Le attività commerciali, negozi super ed ipermercati, anche negli anni di crisi economica avevano sempre avuto un grande paracadute o meglio un enorme salvagente, si chiamava Natale. Con le vendite di fine anno si potevano raddrizzare anche i bilanci più disastrati, ma questa crisi è diversa, nulla a che vedere con quelle che l’hanno preceduta, questa crisi non ha fatto prigionieri e tra le vittime c’è anche … il Natale.
Nel 2007 a dicembre gli italiani fra negozi, grande distribuzione e centri commerciali spendevano qualcosa come 18 miliardi di euro, quest’anno ci siamo fermati a 9,8 miliardi. Il resto è andato in tasse, “paura” del futuro, ma soprattutto minori introiti per le famiglie.
E poi, una volta, verso l’inizio di febbraio c’erano i cosiddetti “corsi di recupero”, chiamati anche “Saldi di fine stagione”, le vendite svuota-magazzini che davano un’altra grossa boccata d’ossigeno al settore commerciale.
Oggi ufficialmente partono prima dell’Epifania, ma nella realtà non hanno né un inizio né una fine, gli sconti sono perenni, le giornate di chiusura dei negozi praticamente non esistono più, alcuni esercizi commerciali rimangono aperti per 361 giorni all’anno, restano abbassate le saracinesche soltanto il primo giorno dell’anno, Pasqua, Ferragosto e Natale.
I lavoratori e le lavoratrici del settore ormai sono a livello di semi-schiavitù. All’entrata dei negozi (noi non ce ne accorgiamo) ci sono cellule fotoelettriche che “contano” le persone che varcano la porta d’ingresso, alla sera arriva il “manager” che fa un rapporto fra il numero delle persone entrate ed il fatturato giornaliero realizzato, se non si raggiunge un livello prestabilito di incasso pro-capite per le commesse sono dolori.
Ed ecco allora perché appena entriamo in un negozio veniamo “aggrediti” dalle commesse che cercano di venderci di tutto, per noi è solo una scocciatura, per loro può significare mantenere o perdere il posto di lavoro!
Se siamo arrivati a questo, quale sarà il passo successivo?
Giancarlo Marcotti per Finanza In Chiaro