C'è poco da fare, la fatina il giorno della consegna delle qualità si è un pò distratta e la dote della sintesi non me l'ha data, nemmeno un pò.
L'Oscar per il miglior libro dell'estate non va alla Gamberale ma a una scrittrice che come la protagonista del suo romanzo tiene dentro di sè due mondi, e ne cerca l'equilibrio.
(Ne aveva già parlato Mimma qui e Drusilla qui)
Mi ero persa la recensione di Mimma nei meandri del web, e mia madre mi aveva tenuto nascosto questo capolavoro letterario perchè non voleva che lo leggessi, non voleva che entrassi nel dolore di Quamar, la protagonista, e nella sua esperienza di ricerca della maternità. Capisco il suo bisogno di protezione, ma c'è una cosa importante che manca a mia madre: il piacere della condivisione. Il sapere che non cresce la sofferenza a leggere o ascoltare di un dolore simile al tuo, ma una strana sensazione di sollievo, di fraterna vicinanza, di comprensione. E' bello poter vedere le tue stesse paure attraverso gli occhi di altri, guardarle in un modo nuovo o riconoscersi in pieno.
Rende tutto più reale ma anche più accettabile.
Ma andiamo con ordine:
Il romanzo è un'armoniosa alternanza tra l'esistenza milanese di Quamar, ormai donna, di origine Giordana ma cresciuta in Italia, e la stessa, bambina prima e adolescente dopo, durante le sue estati passate alla Grande Casa della nonna ad Amman.
Il mondo arabo mi ha sempre affascinata. Nei pochi viaggi che ho potuto compiere in quelle terre (tra cui questo e il mio cuore continua a piangere perchè tutto peggiora) ho solo in parte potuto accontentare la mia voglia di vedere com'è. Per questo la letteratura è un'ottima alternativa, un viaggio a costo zero e per certi versi anche più immersivo di uno vero. Infatti non avrei mai potuto partecipare ad un caffè delle donne se fossi stata ad Amman. Perchè io non sono araba.
Mi piacciono queste donne, all'apparenza così sottomesse, nascoste da veli e sguardi bassi ma in realtà molto forti, molto coalizzate, molto unite, molto combattive e consapevoli.
Mi ricordo di aver osservato a lungo un gruppo di donne completamente velate fuori da una moschea a Damasco e di aver desiderato tanto di intrufolarmi nella loro mente e spiarne i pensieri, senza scrupoli nè giudizio, solo per curiosità. Perchè per me certe cose non sono accettabili, ma mi piacerebbe capire come fanno ad esserlo per altre. Perchè spesso la condizione femminile nei paesi arabi è una violenza alla libertà, ma mi piace pensare che altre volte ci sia una consapevolezza felice dietro quei veli. Perchè forse non è così importante.
Ma torniamo al romanzo che va bene non avere il dono della sintesi ma c'è un limite.
E così, tra racconti di afosi e colorati pomeriggi, il primo amore e la famiglia in un senso molto allargato, si compie il rito tutto femminile e intimo del caffè. Quando si svela anche a lei, la tredicenne Quamar, ed è il suo turno di premere il pollice sul fondo della tazza di caffè, le vengono lette le linee del suo futuro: "Lo vedi questo cuore? Cade dal tuo ventre, più e più volte. Ma tornerai a essere serena e la vita verrà. Quando avrai imparato a raccogliere i frutti della terra, scoprirai la vita fuori di te. Allora sarai felice, e lo sarai molto, molto a lungo. Allah ti darà molti figli, se troverai la strada per accoglierli."
Perchè lei da adulta, da donna che in Giordania non torna da molto tempo, innamorata del suo uomo, rimane incinta. Subito, al primo tentativo. E perde il bambino. Alla nona settimana.
E mentre leggevo il suo dolore sugli scogli della Croazia, un dolore immaginario come la sua protagonista ma molto reale, il mio non era più vuoto, ma vita, senza che lo sapessi. E adesso sono a otto settimane e mezzo. Quasi nove.
Una malformazione genetica, la sua, che le rende difficile portare a termine una gravidanza. Tutte le gravidanze che lei sognava.
