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Contabilita' ambientale: esistono esempi e/o buone pratiche per l'urgenza?

Creato il 24 gennaio 2015 da Alessandro @AleTrasforini

Attraverso quali passi sarebbe possibile muoversi per definire alcuni provvedimenti chiave per imporre riflessioni attorno al contesto ambientale?
In un contesto socio-economico aggravato da una crisi che sembra non lasciare sosta, emergono come necessarie ed urgenti le istituzioni di provvedimenti in materia di contabilità ambientale; si dovrebbe trattare, in altre parole, di adoperarsi per restituire/affidare un valore preciso a quel che oggi non lo ho ha. Si potrebbero definire flussi di cassa coerenti, analisi costi-benefici capaci di restituire voce in capitolo all'argomento naturale nella maniera più concreta possibile.
Sarebbe forse lecito inserire certe considerazioni migliorative internamente a metodologie attualmente impiegate per la scelta e la discussione di tematiche strutturali, costruttive ed infrastrutturali usualmente impiegate: Valutazioni di Impatto Ambientale e Valutazioni Ambientali Strategiche, solo per citare alcuni provvedimenti che potrebbero essere migliorati con competenza, consapevolezza e pragmatismo.
Al netto di tutto questo, infatti, esistono stime che cercano di definire quale sia l'impatto della spesa economica pubblico-privata verso l'intersezione fra tematiche costruttive ed infrastrutturali e fondamentali e questioni di rilievo ambientale.
Quantificare quali possano essere gli impatti economici di certe scelte umane potrebbe forse costituire, al netto delle impressioni possibili, anche ( o soprattutto?) un beneficio con cui lenire e/o curare eventuali futur( ibil)i passi sbagliati su argomenti tanto complessi.
Due esempi recenti di applicazioni alla contabilità ambientale si riferiscono, fra tutti gli esempi citabili, alle spese ambientali certificate dall' ISTAT ed alle stime ambientali fatte relativamente alla perdita di risorse primarie e guadagni nel comparto " reale".
Il primo punto riguarda, nei dettagli, un comunicato diffuso da un report dell' ISTAT qualche giorno fa riguardo alla ripartizione delle spese in materia ambientale degli Enti Sovracomunali italiani.
Richiamandosi a quanto definito alla pagina dell'Istituto, infatti, è possibile leggere quanto richiamato esplicitamente nel seguito:

"[...] L'Istat presenta i dati relativi alla spesa ambientale delle amministrazioni regionali per l'anno 2012 e la nuova serie 2010-2011 coerente con i risultati della revisione completa dei conti nazionali programmata in occasione dell'introduzione del nuovo Sistema europeo dei conti SEC2010. [...]"

Esaminando gli andamenti certificati delle spese sostenute dalle singole Amministrazioni Regionali, è possibile evincere una serie di capitoli di spesa che potrebbero essere enormemente migliorati qualora la disciplina ambientale venisse dotata di nuovi metodi per certificazioni e/o valutazioni di matrice anche economica:

  • protezione e difesa del suolo;
  • salvaguardia da fenomeni di inquinamento;
  • protezione da emissioni atmosferiche;
  • interventi finalizzati all'ottimizzazione relativa alla gestione di risorse naturali;
  • protezione e difesa delle acque sia superficiali che sotterranee;
  • gestione generica delle risorse idriche sfruttabili ed esistenti;
  • protezione della biodiversità e del paesaggio.

Al netto dei presenti punti, l'importo quantificato di queste spese è certificato da quanto definito nel seguito dallo stesso Istituto di Statistica:

"[...] La spesa ambientale erogata [...] dalle amministrazioni regionali [...] nel 2012 ammonta a 3.825 milioni di euro [...] con un'incidenza sul Pil dello 0,23%.

(Fonte: Spesa ambientale delle amministrazioni regionali, Istat)

La ripartizione delle stesse denota, infine, variazioni e disparità percentuali alquanto consistenti fra Nord, Centro e Sud Italia. Così come fra Regione e Regione, cercando di diversificare sia il quadro esistente che le configurazioni futuribili in materia economico-ambientale:

"[...] Valori inferiori alla media nazionale si registrano per le amministrazioni regionali del Nord-ovest, Nord-est e Centro (rispettivamente 26, 54 e 40 euro per abitante nel 2012), mentre le Amministrazioni Regionali del Mezzogiorno presentano una spesa molto più elevata, con una media di 113 euro per abitante. Al risultato di questa ripartizione territoriale continuano a contribuire le spese realizzate a valere su fondi strutturali, nonché quelle connesse ad accordi di programma quadro in materia di servizi e infrastrutture ambientali. [...]"

(Fonte: Spesa ambientale delle Amministrazioni Regionali, Report Istat)

La disparità di spese pro-capite è un fattore su cui sarebbe lecito adoperarsi per differenziare e qualificare le differenze esistenti, senza cedere a demagogie e qualunquismi di sorta.

Da evitare, ancora di più, se in un settore tanto inesplorato e ( volutamente?) non curato e sviluppato come quello della contabilità ambientale.

