Content curation e giornalismo: perché agli editori conviene avere cura del proprio archivio

Creato il 09 maggio 2013 da Leliosimi @leliosimi

“All’inizio il web non ha plasmato se stesso come un’edicola, ma come un archivio, una biblioteca priva d’ingombro” scrive in un bell’articolo, The Archive is a Campsite, Aaron Lammer cofondatore di LongForm sito che promuove la lettura dei contenuti estesi e non consumabili in pochi nanosecondi. LongForm in particolare, come l’altro sito “gemello” Longread, segnala articoli di non-fiction sia recenti come vecchi di anni pubblicati dalle maggiori testate americane, mettendo a disposizione dei lettori un eccellente archivio aggiornato quotidianamente di contenuti di qualità. La sorpresa è – scrive Lammer – che a uno sguardo attento ai dati di accesso di LongForm si scopre che le vecchie storie sono lette nella stessa frequenza di quelle più recenti.

Sorprendente? Sì perché c’è un primo aspetto interessante che Lammer mette in evidenza – abbastanza ovvio se vogliamo – ma sul quale ha valore fare delle riflessioni: la lettura dei contenuti online è caratterizzata da una dicotomia tra nuovo e vecchio, ed è il nuovo ad aver sempre più il sopravvento sul secondo.

Il “fiume” e l’archivio

La nostra esperienza di lettori nel web è dominata dall’ossessione del “refresh”, nella perenne attesa di nuove notizie. Se ci separiamo dai nostri collegamenti per un po’ ci chiediamo quali news ci siamo persi, ma più che la notizia di per sé – scrive ancora Lammer – è la nostra esperienza collettiva della notizia che si appiattisce sotto la dittatura delle breaking news, del real time, dei dibattiti che il giorno dopo sono già vecchi. La notizia insomma diventa qualcosa da consumare in fretta ed estremamente deperibile. La stessa architettura utilizzata fin dalla loro nascita dai blog e dai siti di news – la struttura “a fiume” – è da sempre stata pensata per sottolineare la supremazia del nuovo sul vecchio: gli articoli scorrono in un elenco a colonna uno dietro l’altro, il più recente a sostituire nell’interesse del lettore il meno recente. È come un fiume. Un fiume che scorre trasportando la nostra attenzione in un’unica direzione…

Il fiume ha molti significati: i visitatori abituali hanno bisogno di sapere se qualcosa di nuovo è stato pubblicato dalla loro ultima visita. Il suo design suggerisce che i nuovi articoli, come le auto nuove, perdono di valore solo un minuto dopo che sono uscite dalla loro concessionaria. Il fiume, diciamo a noi stessi, è democratico. Ogni articolo si colloca nel posto giusto, poi galleggia lontano, obsoleto e dimenticato. Il fiume è il progresso. Gli articoli pubblicati oggi sono migliori di quelli pubblicati lo scorso anno.

Eppure così facendo ci perdiamo molto. Certo è normale che l’attenzione verso quello che accade oggi sia più alta rispetto a quello che accadeva un anno fa. È indubbio però che la sperequazione di valore attribuita dagli editori online ai contenuti nuovi rispetto a quelli archiviati è sempre più evidente. Eppure molti “luoghi” tra i più frequentati dagli internauti basano la loro fortuna proprio sul fatto di offrire ai loro utenti un archivio estremamente vasto e facilmente consultabile (e non certo solo di contenuti recenti): YouTube può essere un esempio su tutti.

Non sappiamo se una sorta di YouTube “testuale” altrettanto efficiente potrà mai vedere la luce (ma non mettiamo limiti alla provvidenza internettiana) ma sappiamo bene che proprio sull’idea di archivio si è basata l’”invenzione” dei motori di ricerca che sono diventati la porta di ingresso, l’interfaccia per eccellenza della nostra esperienza di lettori nel web. Solo che ben presto anche con questi strumenti ci siamo assoggettati alla dittatura del “più cliccato, più nuovo = più bello”: le cose interessanti sono quelle in alto, ai primi posti delle ricerche su Google, tutto ciò che fluttua più in basso oltre la prima pagina dei risultati perde di valore e interesse, addirittura è come se non esistesse più.

Un’interfaccia per il passato: archivi e cura dei contenuti

Domanda, come valorizzare i contenuti del proprio archivio? Risposta: avendone cura. Letteralmente. La cura dei contenuti sui materiali d’archivio è sempre più necessaria per le testate d’informazione, diverse idee su come farla le ho raccolte in questo post (ma altro sta succedendo, ad esempio la rivista Atlantic ha dato vita poco tempo fa a una divisione che si occuperà esclusivamente di curare i materiali del suo vasto archivio, 155 anni di storia, per ricavarne degli ebook da pubblicare regolarmente, o ancora il blog del Guardian From The Archive).

In conclusione, quello che Aaron rivela sui dati di LongForm  - che certo, sono relativi ad un unico sito e non possono essere in assoluto generalizzati per situazioni più complesse –  un paio di riflessioni comunque deve farcele fare. La prima è che un interesse del lettore verso i vecchi contenuti, se l’archivio nel quale sono custoditi è costruito bene, può esistere eccome. La seconda è che nell’ecosistema digitale il valore dei contenuti sarà sempre più legato con la sua capacità di creare relazioni attorno a sé, per questo valorizzare e puntare su contenuti che sappiano durare nel tempo, e non deperibili dopo poche ore, potrebbe essere una strategia intelligente da seguire.

Perché per un giornalista o un editore curare l’archivio,  far vivere a lungo i propri contenuti di qualità, ben oltre qualche giorno o al massimo una settimana, non vuol dire soltanto dare maggior valore (anche economicamente) a quei contenuti, significa che si sta cercando di costruire con il lettore un rapporto più solido e duraturo. Ed è proprio quel rapporto (e la sua qualità) il vero valore sul quale gli editori oggi devono saper puntare:

Quando investite nel vostro archivio, tuttavia, fate qualcosa di molto di più significativo che far partire il contatore delle page view. Dichiarate al mondo che il vostro lavoro merita un interesse continuo, e confermate ai vostri lettori che il rapporto che state costruendo con loro è a lungo termine. Non è semplicemente uno scambio tra fornitore e consumatore di contenuti ma qualcosa di più forte, perché dietro di sé lascia qualcosa che ha valore.

nota 1: anche la struttura a “fiume” sta evolvendosi, in cerca di interfaccia più funzionale che non la classica home page e cercando connessioni con una nuova suddivisione tematica delle notizie. Ne ho accennato anche nel post precedente a proposito del sito Quartz, e sull’argomento consiglio di leggere questo fondamentale articolo del Nieman journalism Lab (una sintesi in italiano qui)

nota 2: l’articolo di Aaron Lammer l’ho scoperto grazie alla segnalazione di Robin Good e del suo scoop.it sulla content curation.

fonte: The Archive is a Campsite (Aaron Lammer siu Content)


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