Anno: 2011
Genere: Documentario
Durata: 118’
Nazione: Italia
Regia: Enrico Cerasuolo
Prendendo spunto per il titolo dal movimento dell’opera di Giuseppe Verdi, ispirandosi per la struttura ad una mostra per i 150 anni dell’Unità d’Italia, il regista Enrico Cerasuolo, autore di documentari molto interessanti quali L’enigma del sonno (2004) e Il sogno di Peter (2007), mette in scena un documentario che ripercorre le tappe salienti dell’evoluzione del nostro paese. La passione per l’analisi sociale e politica nasce in Cerasuolo dai suoi studi di scienze politiche e già aveva preso corpo nel 2006 nel documentario collettivo Checosamanca, film che analizzava la deriva politica degli anni successivi a mani pulite. In questo nuovo lavoro da una parte una voce narrante mette in essere il punto di vista dell’autore, mentre dall’altra lo stesso punto di vista viene confortato da interventi di storici, politologi e sociologi italiani e stranieri. L’opera non risulta soltanto culturalmente stimolante, ma ben rappresenta un sintetico percorso critico della storia d’Italia dalla sua unificazione ai giorni nostri.
L’apertura del documentario inizia con una strofa di una canzone: “Io non mi sento italiano, ma per fortuna o purtroppo lo sono”. Giorgio Gaber, cantautore impegnato che spesso si è interessato alla politica, apre un documentario storico. L’autore palesa il suo credo politico senza lasciare alcun dubbio. Entriamo dunque nella mostra “Fare gli italiani” che si è tenuta a Torino. Il narratore ci pone il quesito che lancia la ricerca oggetto di tutto il film: “Fare l’Italia o fare gli italiani. Non siamo mai riusciti a superare questo dilemma. Noi, italiani, lo siamo da secoli. Dal 1300 ma separati in stati diversi a volte grandi come città.” E dopo aver citato Dante, il narratore ci offre la sua tesi, vale a dire che la cultura ha unito l’Italia. È Giuseppe Verdi che restituisce agli italiani la forza di sentirsi uniti, uniti da una lingua unica, da un canto che narra di altre resurrezioni, solamente perché narrare la nostra, sotto il dominio di 7 stati diversi, era impossibile. Fu l’italiano dei libretti d’opera ad iniziare il lungo e doloroso cammino del nostro popolo. E la monarchia sabauda fu quella che con Camillo Benso Conte di Cavour, insieme a Mazzini e Garibaldi, diede il via al processo di unificazione.
Interessante è la tesi della storica Lucy Riall, la quale vede Garibaldi quale eroe “scelto” da Mazzini per rappresentare la lotta degli italiani per la loro terra. Secondo la Riall, Mazzini fece promuovere Garibaldi a mezzo stampa con un vero e proprio progetto di marketing. Forte freno alla modernizzazione del nuovo stato sarà sempre la Chiesa, come ci spiega la sociologa Chiara Saraceno, sottolineando che la prima cosa che si fece, fu istituire il matrimonio civile inteso però nel senso napoleonico, vale a dire come contratto indissolubile. Per nulla lezioso ed ipocrita, il discorso si sposta verso la mafia, meccanismo che nasce inizialmente per difesa dagli invasori e si trasforma in meccanismo di organizzazione delle risorse a disposizione. La mafia infatti si è sempre occupata principalmente di attività lecite, infiltrandosi nelle maglie del potere. Ma quando la mafia non si vede più, è perché è divenuta il potere, non è più una patologia ma una fisiologia. È per questo che il Pinocchio di Collodi è il libro che più di tutti unifica gli italiani: pur essendo in divisa, l’italiano si sente sempre un ribelle. Ricco di intuizioni il documentario continua, cercando il trait d’union che ha fatto degli italiani un popolo e dopo Giuseppe Verdi troviamo l’esercito. Sì, perché nelle trincee della prima guerra mondiale, gli italiani si scoprono gli uni con gli altri. Ed ancora nell’esercito c’è la necessità di trovare una lingua comune a tutti, bisogna dunque abbandonare il dialetto se si vuole collaborare. Ma dalla guerra l’Italia esce molto male e se gli operai imitano i loro compagni russi, rincorrendo la rivoluzione, dal canto loro industriali e agrari finanziano quelli che saranno i