Sul finire degli anni Ottanta, il berlinese Martin Daske (1962), allievo di Christian Wolff presso il Dartmouth College di Hanover, nel New Hempshire, ha iniziato a sviluppare forme tridimensionali di partitura astratta in leggeri assemblages con elementi in pietra, vetro, plexiglass e metallo in cui si avverte l’eco di alcune importanti esperienze plastiche di metà Novecento: Folianten 11 for Mbila (1989), ad esempio, con le sue combinazioni di viti, molle e bulloni, somiglia molto a una “macchina” di Jean Tinguely, così come anche Folianten 30 for Viola (2010), coi suoi nervosi grovigli metallici, Folianten 31 for Guitar (2010), con le sue sovrapposizioni reticolari in cui si incastrano piccoli oggetti colorati, e Folianten 32 for 1-3 Flutes (2011), con frammenti di flauto che pendono da sinuose e vorticanti ramificazioni di plastica, mentre altre partiture come Folianten 15 for String Quartet (1989) e Folianten 29 for Double Bass (2009), ad esempio, ricordano certo Informale europeo (Fontana e Hartung, ad esempio). Esattamente come per le partiture astratte su carta, per quelle tridimensionali di Daske l’interprete è chiamato a “tastare” con l’occhio i valori plastici e materici, a ripercorre le curve e le spezzature valutando e stabilendo lunghezze e altezze su un metro personale, che favorisce dunque l’unicità di ciascuna “lettura” così come l’indeterminatezza del suo risultato. Ma a differenza di quelle cartacee, le partiture tridimensionali di Daske consentono una molteplicità di punti di vista che accresce in maniera esponenziale le possibilità di libera esecuzione, anche attraverso uno spostamento continuo intorno alla scultura-spartito che scardina la tradizionale immobilità del musicista di fronte a un bolso leggio. Stridori, sfregamenti, strofinii e pizzicati maldestri diventano i gesti più adatti alla formalizzazione sonora di queste astrazioni, stralci di una musica magmatica, deflagrata, informe, che rifiuta lo specialismo dei conservatori e fa del maltrattamento dello strumento musicale una modalità di liberazione libidica dai costrittivi obblighi di un opprimente principio prestazionale, all’insegna di uno spirito Fluxus[4] che aleggia ancora nei laboratori della più avanzata ricerca artistica e musicale attuale.
[1] Sulle nuove forme di partitura e di notazione contemporanee si vedano AA.VV., Spartito preso. La musica da vedere, Vallecchi, Firenze, 1981 e A. VALLE, La notazione musicale contemporanea. Aspetti semiotici ed estetici, Edt, Torino, 2002.
[2] Si veda in proposito D. HIGGINS, Spartiti figurali e Pattern Poetry. Guida bibliografica per lo studio delle relazioni fra partitura e immagine, in «La taverna di Auerbach», n.1, 1987, pp. 30-38.
[3] Si pensi, ad esempio, agli esperimenti di fonoestesia dello psicologo Wolfgang Köhler riportati in W. KÖHLER, La psicologia della Gestalt (1929), trad. it., Feltrinelli, Milano, 1967, e in particolare pp. 148-149.
[4] Per una buona panoramica delle performance musicali di artisti Fluxus quali George Brecht, Philip Corner, George Maciunas, Ben Patterson e molti altri si vedano almeno M. NYMAN, La musica sperimentale (1974), trad. it., ShaKe, Milano, 2011, pp. 92-109 e S. SOLIMANO (a cura di), The Fluxus Constellation, Neos, Genova, 2002. Si veda anche G. BONOMI, E. MASCELLONI (a cura di), Fluxus nella sua epoca 1958-1978, AP, Colognola ai Colli, 2000.