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Contributi a una cultura dell’Ascolto CAMMINARSI DENTRO (240): Leggere LUIGI MANCONI e VALENTINA CALDERONE, Quando hanno aperto la cella. Stefano Cucchi e gli altri – Prefazione di Gustavo Zagrebelsky, IL SAGGIATORE

Creato il 15 agosto 2011 da Gabrielederitis @gabriele1948

Contributi a una cultura dell’Ascolto CAMMINARSI DENTRO (240): Leggere LUIGI MANCONI e VALENTINA CALDERONE, Quando hanno aperto la cella. Stefano Cucchi e gli altri – Prefazione di Gustavo Zagrebelsky, IL SAGGIATORE

«Stefano Cucchi inizia a morire. Muore. E continuerà a morire, fino a che non verranno pubblicate quelle foto. Sono le fotografie di un cadavere sul tavolo dell’obitorio. Quel corpo, incredibilmente e disperatamente magro, prosciugato. La maschera di ematomi sul viso, dalle palpebre fino agli zigomi. Un occhio aperto, quasi fuori dall’orbita, uno completamente chiuso. Le strisce sulla schiena, le lesioni. Il livido nero sul coccige. Segni di bruciature sulla testa e sulle mani.»

Quelle foto di Stefano Cucchi. Quel corpo prosciugato, quella maschera di ematomi sul viso, un occhio aperto, quasi fuori dall’orbita. Quella morte di Federico Aldrovandi, quel giovane riverso a terra, le mani ammanettate dietro la schiena, esanime. Quelle urla di Giuseppe Uva, dentro la caserma dei carabinieri di Varese. Quelle sue foto col pannolone da adulto incontinente, imbrattato di sangue. Quelle facce gonfie, viola, i rivoli di sangue. E tutte le altre storie, rimaste ignote, oppure richiamate da un trafiletto di giornale, e già dimenticate. Giovanni Lorusso, Marcello Lonzi, Eyasu Habteab, Mija Djordjevic, Francesco Mastrogiovanni. E molti altri. In Italia in carcere si muore. Alcuni sono suicidi, alcuni no. E si muore durante un arresto, una manifestazione in piazza, un trattamento sanitario obbligatorio. Dietro le informazioni istituzionali spesso c’è un’altra storia. Un uomo che muore in carcere è oil massimo scandalo dello Stato di diritto. Quando hanno aperto la cella ce lo racconta. Luigi Manconi e Valentina Calderone ascoltano, raccolgono e portano alla luce storie di persone – spesso giovani – che entrano nelle carceri, nelle caserme e nei reparti psichiatrici e ne escono morte. In ognuna di queste morti, la morte dello Stato di diritto.

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