Contributi a una cultura dell’Ascolto CAMMINARSI DENTRO (272): Conoscere (se stessi e gli altri) con le emozioni e conoscere le emozioni

Creato il 04 settembre 2011 da Gabrielederitis @gabriele1948

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Domenica 4 settembre 2011

Grazie a Umberto Galimberti, ho scoperto nel 1992 – quando uscì presso Garzanti il suo Dizionario di psicologia – «l’errore di Cartesio», che non è dato tanto dal dualismo mente-corpo quanto dalla contrapposizione rigida tra intelletto e sensi, ragione ed emozione. Che tutto ciò che non è ragione sia stato ‘estromesso’, depotenziato come sragione, non-ragione, ed escluso dal campo degli oggetti degni di considerazione per scienza e filosofia non ha avuto conseguenze di poco conto. 
La scoperta successiva dell’opera di Antonio Damasio mi ha convinto della necessità di ‘superare’ l’astratto dualismo ragione-emozione, a vantaggio di teorie che studiano i rapporti tra pensiero ed emozione.
La tradizione ‘platonica’ dell’Occidente, tuttavia, ci tiene ancora fermi, soprattutto a livello di senso comune, al dualismo mente-corpo. I progressi delle scienze e le aperture della filosofia alle evidenze della scienza non ci consentono di dire che sia avvenuta la svolta antropologica tanto desiderata. Anche nei rapporti umani, nelle relazioni sentimentali, pesa come un macigno quella contrapposizione, per cui ci sentiamo soprattutto mente: il linguaggio quotidiano è fatto di impacci di ogni genere. Considerare il corpo di una donna, della propria donna, come oggetto di interesse primario è errore che non ci sarà facilmente perdonato. Si potrà obiettare che nell’età della spudoratezza persone che abbiano ancora un sentimento così forte del corpo – del corpo come altro da sé e come parte ‘bassa’, di cui è prudente parlare il meno possibile – sono solo vittime di un’educazione sentimentale sbagliata, ma apparteniamo alla nostra generazione: non possiamo certo ‘abbandonarla’ – come sono soliti fare i vecchi laidi e malati -, per andare a cercare un più umano sentire presso i giovani, che sono distanti come lo sono i nostri alunni, quasi sacri per me.

Tornando sull’opera maggiore di Ignacio Matte Blanco in questi giorni, riscopro la sua teoria dell’emozione. Comprendo meglio come fosse ‘infinita’ l’emozione sempre uguale che provavo quando appariva mia madre o quando da lontano sentivo la sua voce. La dolcezza di quell’emozione risuona ancora dentro di me. Chissà se quell’«esperienza infinita» – come Matte Blanco chiama l’emozione – è anche ‘eterna’! E’ certo che il suono di lei è ancora vivo.

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Dal Dizionario di psicologia di Galimberti si ricava facilmente l’idea della complessità delle questioni aperte (i testi risalgono al 1992):

Emotività (ingl. Emotivity; ted. Emotivitat; fr. Emotivité). Capacità di provare emozioni (v.), che può essere scarsa, normale, eccessiva a seconda del modo e dell’intensità di reazione dell’individuo ai vari stimoli che riceve. Presente a diversi livelli in ogni individuo, quando risulta preponderante rispetto ad altri tratti caratteriali si parla di «personalità emotiva» caratterizzata da un eccesso di reazioni agli stimoli e da fragilità psichica, con conseguente difficoltà nell’adattamento socio-ambientale. Decisiva in questo campo è la categoria dell’intensità perché stati emotivi moderati sono generalmente tonici e salutari, mentre quelli più forti hanno conseguenze debilitanti e disgregatrici. Ricerche sperimentali condotte da R.M.Yerkes e J.D.Dodson hanno mostrato che quanto più è difficile il compito da svolgere, tanto maggiore è l’effetto disgregante dell’intensità emotiva. Le differenze emotive individuali di carattere permanente sono espresse dal temperamento (v.), le disposizioni transitorie dall’umore (v.). Stati emotivi persistenti possono provocare malattie psicosomatiche, come pure un’eccessiva rimozione o repressione del vissuto emotivo (v. psicosomatica, § II).