fascisti di domani, proprio perché hanno paura del comunismo. Ed in questo contesto si capisce bene come la poesia patriottica di un Giosuè Carducci abbia potuto attecchire. Mentre ascoltiamo la voce del poeta recitare le sue Odi barbare nel 1877, comprendiamo che “gli archi che nuovi trionfi aspettano non più di re di cesari ma il tuo trionfo popol d’Italia” prenderanno presto corpo con l’avvento del fascismo. L’11 febbraio 1929 con i patti lateranensi il matrimonio religioso viene ufficialmente equiparato a quello dello stato, mentre Mussolini nega l’esistenza di una questione meridionale, nonostante il fascismo si sia inizialmente appoggiato alla mafia. Tra il 1925 e il 1929, il prefetto Cesare Mori servirà a Mussolini proprio per convincere il popolo di avere sconfitto la mafia, che invece è rimasta viva e vegeta e continua a fare affari. Di seguito arriveranno le leggi razziali e gli italiani scopriranno di essere ariani, entrando in una guerra che li porterà alla sconfitta dell’8 settembre del 1943. Il 2 giugno 1946 ci sarà il trionfo della Repubblica sulla monarchia. L’arte degli italiani diventa il cinema col neorealismo e la fisicità che aveva caratterizzato Mussolini con Alcide De Gasperi lascia il posto alla forza portata dal voto popolare. Dopo un lungo percorso costituente il 1 gennaio 1948 entrerà in vigore la Costituzione Italiana.
Nel mentre si è ben delineato il sistema politico italiano: da una parte i comunisti e dall’altra gli anticomunisti. Emblematico fu quanto accadde all’indomani delle elezioni regionali siciliane del 20 aprile 1947. Trionfarono Partito Comunista e Partito Socialista uniti nel Blocco del popolo con il 25%, mentre la Dc non andò oltre il 21%. Il 1 maggio 1947 la banda di Salvatore Giuliano spara sui contadini durante una manifestazione piena di bandiere rosse. Gli interlocutori di Giuliano erano a destra e proprio quella destra voleva allearsi con la Dc. Da allora in poi il rapporto tra mafia e Dc sarà sempre più stretto. Gli ultimi e concreti vettori di unificazione saranno la televisione dal 3 gennaio del 1954, la quale svilupperà e divulgherà la lingua italiana con programmi appositamente studiati e non ultimo il mercato del boom economico. Nel 1961 l’Italia sarà la quinta potenza industriale del mondo, salto compiuto in circa cinquant’anni, laddove altre democrazie ne impiegarono circa 150. Nel 1974 con la legge sul divorzio la Chiesa e la Dc subiscono la prima grossa sconfitta. Arriverà la stagione delle violenze politiche che toccherà il suo apice con l’uccisione di Aldo Moro il 9 maggio 1978. L’Italia conterà 360 morti per ragioni politiche, unico caso tra i paesi democratici. Un rilancio alla cooperazione tra gli italiani verrà dal Presidente Sandro Pertini, che alzerà la coppa dopo la vittoria dei mondiali di calcio del 1982. Milano sarà il centro del cambiamento del paese negli anni ’80 con la crescita dell’export di moda e la nascita delle tv private. Bettino Craxi rilancerà il culto del corpo abbandonato dopo Mussolini e Berlusconi sarà la naturale continuazione di questa nuova politica legata all’immagine.
Prodotto da ARTE France, Les Films d’Ici e Zenit Arti Audiovisive, col supporto del programma Media, quello del Piemonte Doc Film Fund e la città di Torino, il documentario di Cerasuolo, alla fine del percorso, lascia lo spettatore con l’impressione di avere più chiare le idee riguardo le proprie origini. Con una tale mole di informazioni è facile cadere nella trappola della sintesi estrema che a tratti manca dei dovuti approfondimenti, cosa che ovviamente accade al documentario, ma che non influisce sulla linea narrativa che continua nel ricercare un’identità italiana. Il regista non pretende di averla trovata, ma sicuramente lo spettatore arrivato alla fine di questa complessa serie di ragionamenti, alternati a ricordi storici, ha “partecipato” con un occhio nuovo all’evoluzione dell’italianità. E come per l’apertura il regista chiama Giorgio Gaber a chiudere, il quale cantando ci ricorda che “libertà è partecipazione”.
Fabio Sajeva