Contributi a una cultura dell’Ascolto CAMMINARSI DENTRO (250): Leggere ROBERTA DE MONTICELLI, Digressione sul desiderio

Creato il 15 agosto 2011 da Gabrielederitis @gabriele1948

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Le emozioni hanno relazioni con l’apparato cognitivo perché si lasciano modificare dalla persuasione. Aristotele

Digressione sul desiderio

Questa felicità del consentire, nella quale il riconoscimento dell’altro e la riconoscenza nei suoi confronti è immediatamente anche un sì a se stessi, un gioioso sì a una nuova o rinnovata parte di sé, è indubbiamente un enigma, oltre che un dato così noto a ciascuno. Un dato che ha tanto colpito da essere sempre registrato: ma troppo spesso in modo distorto.

Cosa felice è l’amore, ma perché è felice, anche se quasi sempre è fonte di sofferenza a causa della minaccia costante cui la vita e la felice realizzazione dell’altro è soggetta?

Ed ecco che, per spiegare questo enigma, si è erroneamente identificato l’amore con il desiderio, cioè non con la rivelazione di un maggior essere – ovvero la manifestazione, nel risvegliarsi di strati non ancora o non più desti di sensibilità, di un proprio potenziale di vita, conoscenza e azione che si ignorava di avere.

Non dunque con quello che l’amore è. Ma con il suo contrario: con la pervicace, sinuosa, fastidiosa oppure esplosiva assenza d’essere, quale si manifesta nel modo della tendenza, cioè dell’appetito, del desiderio: bisogno, domanda, fame, libido, tensione al soddisfacimento, pulsione.

La felicità non sarebbe che la speranza o l’attesa della soddisfazione del desiderio, e in questo modo sarebbe anzi il desiderio stesso che si leva.

Eppure questa sembra una negazione dell’evidenza. Il desiderio insoddisfatto, e tutto quello che si porta dietro – inquietudine, preoccupazione, ansietà, affanno, brighe, conflitti – sembra il contrario esatto del felice consentire.

Il desiderio – questa eterna obiezione a consentire veramente all’esistenza altrui e alla propria, quest’obiezione costante alla gratitudine. Questa vera radice degli infiniti negoziati e delle infinite guerre di acquisizione che bisogna attraversare prima di consentire, e il più delle volte infelicemente, obtorto collo, al proprio essere. Questa sola radice di invidia, gelosia – o, al meglio, emulazione e competizione. Questo polo, nella vita affettiva, opposto a quello del sentire, sempre pronto a contendergli energia vitale. Questo vettore di tendenza e azione che può affinarsi e più si affina, più, forse, ci rende infelici, quando esaurite le attrattive dell’avere, si volge all’essere.

Il desiderio, anche il desiderio d’essere – quello che non si è, che non si è ancora, che non si è più, o che non si è nel tempo – è perenne dissenso con se stessi e perenne obiezione al sì della gratitudine. Nella quale infine si riassume il felice consentire a sé solo attraverso un altro, quando uno rinuncia a «salvare» la propria vita e «salva», in quel caratteristico modo che ciascuno forse conosce, la riceve dalle mani di un altro. Nella gratitudine è l’essenza della beatitudine.

Il desiderio – bisognerà cominciare a scalzare questo falso iddio dal suo trono, se vorremo fare un po’ più di luce sui fenomeni della vita affettiva, e sulle ragioni della nostra insipienza e ordinaria infelicità. non è impresa da poco, sullo sfondo della nostra tradizione, anche della migliore. Questo trono, infatti, non è solo quello forse modesto della vulgata psicoanalitica, è forse anche quello maestoso e in certo modo terribile di Agostino e del desiderio d’essere, del suo… feroce amore.

Non si intenda quindi questa pagina nel senso di una svalutazione di eros, del suo splendore e del suo valore, anche nel senso più corrente di amore fisico. Il «desiderio» di cui qui parliamo è piuttosto l’elemento tendenziale di tutta l’affettività, che ha modi e forme estremamente vari – e che non noi, ma una tradizione rimasta assai influente dopo Freud ha tentato di ricondurre alla sessualità da un lato, e di erigere a fondamento stesso di tutta l’effettività dall’altro.

Agostino, che non condivide certo il primo punto, con la sua concezione dell’amor come pondus o forza gravitazionale della creatura invece condivide in certo modo il secondo.

ROBERTA DE MONTICELLI, L’ordine del cuore. Etica e teoria del sentire, GARZANTI 2003, pp.176-177

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