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Emotivo-razionale, Terapia, v COGNITIVISTA, terapia

Emozione (ingl.   Emotion, ted.  Gemutsbe wegung, fr. Emotion). Reazione affettiva intensa con insorgenza acuta e di breve durata determinata da uno stimolo ambientale La sua comparsa provoca una modificazione a livello somatico vegetativo e psichico Le reazioni fisiologiche a una situazione emozionante investono le funzioni vegetative come la circolazione, la respirazione, la digestione e la secrezione, le funzioni motorie tramite un’ipertensione muscolare, e quelle sensorie con vari disturbi alla vista e all’udito. Le reazioni viscerali si manifestano con una perdita momentanea del controllo neurovegetativo, con conseguente incapacità temporanea di astrazione dal contesto emozionale. Le reazioni espressive riguardano la mimica facciale, gli atteggiamenti del corpo, le abituali forme di comunicazione. Le reazioni psicologiche si manifestano come riduzione del controllo di sé, difficoltà ad articolare logicamente azioni e riflessioni, diminuzione delle capacità di metodo e di critica 

I. NATURA E STRUTTURA DELL’EMOZIONE — Circa la natura dell’emozione, due sono le teorie che si contrappongono: quella innatistica di Ch. Darwin,  secondo cui le manifestazioni emotive sono residui di risposte un tempo funzionali al processo evolutivo (ad esempio, il riso beffardo sarebbe il residuo del ghigno ringhioso con cui l’animale si prepara ad attaccare), e quella antiinnatistica, che si basa sulla constatazione che molte emozioni hanno un significato diverso da cultura a cultura e, nello stesso soggetto, da momento a momento, per cui è impossibile stabilire una corrispondenza tra situazione ed emozione, mentre è probabile un’interpretazione dell’emozione come variabile individuale nella logica della regolazione, quindi come l’effetto di un’indivi­duazione dei meccanismi omeostatici (v.  OMEOSTASI).

Se c’è contrasto interpretativo sulla natura innata o acquisita dell’emozione, ce n’è meno sulla sua struttura che prevede tre fasi: percezione, commento, ammortizzamento: a) La prima fase corrisponde alla percezione di una situazione o alla sua evocazione che genera una destabilizzazione a tutti i livelli di organizzazione, dove è impossibile stabilire un rapporto di proporzionalità tra stimolo e risposta Questa fase può essere istantanea o differita, in questo secondo caso la reazione è più forte e dura più a lungo. In ogni caso non c’è percezione che non sia accompagnata da tonalità emotiva. b) La seconda fase è caratterizzata da uno stato di tensione connotato da «privazione» degli abituali schemi di organizzazione a cui il soggetto solitamente ricorre, e «potenzialità» per una nuova attualizzazione del campo di possibilità. Quanto più ampio è lo scarto tra privazione e potenzialità, tanto più duraturi e destrutturanti finiscono con l’essere gli effetti dell’emozione. e) La terza fase è caratterizzata dall’en­trata in gioco dei meccanismi omeostatici che ristrutturano schemi di risposte organizzate producendo distensione, che non è un ritorno allo stato precedente la tensione, ma un guadagno organizzativo ottenuto dalla potenzialità liberata dalla destrutturazione.

II. CLASSIFICAZIONE DELLE EMOZIONI — La Classificazione delle emozioni differisce in base ai principi di ordinamento che si adottano.

1. Principi logici. Questo criterio risale ad Aristotele che incluse le emozioni nella categoria della passività, in quanto «passioni» e non «azioni» (Categorie, 9 b, 27-34). Aristotele riteneva anche che le emozioni hanno relazioni con l’apparato cognitivo, perché si lasciano modificare dalla persuasione (Retorica, II). Dello stesso parere erano gli Stoici, che consideravano le emozioni giudizi irrazionali distinguibili dalla qualità dell’evento «buono» o «cattivo» e dalla sua «presenza» o «attesa», che consentono di determinare quattro emozioni principali: il desiderio per un evento buono e atteso, la paura per un evento cattivo e atteso, la gioia per un evento buono e presente e il dispiacere per un evento cattivo e presente. In epoca medioevale, oltre alla categoria della qualità dell’evento e della sua presenza, la classificazione si arricchì dell’intenzionalità verso eventi atemporali, che consentì di includere tra le emozioni anche la speranza e la disperazione Con la filosofia moderna le emozioni sono state contrapposte alla ragione e considerate alla base di tutti i comportamenti irrazionali, da quelli religiosi a quelli morali, dove si evocano emozioni più di quanto non si stabiliscano dei fatti, fino alla fondazione kantiana della morale come esclusione di tutte le emozioni. Col positivismo di fine secolo le emozioni furono considerate coscienza di eventi fisiologici, mentre con la fenomenologia della prima metà del nostro secolo furono lette o come sentimenti ontologici, perché pongono l’uomo di fronte non a questa o quella cosa, ma di fronte alla totalità (M.Heidegger), o come tentativi di ristabilire un rapporto col mondo dopo un’improvvisa destrutturazione (J.P.Sartre), confermando la natura dell’uomo come originariamente intenzionato a un mondo (v. analisi esistenziale).