Al netto delle differenze esistenti fra regioni, comunque, è possibile notare un calo certificabile internamente agli importi complessivi esistenti anche nelle annualità più recenti:

"[...] Nel 2012 le amministrazioni regionali italiane spendono [...] per la tutela dell'ambiente 3.825 milioni di euro, pari allo 0,23% del Pil. Tale valore risulta inferiore sia alla spesa erogata nel 2011 ([...] incidenza sul Pil dello 0,25%) sia a quella del 2010 ([...] 0,27% del Pil). [...]"

In altre parole, pertanto, nell'arco temporale di tre annualità si è assistito ad un calo di spese nel comparto ambientale attestato più o meno allo 0.03% del PIL italiano.

Quante di queste spese sono state ragionevolmente tagliate, in quanto facenti parte di eventuali sprechi? Quante di queste spese sono invece state decurtate senza porre l'attenzione necessaria alla loro validità ed efficienza? Quante altre domande simili sarebbe possibile porre, relativamente alle possibili letture da dare ai presenti dati?

Al netto di tutte le possibili interpretazioni, risulta tanto interessante quanto importante cercare di definire realisticamente il concetto di spesa ambientale.

Attenendosi a quanto descritto dal report Istat, sarà possibile esprimere quanto di seguito richiamato in termini estesi e qualificati:

"[...] Spesa sostenuta per attività ed azioni di:

  • 'protezione dell'ambiente' [...] finalizzate alla prevenzione, alla riduzione e all'eliminazione dell'inquinamento (emissioni atmosferiche, scarichi idrici, rifiuti, inquinamento del suolo, ecc.), così come di ogni altra forma di degrado ambientale [...];
  • 'uso e gestione delle risorse naturali', ossia finalizzate all'uso e alla gestione delle risorse naturali [...] e alla loro tutela da fenomeni di depauperamento ed esaurimento.

Sono incluse spese per attività di tipo strumentale quali quelle di attività di monitoraggio e

controllo, di ricerca e sviluppo sperimentale, di amministrazione e regolamentazione, di

formazione, informazione e comunicazione. Sono invece escluse le attività e le azioni che, pur

esercitando un impatto favorevole sull'ambiente, perseguono altri obiettivi primari, quali ad

esempio la tutela della salute umana, dell'ambiente di lavoro, delle attività economiche, del

patrimonio culturale artistico e architettonico o delle infrastrutture antropiche. [...]"

(Fonte: Spesa ambientale delle Amministrazioni Regionali, Report Istat)

Le disparità esistenti relativamente al concetto di spesa ambientale si esplicano, maggiormente, osservando anche quali siano state le possibili mancate spese sostenute per migliorare e/o ripristinare alcuni dei paesaggi e degli ambienti situati in alcune delle località più devastate e distrutte d'Italia.

A questo proposito, seguendo stime e metodi di calcolo non ulteriormente precisati, è possibile illustrare i contenuti di un dossier svolto dai Verdi e documentato per sommi capi ne La Repubblica risalente ai primi giorni di gennaio 2015.

Richiamandosi in maniera diretta ai contenuti illustrati, è possibile definire per esteso quanto riportato integralmente nel seguito:

"[...] Angelo Bonelli [...] a inizio 2015 ha preso in esame gli ultimi dieci anni di maxi-inquinamenti provati e ha calcolato che tra il 2004 e il 2013 le aziende italiane non hanno pagato danni per 220 miliardi di euro. Alla prescrizione penale [...] è seguita la prescrizione economica.

In molti casi [...] le aziende sotto accusa continuano a produrre e a bruciare, a sversare.

(Fonte: Verdi, dossier sull'Italia: dall'Ilva all'Eternit, chi inquina non paga, La Repubblica, C.Zunino)

Quali sono stati i criteri contabili impiegati per la quantificazione di una spesa tanto grande e corposa da sostenere? Tale mole cumulata di denaro ha visto e/o vedrà ulteriori aumenti per il futuro?

Si tratta di una stima economica sopravvalutata e/o sottovalutata?

Possono esistere, all'interno di stime simili, esempi di cosiddette " buone pratiche" da utilizzare per mitigare e/o rendere migliorabili le disposizioni legislative in materia di contabilità ambientale?

Le cifre prospettate sono, al netto delle impressioni e dei metodi, assolutamente impressionanti.

Così come impressionante sembra essere, anche, la diffusione " a macchia d'olio" di certi problemi su scala nazionale.

Sarà opportuno cercare di fare, al meglio possibile, i conti con la materia ambientale.

Tanto a livello di retorica quanto a livello di fatti concreti, per fortuna o purtroppo.

Tentando di adoperarsi per migliorare e/o colmare le lacune esistenti, ove queste si manifestino in tutta la loro piena evidenza.

" La spesa ambientale delle Amministrazioni Regionali", istat.it

(http://www.istat.it/it/archivio/145909)

" Verdi, dossier sull'Italia: dall'Ilva all'Eternit, chi inquina non paga", La Repubblica, C.Zunino

(http://www.repubblica.it/ambiente/2015/01/07/news/verdi_dossier_sull_italia_dall_ilva_all_eternit_chi_inquina_non_paga-104482950/)

CONTABILITA' AMBIENTALE: ESISTONO ESEMPI E/O BUONE PRATICHE PER L'URGENZA?

Fonte immagine: caratteriliberi.eu


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