto di lavoro, deve inviare alla Direzione territoriale del lavoro del luogo dove il lavoratore presta la sua opera, e, per conoscenza, al lavoratore , una comunicazione in forma scritta in cui siano indicati:
- l'intenzione di procedere al licenziamento per motivo oggettivo;
- gli specifici motivi alla base del licenziamento;
- le eventuali misure di assistenza alla ricollocazione del lavoratore interessato.
Il vero problema, fatti salvi quei casi per i quali le penali previste sono economicamente irrelevanti per molti datori di lavoro, rimane la constatazione che sono molte le situazioni per le quali il licenziamento può essere dichiarato illegittimo con o senza reintegra del lavoratore:
- Motivi discriminatori (validi anche per i dirigenti). Licenziamento nullo
- Mancanza di forma scritta. Licenziamento inefficace
- Aver contratto matrimonio (durante l'anno che segue la celebrazione del matrimonio). Licenziamento nullo
- Maternità/paternità (licenziamento intimato dall'inizio della gravidanza sino al compimento del primo anno di età del bambino). Licenziamento nullo
- Motivi soggettivi disciplinari: reintegra del lavoratore
- Mancanza o carenza di motivazione. Pagamento di indennità risarcitoria
- Mancato od incompleto rispetto dell'art.7 della legge 15 luglio 1966. n. 604 (tentativo di conciliazione avanti le DTL). Pagamento d'indennità risarcitoria
- Difetto di giustificazione in aggiunta alla mancanza o carenza di motivazione. Annullamento del licenziamento. Reintegra più indennità risarcitoria.