2. Principi psicologici. In questo ambito nascono classificazioni che non sono dedotte dal «significato» dell’emozione, ma indotte dal comportamento nel suo adattarsi o disadattarsi alla situazione. Così C.E.Osgood assume come criteri la piacevolezza (P), l’attivazione (A) e il controllo (C) della situazione, dalla cui diversa combinazione risultano le emozioni fondamentali come la gioia (P+, A+, C neutro), la compiacenza (P+, A-, C neutro), la ripugnanza (P-, A+, C+), l’orrore (P-, A+, C-), la noia (P-, A-, C+) e la disperazione (P-, A-, C-). R.Plutchik cataloga le emozioni in base ai processi adattivi del comportamento per cui avremo la paura (protezione), la rabbia (distruzione), la tristezza (reintegrazione), la gioia (riproduzione), l’accettazione (affiliazione), il disgusto (rifiuto), l’attesa (esplorazione) e la sorpresa (orientamento). Da queste emozioni considerate primarie C.E.Izard ricavò quelle complesse, come ad esempio l’amore, che è un misto di gioia e accettazione. Questi due modelli sono paradigmatici del modo di procedere in ambito psicologico dove o si identifica un piccolo numero di emozioni fondamentali dalla cui combinazione nascono quelle complesse, o si identificano pochi attributi fondamentali di molte emozioni dalla cui combinazione nascono le diverse emozioni. Come si vede i due approcci sono sostanzialmente empirici, perché nulla vieta di considerare come emozione fondamentale quella che nell’altra catalogazione è un attributo di molte emozioni.

3. Principi sociologici. In questo ambito si distinguono emozioni «egoistiche», che possono essere di affermazione di sé o di difesa di sé, emozioni «altruistiche» che vanno da quelle sessuali e familiari a quelle propriamente sociali, ed emozioni «superiori» che producono tonalità affettive che oltrepas­sano la sfera lo-Tu, per abbracciare il sociale o l’umano. In questo ambito le emozioni vengono considerate in relazione alle ideologie, alla convalida e al rafforzamento delle convinzioni di gruppo, alla frequenza di determinate emozioni a seconda dello stato sociale, della cultura di appartenenza, dell’or­ganizzazione gerarchica o egualitaria della società.

4. Principi biologici. Considerando le emozioni in relazione ai sistemi biologici a cui sono connesse si ottengono classificazioni che, rispetto alle precedenti, godono di un maggior grado di oggettività, anche se di un minor indice di senso perché, come osserva Sartre, «certe modificazioni quantitative e, perciò stesso, quasi continue nelle funzioni vegetative, come possono corrispondere a una serie qualitativa di stati fra loro irriducibili? Per esempio, le modificazioni fìsiologiche che corrispondono alla collera non differiscono che per intensità da quelle che corrispondono alla gioia (ritmo respiratorio un po’ accelerato, leggero aumento del tono muscolare, accrescimento degli scambi biochimici, della pressione arteriosa, ecc.): e tuttavia la collera non è una gioia più intensa, è ben altro» (1939, p. 121). A criteri biologici rispondono le classificazioni di A.F.Ax, che predispose un piano di rilevatori fisiologici della risposta emotiva (velocità del polso, battito cardiaco, respirazione, temperatura del viso, temperatura delle mani, riflesso cutaneo galvanico, cor­rente d’azione muscolare registrata al di sopra degli occhi) e poi, individuata l’emozione, prese a studiare i tipi di reazione che variavano da soggetto a soggetto per cui, ad esempio, in presenza di un’emozione di rabbia c’era chi reagiva con l’ira e chi con l’ansia. Invitando i soggetti a descrivere l’emozione di base, non si migliorava il risultato perché le risposte avvenivano in termini che non illustravano l’emozione, ma descrivevano le circostanze di attivazione, cioè quello che li aveva mandati in collera o aveva fatto loro piacere o dispiacere.

