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Considerazioni sull’uso dell’intercalare Minchia nella lingua siciliana
Creato il 20 giugno 2014 da AperturaastrappoSe d’estate ovunque c’è caldo, in Sicilia non si può stare.E noi eravamo seduti sotto l’albero di fichi neri grossi quanto una bomba a mano, che tali sono pure quando cadono sfracellandosi in una pappetta rossastra e appiccicosa. E pure pruriginosa che ti mangia la carne.Noi eravamo io, mio fratello di dieci anni che è come la rogna dei cani, e lo zio Turi.Io e mio zio distesi sulla coperta che aveva grattato mio cugino tornando dal servizio militare, mio fratello arrampicato sui rami alla ricerca del fico più grosso e maturo.
Ovviamente c’erano le cicale a torrefarci le orecchie che pure che gli tiri una pietra, le disgraziate si stanno zitte cinque secondi e poi ricominciano ancora più stizzose.Stavamo in silenzio con il sudore che ci colava dalla fronte sugli occhi, cercando di afferrare un poco di venticello che poi manco c’era.Mi arriva dritto dritto sul piede il frutto più maturo e spappoloso dell’intero albero. Salto in aria.Testa di minchia, urlo a mio fratello, non te ne puoi andare da qualche altra parte?Tse tse, sento dalla bocca di mio zio, mi giro e lo guardo muovere la testa a destra e sinistra in grave segno di disapprovazione.Perché, gli dico, che gli ho detto?Intanto lavati il piede con quest’acqua, mi interrompe, e continuando, risiediti e mi ascolti.Hai fatto uso improprio della parola più bella della nostra lingua. L’hai resa vastasa. Perché quella che hai detto, non si riferisce a quella cosa che sta all’ombra e che non si può dire soprattutto alla presenza delle femmine che se no diventano rosse come se non l’avessero vista mai. O per lo meno, c’è chi ha travisato questa bella parola svuotandola di tutta la sua poesia per farla diventare un insulto e tu, che non sai quello che dici, ti sei mosso in questa direzione. Zio, gli dico io, ma che è il caldo?Zitto che tu sei piccolo e non capisci niente, ma io sono qua per spiegarti.Metti che tu sei a tavola, stai morendo di fame, sulla tavola non c’è niente tranne le posate e i piatti vuoti che te li rosicheresti così per come sono, affaccio io dalla cucina e ti dico: C’è la pasta.Secondo te, ‘sta pasta com’è? Te lo dico io, malecombinata, ammatassata e insipida.Immagina ora che spunto e dico: Minchia, c’è la pasta.Com’è ora? Bella al dente, rossa di pomodoro con le melanzane fritte e le pampine di basilico e tutto un profumo che ti afferra il naso e ti dice mangiami mangiami. Eppure la pasta sempre quella è.Che cosa ci ho aggiunto? Niente, solo che ho messo quella parola che tu hai sprecato prima.Non è chiaro? Non mi sono spiegato?Metti che passa una femmina pezzo di burro alta un metro e ottanta, capelli biondi e minne a tignitè.Io ti dico: Guarda che donna! Tu che fai? ti giri, ma senza convinzione.Se ti avessi detto: Minchia, che donna! Tu, ti stoccavi il collo dieci volte e poi avresti risposto: Minchia!Lo vedi come è importante questa parola? È un bene prezioso che abbiamo solo noi, perché dove vai vai nel mondo, ha solo l’altro significato. Noi l’abbiamo trasformata, è diventata come il sale. Se la usi poco e nel momento giusto, le cose ti vengono più condite e gustose, ma se ne metti troppo, le pietanze che ti metti in bocca le devi sputare perché il sale ti assalta la lingua e te la fa bruciare.Minchia Zio, hai ragione.Figlio mio, non ti scordare, dopo che dici minchia e prima di dire zio, mettici una pausa.
Giorgio D'Amato
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