E il suo è un percorso tortuoso, difficile, che fa riaffiorare molto, il suo rapporto con la madre, le sua doppia appartenenza, quella sensazione con cui è cresciuta, non sentendosi a casa in Italia e non sentendosi a casa in Giordania, lontana dalle sue libertà, così ovvie e scontate.
E in lei mi sono rivista molto. Nel suo bisogno immediato. Nel desiderio di un figlio, nel momento in cui lo cominci ad immaginare.
"Da un attimo all'altro scopro una nuova urgenza e nulla riesce a distogliermi dal pensiero di quel bisogno così fondamentale. [...] A quel punto non ci sono domande, non ci sono dubbi. Inutile cercare di spiegarlo, è così e basta. Anzi trovo snervante la pazienza di chi attende domani per qualcosa che è maturo già oggi. E lo è, maturo. Dentro di me conosco tutti i perchè. Ragioni che hanno senso pieno in me stessa, un loro posto e un loro nome."
E poi il dramma. Che separa e non riesce a tenere insieme i cocci. Perchè il dolore anche se comune è comunque individuale. E non è per niente facile starsi vicini quando arriva.
"Ripenso a Giacomo, al suo sguardo desolato e consapevole di questi giorni. L'amore non basta. Ci sono frangenti in cui si è soli comunque, in cui ci si vorrebbe fare compagnia e consolarsi a vicenda ma non è possibile".
La loro coppia viene distrutta da questo dolore, da una lei che non riesce a risollevarsi, e da un loro che si dimenticano a vicenda. "Mi dispiaccio per lui, perchè sento di averlo portato al confine di sè stesso, in quell'atrio remoto e sconosciuto in cui le reazioni perdono aderenza con la volontà e annebbiano l'autostima".
Ma è il suo ritorno in quella che crede la sua terra, negli anni così cambiata, irrigidita e con i limiti alle libertà femminili che le sembrano ancora più stridenti, che le serve a capire. E sono le donne intorno a lei che la aiutano. "I problemi stanno ovunque. Puoi ricominciare da capo mille volte, forse anche con mille persone diverse, ma se gli ingredienti giusti ci sono fin dall'inizio è inutile pensare che sarebbe meglio in un altro modo, con qualcun altro. Le difficoltà di una coppia arrivano sempre, bisogna lasciar sedimentare, l'amore come il caffè."
E poi arriva un bambino. Un bambino che non è loro ma che con loro passa un pò di tempo. Il tempo che basta per capire.
E poi c'è un'amica che racconta com'è.
"< Sai, ho passato anni a cercare un figlio mio, Quamar. Poi ho semplicemente accettato la solitudine della mia incapacità di generare, e l'ho unita alla solitudine di un figlio senza madre, senza genitori, senza futuro. > mentre lo dice il viso le si distende in un sorriso tenero, materno. < Igor è la mia vita, mio figlio in tutto e per tutto. [...] I figli diventano tuoi piano piano, per le cure e l'amore che ci metti, giorno dopo giorno, notte dopo notte, quando corrono felici e quando stanno male e cercano rifugio tra le tue braccia. >"
E lui un giorno si convince. Si convince che "l'amore va oltre, l'amore non dipende dalle somiglianze. L'amore supera le superfici."
Insomma, è un libro davvero bello. Tanto femminile. Per niente scontato. Pieno di riflessioni interessanti.
E in più c'è anche la ricetta per il vero caffè arabo, al profumo di cardamomo.
"A volte ci smarriamo in un labirinto intricato per il solo gusto di perderci la testa. Abbandoniamo l'ordine mentale e la leggerezza affascinati dall'ignoto. Si tratta di scegliere, tra il desiderio di vivere e quello di scavare. Puntiamo lontano, nella disperata ricerca di una perfezione impossibile e scivoliamo a terra incapaci di accettare la purezza della felicità. Quello che ci è più familiare e vicino appare banale e scontato. Lo ignoriamo disprezzandone la bellezza, lo rendiamo sterile e mediocre, ne sottovalutiamo l'autenticità. Aspettiamo di perderlo per riconoscerne il valore."
Volevo scrivere di altri due libri, ma niente. Non ho proprio il dono della sintesi.
Sorry.