III. INTERPRETAZIONE DELLE EMOZIONI. — Esistono diverse interpretazioni che si rifanno ai prin­cipi che hanno consentito una suddivisione delle classificazioni. Tra le più significative ricordiamo le seguenti:

1. La teoria di Darwin offre una lettura evoluzionistica nell’interpretazione delle emozioni fondata su tre principi: a) il principio delle abitudini associate, per cui, se lottando si mostrano i denti, questo atteggiamento diverrà il modo di esprimere la collera, se si sporgono le labbra per sputare questo movimento verrà adottato per esprimere ribrezzo; b) il principio dell’antitesi, per cui, se il rannicchiarsi è un movimento con cui ci si difende da un’aggressione, l’aprirsi del corpo indicherà l’emozione contraria; e) l’azione diretta del sistema nervoso, per cui alcune reazioni come quella di tendersi e contorcersi nel dolore sono un’intensa e diffusa risposta fisiologica, che oggi si chiamerebbe «attivazione», che poi viene assunta per «abitudine associata». Il principio evoluzionistico della teoria di Ch. Darwin potrebbe giu­stificare l’ipotesi diffusa che nell’emozione vi siano delle componenti primitive tra cui il controllo esercitato su di essa dalle parti più antiche del cervello.

2. La teoria di James-Lange sostiene l’importanza della risposta somatica nella percezione soggettiva delle emozioni per cui «si ha paura perché si scappa», «si prova ira perché ci si scontra fisicamente». Questa interpretazione, pur nella sua paradossalità, sottolinea il fenomeno di retroazione o feedback delle risposte somatiche scatenate dalle emozioni, per cui se qualcuno ci insegue scappiamo prima di avere il tempo di riconoscere il nostro stato emotivo. La plausibilità della teoria è proprio nel fatto che il riconoscimento dell’emozione avviene dopo la risposta fisiologica.

3. La teoria funzionalista elaborata da J.Dewey integra le teorie di Darwin e di W.James e C.G.Lange, interpretando le emozioni come funzioni psichiche che permettono una valutazione delle situazioni ambientali in funzione dell’adeguamento. Le emozioni si accentuano in presenza di un grave ostacolo che impedisce l’attività adattiva, per cui se la lotta e la fuga sono attività adattive, i loro connotati emozionali sono modesti se esse possono realizzarsi, si fanno invece più acuti assumendo i toni della rabbia o della paura se un ostacolo impedisce l’azione. La connessione tra cattivo adattamento e reazione emotiva è stata sottolineata anche da P.Janet, che definisce l’emozione «reazione dello scacco», descrivendola come una forma di comportamento non riuscito o di grado inferiore al buon adattamento. Una funzione adattiva e non di «scacco» è sostenuta da S.Hall e J.R.Angeli, esponenti del funzionalismo americano. Secondo quest’ultimo, «le emozioni sembrano in rapporto solamente con l’organismo fisico e così strettamente connesse con le strutture del corpo attraverso l’eredità, che servono a proteggere dal male o a conseguire dei vantaggi, senza l’intervento della riflessione» (1904, p. 26). L’aspetto comune alle posizioni a orientamento funzionalista è nel porre l’attenzione sul significato delle funzioni emotive anziché sulla loro descrizione, e sulla relazione dell’emozione all’ambiente anziché alla coscienza o al sistema nervoso.

4. La teoria gestaltica interpreta l’emozione come l’effetto di buona o cattiva forma che l’ambiente assume agli occhi dell’individuo: «Un paesaggio — af­ferma K.Koffka — può apparire triste anche se personalmente siamo del tutto allegri. Un pioppo non può forse apparire superbo? Una giovane betulla timida? E non ha forse Wordsworth immortalato la gioia degli asfodeli?». Questi connotati emozionali delle nostre percezioni non sono solo il frutto delle proiezioni dei nostri stati d’animo all’esterno, ma derivano dalle forme (Gestalten) secondo le quali i dati esperienziali si organizzano nella nostra percezione. La percezione è sempre un’attribuzione di significato, e che uno stimolo risulti emotigeno è già di per sé un’attribuzione di significato.

