Console e Aruspice

Creato il 12 novembre 2012 da Marino Maiorino
Molte sono le caratteristiche che contraddistinguevano i Consoli Romani. A scuola ci viene insegnato fin dalle elementari perché nacque questa figura di potere: dopo la cacciata di Tarquinio il Superbo, si volle limitare il potere del Rex affibbiandogli un collega di pari potere e con diritto di veto. Da allora, la politica italiana non ha più avuto una direzione precisa!
Ma vi sono prerogative e funzioni del Console che spesso non vengono evidenziate con la stessa profondità, come ad esempio quelle religiose.
Gli antichi Romani sono passati alla storia per molte buone ragioni, ma anche per essere terribilmente superstiziosi. Prima di intraprendere qualunque azione si affidavano volentieri a indovini, maghi, aruspici, seguendo una tendenza che fece prima la fortuna degli Etruschi, poi dei Greci, ed infine degli Egiziani.
Ma quando si andava in battaglia, non potendo togliere dalla testa dei soldati tante corbellerie, bisognava assecondare questa loro inclinazione in modo che permettesse loro di combattere con il coraggio e la determinazione che ci si aspetta dagli antichi dominatori del mondo.
Il Console, durante una campagna di guerra, fungeva anche da aruspice. Se volete, faceva anche da sacerdote militare, ma pensate a quanto sarebbe terribile se un generale di corpo d'armata fosse anche il prete dell'esercito! Certo lo stesso accadeva ancora con il Papa Giulio II, che ricordiamo ne “Il Tormento e L'Estasi”, il kolossal biografico su Michelangelo, ma oggi è fortunatamente un'altra cosa!
Per capire dunque in cosa consistessero le incombenze religiose del Console, dobbiamo capire che gli antichi Romani erano molto religiosi, al punto che vita religiosa e vita pubblica erano quasi indissolubilmente vincolate. I Consoli erano infatti incaricati sia dei doveri religiosi che di quelli militari, e la lettura degli auspici era un passo essenziale prima di condurre l'esercito in battaglia.
Toccava infatti ai Consoli presiedere ai sacrifici ed ai voti pubblici, ed a tutte le cerimonie religiose compiute in nome del popolo. Essi (cosi come pretori e censori) avevano il compito di richiedere gli auspicia maxima. C'era tutto un collegio di sacerdoti, gli auguri, fortemente gerarchizzato, dedicato all'ufficio di fornire tali auspici (aspettative) dall'interpretazione di differenti segnali ritenuti divini.
Quella raffigurata è la Tomba degli Auguri, presso Tarquinia, dunque Etrusca. L'interpretazione del volere divino mediante l'osservazione del volo degli uccelli non era un'esclusiva della cultura Romana.
Annunciatori per eccellenza del volere divino furono per i primitivi Romani gli uccelli (lat. auspicium, da avis “uccello” e *specio “vedo”). Consona allo spirito della religione romana primitiva, l'auspicazione non cerca di penetrare il segreto dell'avvenire, ma, controllando la conservazione del patto con gli dei (pax deorum), tende solo a ottenere la sanzione divina ad azioni umane.
Ma i segni tratti dalla direzione del volo, dal numero, dalla specie e dalla voce degli uccelli, più adatti ad una popolazione di agricoltori, non si confacevano a mutate condizioni politiche e sociali. Così, accanto ai segni degli uccelli, che acquistarono col tempo un valore puramente convenzionale, non solo per comodità d'osservazione, ma anche perché, nella crescente decadenza religiosa degli auspici, rendevano più facile la finzione e l'inganno, furono usate altre forme d'investigazione del pensiero divino.
Nessun'azione pubblica importante, in patria o al campo, era intrapresa senza aver prima, mediante auspici richiesti (auspicia impetrativa), la certezza della disposizione favorevole di Giove, dal quale provengono tutti gli auspici, e la conseguente garanzia di prospera riuscita. Gli auspici pubblici appartenevano allo stato, ma erano da questo affidati ai singoli magistrati; in origine erano indissolubilmente legati all'imperium, denotando l'imperium la parte umana e gli auspici la parte divina dello stesso potere. I magistrati ricevevano gli auspici entrando in carica, e uscendo li trasmettevano ai loro successori; in certi casi potevano anche demandarli a loro dipendenti (auspicia aliena).
Gli auspici maggiori spettavano, con determinate gradazioni, ai magistrati e pro-magistrati forniti d'imperium e ai censori, i minori agli altri. Il vario grado degli auspici denotava soltanto il vario grado del potere, che in questo campo si manifestava soprattutto nel fatto che il magistrato munito di auspici minori non poteva presiedere un'assemblea in cui si dovessero eleggere magistrati con auspici maggiori.
Perché fossero validi, gli auspici dovevano esser presi, possibilmente, nello stesso luogo nel quale doveva avere inizio l'azione, sempre però in uno spazio appositamente delimitato e inaugurato, il templum (non necessario solo per gli auspici presi al campo), e nello stesso giorno, calcolato da mezzanotte a mezzanotte.
Di regola erano iniziati subito dopo la mezzanotte e finiti prima dello spuntar del giorno. Il magistrato si levava dal letto evitando con gran cura ogni rumore (il silentium, l'assenza di ogni causa di disturbo, è condizione indispensabile per un'auspicazione favorevole) e sedeva sotto una tenda (tabernaculum) aperta verso mezzogiorno o oriente. Fatta una preghiera, indicava i segni che desiderava gli fossero inviati e attendeva immobile finché egli stesso li avesse scorti o il suo assistente li comunicasse a lui per visti.
Gli auspici potevano essere casuali oppure invocati, come ad esempio il volo e il canto degli uccelli o il muoversi di cani, lupi, volpi e serpenti sul terreno. Casuali erano invece i segni provenienti dal cielo, come tuoni o eccezionali nevicate, che venivano sovente attribuiti a Giove e considerati negativi. L'augure, rivolto verso sud, delimitava una parte di cielo, i segni che provenivano da oriente e che si trovavano sulla sua sinistra erano quelli fausti, quelli infausti provenivano invece da occidente ed erano sulla sua destra.
Quanto era insita nella civiltà Romana la divinazione mediante auspici? Sull'Altare a Marte e Venere, ospitato presso il Museo Nazionale di Roma, in Palazzo Massimo, e qui raffigurato, troviamo un'aquila accanto a Romolo e Remo. La leggenda racconta infatti che quello tra i due fratelli che avesse visto più uccelli, avrebbe avuto il diritto di fondare la nuova città.
Gli auspici servivano quindi per prendere qualsiasi decisione ufficiale, qualsiasi investitura e qualsiasi scelta politica, e perfino per decidere se le sedute del Senato e delle varie Assemblee erano legittime. In caso di perplessità o controversia (essendo i sacerdoti uomini politici, gli auspici erano sempre controllati) si dovevano consultare gli ordini sacerdotali minori oppure le Sibille, custodi dei testi con le interpretazioni che simili fenomeni avevano avuto in passato.
Vi chiederete naturalmente il motivo di un post del genere. Ebbene, durante l'assedio romano a Neapolis, accadde per lo meno un grande evento, del tutto trascurato dagli storici (e ciò mi è parso quanto meno singolare, dal momento che invece non hanno disdegnato di segnalare eventi simili e spiegarne il “significato” in altre occasioni), che il Console assediante dovette certamente interpretare. Ma di quest'evento, un'eclissi totale di Luna, parlerò più diffusamente in un altro post.

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