5. La teoria comportamentista di J.B.Watson interpreta l’emozione come una risposta periferica dell’organismo a stimoli periferici. A partire da questo principio Watson individua tre emozioni fondamentali: la paura, come risposta a rumori molto intensi o a mancanza d’assistenza, la collera, come risposta al disagio provocato da fasciature troppo strette, l’amore, come risposta alle carezze e al dondolamento. Tutte le altre emozioni si instaurano nell’organismo mediante un processo di condizionamento a partire dalle tre emozioni primitive lette come risposte periferiche a stimoli periferici.

6. La teoria omeopatica di W.B.Cannon assegna invece al sistema nervoso centrale il ruolo fondamentale nel meccanismo dell’emozione, per cui in risposta ad una stimolazione eccessiva, come avviene nel caso di una situazione emotiva, l’organismo libera una quantità di energia potenziale che consente la preparazione di reazioni intensive adeguate, anche se non disgiunte da una disorganizzazione dei comportamenti dovuti a questa liberazione energetica.

7. La teoria dell’attivazione sostenuta da M.B.Arnold e D.B.Lindsley integra gli elementi più validi della teoria periferalistica con quella centralistica di Cannon, perché sostiene che lo stimolo determina a livello della corteccia un eccitamento che a sua volta ha il doppio e contemporaneo effetto di suscitare un atteggiamento emotivo e di liberare schemi dinamici ipotalamici che si esprimono a livello periferico, le cui alterazioni vengono percepite come lo stimolo iniziale, e di rimbalzo modificano l’atteggiamento emotivo che ha sede nella corteccia.

8. La teoria percettivo-motivazionale accoglie della teoria dell’attivazione che l’emozione non è solo passione ma anche azione, precisando però che l’azione è anche «organizzazione», il che consente la costruzione di una sequenza che prevede: percezione-valutazione-emozione-espressione. Così, se l’emozione, termine medio di questa serie, si accosta a situazioni spiacevoli, innesca un’azione organizzata volta a evitarle e a porvi fine. R.W.Leper articola questa teoria in tre principi: a) non bisogna accentuare il carattere di rottura delle emozioni, perché i processi emotivi proseguono nell’organizzazione di comportamenti, b) questi comportamenti sono motivati, e) la motivazione è strettamente connessa alla percezione della situazione.

9. La teoria fenomenologica riprende la relazione emozione-motivazione in base al principio che l’uomo abita il mondo con senso. Un senso che l’emozione rende incerto e la motivazione ricostruisce a partire da un nucleo di certezze che permette di dirigersi verso oggetti che, dopo l’azione di incertezza provocata dall’emozione, la motivazione ri-conosce. L’incertezza provocata dall’emozione è dovuta alla sensazione di non poter evadere dal presente, per cui l’esistenza si trova costretta all’«in-sistenza» in un mondo senza passato e senza futuro. A restituire all’esistenza queste dimensioni temporali è la motivazione o ricerca di senso che spezza l’insistenza emotiva, dilatandola nelle dimensioni temporali che lo stato emotivo chiude. Sul piano dello spazio, la ricerca di senso apre all’esplorazione preclusa dall’emozioneche concentra lo spazio in un punto che sfugge ad ogni localizzazione possibile. L’emozione riflette la costrizione del mondo esterno che rende impossibile ogni rapporto; la ricerca di senso, che si esprime nella motivazione, proietta una necessità interna attraverso la quale un’interiorità si afferma su un ambiente. Nell’inte­razione di questi due momenti, il soggetto avverte il suo limite (emozione) come relazione (ricerca di senso, o motivazione).

10. La teoria psicoanalitica ritiene che le emozioni siano affetti (v.), ossia quanti di energia legati alle idee, e che la loro presenza alteri l’equilibrio psi­chico e interferisca nell’adattamento. In proposito H.Hartmann scrive: «Dal punto di vista della psicologia delle nevrosi, l’azione affettiva, in contrasto con l’ideale teorico dell’azione razionale, appare spesso come un misero residuo di condizioni mentali primitive e come una deviazione dalla norma. [...] Tuttavia noi ben sappiamo la parte cruciale che l’affettività ha nell’organizzare e facilitare molte funzioni dell’Io. Questo intendeva Freud quando disse che non bisogna aspettarsi che l’analisi liberi l’uomo da ogni passione» (1939, p. 131). La psicoanalisi non ha accolto la distinzione introdotta da W.Mc Dougall nel 1908 tra emozioni primarie come la paura, l’ira, la tenerezza, ed emozioni complesse come l’ammirazione, l’invidia, il rispetto, perché spesso s’è trovata a interpretare emozioni semplici quale l’odio come conseguenze di quelle complesse come l’ira, o a supporre emozioni complesse come l’in­vidia all’inizio della vita psicologica.

11. La teoria insiemistica di I. Matte Blanco considera l’emozione come il prodotto di uno stimolo che è percepito come esterno anche se proviene dal nostro corpo, perché, «in quanto oggetto di percezione, anche il nostro corpo ci è alieno, cioè alieno alla nostra intimità» (1975, p. 289). Lo stimolo esterno è investito dal «pensiero dell’emozione» che differisce dal pensiero della vita ordinaria per tre caratteristiche: a) la generalizzazione, per cui l’oggetto sembra in possesso di tutte le caratteristiche che in via potenziale possono evocare l’emozione in esame. Così un’emozione d’amore nei confronti di una donna possiede, agli occhi dell’innamorato, tutte le possibili attrattive che evocano l’amore quale si può presumere non solo per quella donna, ma per tutte le donne nella loro capacità di suscitare amore; b) la massimizzazione, per cui le caratteristiche attribuite all’oggetto vengono considerate al loro grado più elevato; e) l’irradiazione dell’oggetto concreto a tutti gli altri, che in tal modo vengono ad essere rappresentati dall’oggetto stesso. Per questa ragione il pensiero emozionale non vede un individuo, ma un insieme o classe attraverso la generalizzazione, per cui la persona pericolosa diventa la «pericolosità» al massimo grado e in tutti i suoi aspetti. L’identità tra individuo e classe è il modo proprio di pensare dell’inconscio, per cui l’emozione è un pensiero inconscio che pensa «per collezione di insiemi infiniti» (1975, p. 304).

12. La teoria cognitivista ritiene che la risposta emozionale non sia da cercare nella reazione fisiologica o in quella comportamentale, perché questi sono solo sottoprocessi di quel processo che è la valutazione cognitiva dell’informazione in ingresso, a sua volta legata al significato che soggettivamente attribuiamo alle esperienze che andiamo facendo. K.H.Pribram sostiene che ogni individuo, quando si trova in situazione di disquilibrio con l’ambiente, mette in atto dei piani di comportamento elaborati dalla mente prima che qualsiasi sequenza comportamentale abbia inizio. L’emozione insorge quando il piano di comportamento non può essere effettuato e quindi non può essere raggiunta la situazione di equilibrio con l’ambiente. Si attiverebbero allora, come conseguenza dell’emozione, dei «piani di arresto» dell’azione che innescano una fase nuova di raccolta di informazioni per la programmazione di nuovi piani. Quando, dopo reiterati tentativi, non si riesce a superare il blocco dell’esecuzione del piano, allora si ha una sorta di «regressione» verso piani comportamentali più primitivi come la fuga, l’aggressione o tutti quei comportamenti emotivi che indichiamo come conseguenza di una «perdita di controllo». Le reazioni emotive non sono solo connesse alle attività cognitive, ma questa connessione è al servizio dei bisogni biologici, perché lo scopo origi­nario per cui si sono evolute le capacità cognitive è, secondo Plutchik, «quello di mettere in grado l’organismo di costituirsi una mappa del suo ambiente e di predire il futuro in riferimento al significato emozionale o motivazionale degli eventi circostanti» (1980, p. 38). In questo senso va interpretata l’ipotesi cognitivista secondo cui i processi cognitivi si sviluppano all’interno e a partire dalle esperienze emozionali, intese come la prima forma secondo cui l’organismo si orienta nel suo ambiente al fine di soddisfare i suoi bisogni biologici. In questa ipotesi il numero e l’intensità delle emozioni è inversamente proporzionale alla quantità di informazioni di cui ciascun individuo dispone.

IV EMOZIONE E MOTIVAZIONE — Gli stati emotivi agiscono sia come motivo sia come concomitante del comportamento motivato. Il sesso, ad esempio, non è solo una fonte di vissuti emotivi, ma anche una potente motivazione che determina un comportamento, allo stesso modo un’emozione paurosa spinge alla fuga, così come una gioiosa promuove una ricerca della sua ripetizione Tra le emozioni che promuovono un comportamento motivato ricordiamo:

1. La paura (v.), che promuove una tendenza ad evitare quelle situazioni in cui è probabile che si manifesti l’oggetto o l’evento temuto. Nelle sue forme estreme la paura assume quegli aspetti patologici noti come fobie (v.), che determinano pesantemente la condotta di chi ne soffre. Oggetto di fobia possono diventare i luoghi chiusi, quelli aperti, gli animali, lo sporco, le malattie e qualunque cosa caricata di un alto valore emotivo.

2. L’ansia (v. angoscia), che è una paura senza oggetto, e quindi indeterminata, che condiziona il comportamento in termini positivi quando i valori d’ansia sono a livelli bassi, destrutturanti quando sono a livelli elevati, dove tutto sembra minaccioso e invivibile

3. La gelosia (v.) che, come emozione carica del timore di perdere l’affetto di una persona a favore di un terzo che interviene nella situazione affettiva, promuove comportamenti di controllo, reazioni violente, atteggiamenti ostili, dove l’emozione non agisce solo come stato di eccitazione dell’individuo, ma anche come motivazione di determinati comportamenti.

4. L’ira (v.) che, come frustrazione dell’attività che tende a uno scopo, è riscontrabile in ogni sequenza motivazionale interrotta. Risvegliata, l’ira scatena un’attività di rappresaglia contro l’oggetto o la persona ritenuti responsabili dell’interruzione della sequenza.

5. Il riso (v.) che, come emozione piacevole in se stessa, promuove comportamenti in grado di ottenerlo. Sottesa al riso c’è una scarica di tensione che l’organismo avverte come piacevole e ne va alla ricerca.

6. Il pianto (v.), che promuove comportamenti connessi al rapimento che può destare l’ascolto di una musica o la contemplazione di un panorama, al cordoglio che, espresso, produce sollievo, alla partecipazione affettiva al dolore altrui, e all’autocompassione che lenisce un’ira impotente Questi esempi mostrano come alcune emozioni forniscano un commento al comportamento motivato, dove è contenuto un segnale che si sta verificando qualcosa di importante dal punto di vista motivazionale

V. EMOZIONE E TENSIONE — II binomio motivazione ed emozione è alla base dell’intero campo affettivo e lo si può descrivere in termini di tensione, dove si esprime il rapporto ambiguo tra interiorità ed esteriorità, che è anteriore alla forma conflittuale che lo esprime Tale tensione si manifesta in ogni essere come tendenza all’apertura e alla chiusura, senza che sia possibile raggiungere l’una o l’altra se non a rischio di un’inevitabile destrutturazione Il processo di oggettivazione della tensione si realizza secondo tre modelli:

1. Riduzione della tensione, per cui tutte le azioni sono interpretabili secondo il modello omeostatico, come riduttori di tensione in vista dell’autoconservazione Naturalmente questa riduzione non deve arrivare all’eliminazione della tensione, perché altrimenti si avrebbe la stasi del sistema e la cessazione di ogni interazione tra individuo e mondo.

2. Produzione di tensione, constatabile in ogni azione che oltrepassa la visualizzazione logica del sistema in cui l’azione si esprime. Questo «altrove» rispetto alla visione logica è quello che S.Freud chiama, ad esempio, Es (v.), dove resistenza diventa una pura constatazione non giustificata e non giustificabile logicamente, perche «è», prima di potersi esprimere in conformità a un disegno. Nell’intervallo tra resistere immotivato e la ricerca di mo­tivazioni si danno le condizioni per la produzione di tensione.

3. Deduzione della tensione dalle relazioni che la esprimono. Le relazioni danno forma alla tensione, e questa forma permette di rappresentare resistenza tensionale. La tensione, che dal punto di vista esistenziale è privazione, dal punto di vista insistenziale è potenzialità. Da questa asimmetria si comprende perché la tensione superi qualsiasi rappresentazione che tenti di raffigurarla, e possa solo essere seguita nel suo divenire, e sentita, per dirla con I. Kant, come «esigenza incondizionata».

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